DA BATYUSHKA A TSAR GOLOD: IL POTERE E L’IMMAGINE DELLO ZAR NICOLA II

di Matteo Bulzomì

  1. L’inizio del regno di Nicola II

Quando Nicola II divenne Zar di tutte le Russie, nel 1894, la Russia era una realtà assai magmatica. La seconda metà del XIX secolo, nota come periodo delle “grandi riforme”, aveva sconvolto sensibilmente il panorama politico, economico e sociale dell’Impero. Le timidissime riforme politiche e sociali del nonno, Alessandro II (1818-1881), avevano favorito la nascita di un dibattito sempre più orientato verso istanze progressiste. Di fronte ad un potere zarista che non era disposto a rinunciare alla sua natura autocratica e illimitata, movimenti rivoluzionari di matrice socialista, anarchica e populista iniziarono ad usare la violenza come strumento per raggiungere i propri obiettivi politici. A farne le spese era stato lo stesso zar, caduto vittima, nel 1881, di un attentato dinamitardo ad opera dell’organizzazione populista Narodnaja Volja (“Volontà del popolo”)(Bushkovitch, 2012). Non meno importanti erano state le riforme economiche del padre, Alessandro III (1845-1894), che dietro consiglio del lungimirante ministro delle finanze Sergej Witte diede l’avvio alla produzione industriale del paese.

Ritratto do Nicola II
Ritratto di Nicola II di Earnest Lipgart, del 1900 (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

Le riforme avevano portato con sé nuove sfide per il potere zarista. In primo luogo c’era l’annosa questione contadina. L’affrancamento di milioni di servi della gleba ad opera di Alessandro II non era stato accompagnato da una riforma agraria in grado di modernizzare il settore agricolo. Il persistere della grande proprietà terriera aveva fatto sì che consistenti sacche di popolazione vivessero in condizioni di vita misere, schiacciate tra un sistema fiscale spietato e la minaccia della carestia. Nessun miglioramento tecnologico aveva interessato la campagna russa, dove le tecniche di produzione erano arcaiche e poco produttive. Una serie di carestie (la più rilevante fu quella del 1891) e il disperato desiderio di qualche ettaro di terra avevano reso i contadini un attore politico da non sottovalutare (Riasanovsky, 1989). Altrettanto rilevanti erano le sfide lanciate dalla recente e precipitosa industrializzazione del paese. Nonostante Michail Katkov, intellettuale molto influente a corte, vedesse nel controllo zarista del processo di industrializzazione un valido instrumentum regni (Wortman in Wortman, 2013), le richieste degli industriali e dei lavoratori sarebbero diventate un altro importante elemento nell’agenda politica di Nicola II. I primi si battevano per ottenere commesse, incentivi e infrastrutture dallo stato, mentre i secondi chiedevano una legislazione del lavoro e salari più alti (Riasanovsky, 1989). Vi erano poi le richieste della periferia dell’Impero, dove i sudditi di nazionalità non russa aderivano a movimenti nazionalisti che miravano all’autonomia quando non all’indipendenza, come nel caso della Polonia. In ultima istanza, le élites di orientamento liberale desideravano una Russia zarista ma non più autocratica, dotata di partiti e di un parlamento come le altre monarchie europee. La Russia che Nicola II aveva ereditato era un paese turbolento dove l’ordine sarebbe stato riportato soltanto a prezzo di un allargamento degli attori coinvolti nei processi decisionali. Il nuovo zar sarebbe stato all’altezza del compito?

Nicola purtroppo non si dimostrò in grado di comprendere l’entità della posta in gioco. Il suo carattere, decisamente meno energico di quello del padre, lo aveva portato a privilegiare gli affari di famiglia agli affari di stato, mentre la sua pressoché totale mancanza di acume politico lo spinse a sclerotizzarsi su strategie di potere che ormai avevano fatto il loro tempo. Come i suoi predecessori, Nicola era stato educato a regnare secondo un sistema di governo che affondava le sue radici nel XVIII secolo, e più precisamente ai regni di Pietro I il Grande (1672-1725) e Caterina II la Grande (1729-1796). Tale sistema si fondava sul binomio integrità-autocrazia. Agli occhi di Pietro e Caterina, soltanto un potere di tipo autocratico avrebbe tenuto la Russia al riparo da qualsiasi minaccia in grado di provocare menomazioni territoriali. Queste ultime venivano percepite non solo come un affronto al prestigio della Corona, ma anche come potenzialmente in grado di scatenare nuove rivolte che avrebbero reso uno stato così esteso pressoché ingovernabile. Per questo motivo il binomio integrità-autocrazia era ritenuto l’unico efficace baluardo a difesa dell’esistenza dell’Impero russo (Wortman in Wortman, 2013). Quasi inutile a dirsi, questa strategia di governo aborriva qualsiasi tipo di riforma politica, percepita come foriera di pericolosa faziosità. Del resto troppo fresco e doloroso era ancora il ricordo della tragica fine del nonno Alessandro II, lo zar riformatore per eccellenza. Per Nicola, quasi tredicenne all’epoca dello zaricidio, fu scontata l’adesione alla linea di governo del padre, dettata da ultraconservatorismo, nazionalismo e ortodossia in campo religioso.

Nonostante il binomio integrità-autocrazia fosse sovente garantito da un certo grado di cooptazione delle élites non russe, di vitale importanza soprattutto per il controllo delle periferie più remote (Kappeler, 2003), Nicola II accentuò, ancora una volta in continuità con il padre, il carattere nazionalista della sua azione di governo. La chiave di volta della loro Weltanschauung era una visione edenica del rapporto tra lo zar e il popolo russo (contadini in primis), un rapporto affettivo ancora prima che di potere. Per i russi, i sudditi più fedeli tra tutte le genti governate da uno zar russo, lo zar era il Batjuška, il “caro e dolce padre”, autorevole e autoritario, le cui decisioni erano non sempre comprensibili o condivise ma verso cui, proprio come a un padre, si doveva mostrare affettuosa sottomissione. Secondo Nicola, quindi, folli erano coloro che desideravano forme di condivisione di potere strutturate come nel resto d’Europa, perché solo lo zar, in forza di questa affinità quasi ontologica con la Russia e con i russi, poteva conoscere quale fosse il bene dell’Impero e solo sua era la missione di lavorare per perseguirlo.

Ad ulteriore dimostrazione della russicità dello zar e del suo dovere di guidare la nazione in maniera autocratica, Nicola, come il padre, esaltò l’epoca medievale e pre-petrina della storia patria. Il medioevo russo non era più visto come un’epoca di arretratezza e di instabilità politica, ma come una nuova età dell’oro in cui, al riparo da qualsiasi venefica influenza occidentale, si erano manifestati al massimo grado i caratteri più spontanei e genuini della cultura russa. 

In quest’ottica celebrare le radici pre-petrine del casato dei Romanov divenne un imperativo. Venne mantenuto il cerimoniale di incoronazione di Alessandro III, che aveva fatto piazza pulita di ogni elemento occidentale organizzando i festeggiamenti nel Palazzo delle Faccette, l’edificio più antico del Cremlino di Mosca, e commissionando i canti e le decorazioni della sala del banchetto all’insegna del recupero del passato pre-petrino (Wortman in Wortman, 2013). Dal canto suo, Nicola II prese come modello di statista lo zar Aleksej Michailovič (1629-1676), in onore del quale diede al suo primogenito il nome di Alessio. Il recupero del passato pre-petrino riguardò anche la ritrattistica ufficiale: uno dei ritratti più cari a Nicola lo raffigurava infatti nelle vesti dello zar Aleksej, di cui imitava anche la foggia della barba, elemento questo particolarmente sgradito a Pietro il Grande, che ne aveva imposto il taglio a tutti i nobili (Wortman in Wortman, 2013).

Non meno importante del nazionalismo era la componente dell’ortodossia, l’unica vera fede del popolo russo. Nonostante Nicola fosse un devoto credente, la sua devozione si esprimeva in una dimensione intima e personale piuttosto che collettiva e mediata dal clero. Coerente con questa concezione della fede era la concezione del potere per diritto divino. Questa dottrina, detta dell’”autocrate cristiano”, sosteneva che fosse direttamente Dio a dare alla Russia il suo sovrano, senza alcuna mediazione (Wortman in Wortman, 2013). Se quindi era il Dio della Chiesa di Mosca colui che dava legittimità al sovrano, ne conseguiva che solo i seguaci di questa confessione sarebbero stati i sudditi più leali allo zar.

L’apparato ideologico di Nicola tuttavia non si dimostrò in grado di trovare soluzioni ai problemi del paese, che negli anni a cavallo tra i due secoli divenne teatro di sollevazioni, scioperi e proteste di contadini, operai, e studenti. La Russia era ormai una polveriera pronta ad esplodere, e la miccia fu la guerra russo-giapponese del 1904-1905, che mise a nudo l’inesperienza e l’inadeguatezza dei funzionari imperiali.

  1. Nicola II e la rivoluzione del 1905

La disfatta subita dai giapponesi fu un durissimo colpo per l’autocrazia. La prima sconfitta patita da una nazione europea ad opera di una nazione non europea mise a dura prova la tenuta del prestigio della corona zarista nel consesso delle grandi potenze. Ma il vero problema per Nicola erano gli affari interni: già da mesi infatti si susseguivano scioperi nelle fabbriche e nelle campagne, manifestazioni studentesche e tumulti nazionalisti, e il pessimo andamento della guerra agì da catalizzatore di nuove proteste. Il 22 gennaio 1905 una folla guidata dal pope Gapon marciò verso il Palazzo d’Inverno per supplicare lo zar affinché alleviasse le sofferenze dei suoi sudditi. La folla, convinta che il Batjuška avrebbe ascoltato con attenzione le sue suppliche, portava con sé le icone e i ritratti dello zar. Nicola, che in quel momento non si trovava a palazzo, spaventato dalle conseguenze che un tale gesto avrebbe potuto comportare, ordinò di aprire il fuoco sulla folla. L’episodio, noto come “domenica di sangue”, fu un duro colpo al rapporto paternalistico tra lo zar e il popolo. Celebre fu l’invettiva di Gapon: “Sangue innocente è stato versato! I proiettili dei soldati zaristi hanno crivellato i nostri ritratti dello zar e ucciso la nostra fede in lui. In nome dei nostri fratelli dobbiamo vendicarci dello zar, maledetto lui e tutta la sua stirpe infame!” (Radzinsky, 1993). Nei mesi successivi, di fronte alla recrudescenza delle proteste, Nicola II emanò obtorto collo il Manifesto di Ottobre, un documento che rendeva l’Impero zarista una monarchia costituzionale. Il documento, fortemente voluto da Witte, vincolava lo zar alla garanzia di alcune libertà civili, alla convocazione di un’assemblea consultiva su base elettiva e alla promulgazione delle “Leggi fondamentali”, che sarebbero state la costituzione dell’Impero (Riasanovsky, 1989).

A distanza di più di un secolo, il carattere rivoluzionario del Manifesto di Ottobre è ancora oggetto di dibattito. I sostenitori della rottura con il passato mettono in evidenza soprattutto la revisione del binomio integrità-autocrazia. Le Leggi fondamentali del 1906 infatti avevano sì ribadito il carattere autocratico del potere zarista, ma non vi riconoscevano più il carattere illimitato. Inoltre il discorso sull’integrità dello stato, seppur presente nel testo, era stato separato da quello relativo alla natura autocratica del potere zarista, di cui smise di essere il preambolo fondamentale (Wortman in Wortman, 2013). Altra importante conquista della rivoluzione del 1905 era la Duma di Stato, la prima assemblea rappresentativa dell’Impero. Attraverso i deputati della Duma, eletti a suffragio universale maschile, tutte le nazionalità e le classi sociali dell’Impero si vedevano garantita la possibilità di partecipare al dibattito politico. L’abolizione della censura aveva infine dischiuso alla politica spazi inediti come le aule di tribunale, gli uffici della burocrazia e le strade (Bushkovitch, 2012).

Foto della famiglia imperiale
Nicola II e la famiglia imperiale nel 1913 (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

I sostenitori della continuità con il passato, pur riconoscendo l’importanza delle conquiste del 1905, ritengono che ancora troppo fosse il potere nelle mani dello zar. Nello specifico, egli continuava a monopolizzare il potere esecutivo, la politica estera e gli affari militari. Allo zar spettava convocare la Duma e, qualora non ci fossero state le condizioni per farlo, egli poteva emanare gli ukasy, decreti con valore legale da votarsi alla prossima seduta. I ministri dei governi inoltre non erano responsabili del loro operato di fronte alla Duma, ma di fronte allo zar (Riasanovsky, 1989). Ma la critica più importante è che Nicola II, nonostante le concessioni, non fosse la persona giusta per traghettare la Russia dall’assolutismo al regime costituzionale. La sua lettura degli avvenimenti era ancora filtrata dalla visione sentimentale e paternalistica del rapporto tra il popolo russo e lo zar, che attribuiva la responsabilità di tutte le proteste alle cattive influenze del popolo cospiratore per eccellenza: gli ebrei.

Durante le legislature che si succedettero fino alla fine della monarchia, quattro in tutto, i rapporti tra Nicola II e la Duma furono dettati da reciproco sospetto piuttosto che da fiducia. Per rimarcare la centralità del suo ruolo e il carattere ottriato delle riforme, Nicola decise di tenere il discorso di apertura della prima legislatura al Palazzo d’Inverno e non al Palazzo di Tauride, sede dell’assemblea (Wortman in Wortman, 2013). La situazione non migliorò negli anni successivi. Le prime due legislature (aprile-luglio 1906 e febbraio-giugno 1907), in cui i partiti filo-zaristi si erano trovati in minoranza, furono sciolte per ordine dello zar. Per evitare nuove maggioranze di partiti di opposizione Nicola II fece cambiare la legge elettorale in modo da avvantaggiare i gruppi d’interesse più vicini a lui. Questo, insieme con l’arresto di diversi capi delle opposizioni, se da una parte provocò delle fratture in seno ai partiti progressisti, dall’altra provocò la radicalizzazione delle correnti tenute ai margini.

Il sistema costituzionale inaugurato da Nicola II attribuiva un’enorme importanza alla figura del primo ministro, vero e proprio mediatore tra le istanze del sovrano e quelle del parlamento. In quegli anni tramontò l’astro di Sergej Witte, dimessosi dopo lo scioglimento della prima Duma, ma una figura altrettanto carismatica si distinse per l’ambiziosità della sua agenda politica: Pëtr Arkad’evič Stolypin. Il programma di Stolypin contemplava sia una dura repressione delle forze politiche rivoluzionarie sia una riforma agraria in grado di privare i rivoluzionari di un’ampia base di consenso. Negli anni della seconda e terza Duma (1907-1912) i movimenti rivoluzionari subirono un durissimo colpo a causa degli arresti su larga scala di attivisti e dirigenti, che scoraggiarono nuove adesioni. Al contempo il progetto di riforma agraria si incagliò di fronte all’ottusità dello zar e della maggioranza conservatrice della terza Duma. Lo zar rifiutava la riforma in quanto non vedeva pericoli provenienti dalle campagne, considerate invece la sua tradizionale base di consenso. I parlamentari conservatori, com’è ovvio, temevano che qualsiasi concessione fatta ai contadini avrebbe danneggiato i loro interessi economici.

La crisi di governo del 1911, scoppiata proprio per la questione contadina, si risolse con la morte di Stolypin, caduto vittima di un attentato ordito dai socialisti rivoluzionari. Nicola II decise quindi di nominare primi ministri più docili ma meno lungimiranti, e le cifre distintive dei lavori della fine della terza Duma e di tutta la quarta (1912-1917) furono il conservatorismo e l’immobilismo politico (Bushkovitch, 2012). I rivoluzionari, che nel frattempo si erano riorganizzati all’estero, cavalcarono l’ondata di malcontento dovuta alla mancata soluzione dei problemi economici e sociali finché non si presentò loro l’occasione propizia per prendere il potere: la prima guerra mondiale.

Come dieci anni prima, la guerra alimentò i numerosissimi focolai di malcontento nel paese. Il continuo drenaggio di risorse al fronte mise in ginocchio il sistema di approvvigionamento delle campagne e delle città, con conseguenze tragiche. Le politiche impopolari dello zar gli alienarono il favore di buona parte dei sudditi, che in lui non vedevano più il Batjuška ma lo Tsar golod, lo “zar fame”, il padre da rinnegare e il responsabile di tutte le miserie (Mauro, 2017). Il 23 febbraio 1917 uno sciopero organizzato delle operaie di Pietrogrado, nonostante l’atteggiamento incredulo e di sufficienza di compagni e dirigenti uomini, si trasformò rapidamente in rivoluzione. Le truppe inviate per disperdere i manifestanti si rifiutarono di sparare sulla folla e la Duma, dopo aver temporeggiato, decise di prendere in mano la situazione all’insaputa dello zar, che si trovava al fronte. Raggiunto dalla notizia dei disordini nella capitale, Nicola salì sul treno imperiale per tornare a Pietrogrado, ma venne raggiunto a Pskov da due deputati della Duma e fu costretto a firmare l’atto di abdicazione per sé e per il figlio Alessio, malato di emofilia. Il Granduca Michele, fratello di Nicola e successore al trono, rifiutò l’investitura rimettendo la questione monarchica ad una decisione del governo provvisorio, senza sapere che così facendo avrebbe posto fine a più di tre secoli di dominio dei Romanov (Riasanovsky, 1989).La famiglia imperiale fu tratta in arresto e tenuta agli arresti domiciliari, da dove guardò le vicende politiche russe con gli occhi non più del protagonista, ma dello spettatore. Dal confino presso il Palazzo d’Estate, poco fuori Pietrogrado, il cittadino Nicola Romanov e la sua famiglia assistettero ai primi mesi del governo della Duma, alla rivoluzione di Ottobre che portò al potere i bolscevichi di Vladimir Lenin, alle trattative di pace con la Germania e all’inizio della guerra civile. Fu proprio la guerra civile a riportare l’attenzione sulla famiglia reale. Le armate bianche, guidate da ex generali zaristi, volevano restaurare la monarchia in Russia, cosa che rendeva la liberazione dello zar un obiettivo importante. Proprio il potere simbolico che Nicola e la sua famiglia ancora rivestivano fu la causa della loro tragica sorte. Consapevoli del valore simbolico dello zar e della sua famiglia, i dirigenti bolscevichi ordinarono la loro deportazione negli Urali. Tuttavia l’armata bianca del generale Denikin e un contingente cecoslovacco minacciavano Ekaterinburg, luogo di detenzione di Nicola, e i bolscevichi locali ordinarono, nella notte del 16 luglio 1918, che la famiglia imperiale fosse tolta di mezzo una volta per tutte. Fu un massacro: radunati in uno scantinato insieme alla servitù, Nicola, la moglie Alessandra e i figli Olga, Maria, Tatiana, Anastasia e Alessio furono uccisi a colpi d’arma da fuoco e sui loro corpi si infierì con le baionette. I cadaveri vennero poi portati in un bosco nelle vicinanze e bruciati. Qualche giorno più tardi, essendo imminente l’arrivo delle armate bianche, i resti vennero sciolti nell’acido. I bolscevichi avevano voluto dare un messaggio ai loro nemici: nessuno dei due corpi del re era sopravvissuto a quella tragica notte (Kantorowicz, 1957).

Matteo Bulzomì – Scacchiere Storico

Matteo Bulzomì è laureato in Scienze Storiche presso l’Università di Torino e ha conseguito una laurea nel M.A. in Israel Studies presso la Hebrew University of Jerusalem. Dottorando in storia contemporanea presso la medesima università, i suoi campi di interesse principali sono la storia, la politica e la società del Medio Oriente in generale e le vicende dei conflitti arabo-israeliani in particolare.

Bibliografia


Bushkovitch, P., 2012, Breve storia della Russia: dalle origini a Putin, Einaudi, Torino; Carvigno, M., 2018, Rivoluzione russa di febbraio, il ruolo decisivo delle donne in Passaggi Lenti, disponibile in https://www.passaggilenti.com/rivoluzione-russa-di-febbraio-donne/ [14 giugno 2021]; Kantorowicz, E., 1957, I due corpi del re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale, Einaudi, Torino 2012; Kappeler, A., Centro e periferia nell’Impero zarista, 1870-1914, in Rivista storica italiana, 2003(2); Mauro, E., 2017, L’anno del ferro e del fuoco. Cronache di una rivoluzione, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano; Piretto, G.P., Le parole della rivoluzione in Zanichelli Aula di Lettere, disponibile in https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/interventi-d-autore/le-parole-della-rivoluzione/ [14 giugno 2021].Radzinsky, E., 1993, The Last Tsar: The Life and Death of Nicholas II, Anchor Books, New York; Riasanovsky, N.V., 1989, Storia della Russia: dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano; Wortman, R., Nicholas II and the Revolution of 1905 in Wortman, R. (a cura di), 2013, Russian  Monarchy: Representation and Rule. Collected Articles, Academic Studies Press, Boston; Wortman, R., The “Integrity” (tselost’) of the State in Imperial Russian Representation in Wortman, R. (a cura di), 2013, Russian  Monarchy: Representation and Rule. Collected Articles, Academic Studies Press, Boston; Wortman, R., The Invention of Tradition and the Representation of Russian Monarchy in Wortman, R. (a cura di), 2013, Russian  Monarchy: Representation and Rule. Collected Articles, Academic Studies Press, Boston; Wortman, R., The Representation of Dynasty and “Fundamental Laws” in the Evolution of Russian Monarchy in Wortman, R. (a cura di), 2013, Russian  Monarchy: Representation and Rule. Collected Articles, Academic Studies Press, Boston.

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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