La pineta della memoria

“Enrico Blasi, sei tu, proprio tu? E mi riconosci?” così, con queste esatte parole mi accolse, sul piazzale davanti alla casa, Donatella, la sorella del mio vecchio amico Gianfranco. Ma come avrei potuto riconoscerla, erano otto i fratelli in questione, cinque maschi e tre femmine, una vera banda. E per noi, appena adolescenti, le ragazze neppure esistevano, tantomeno le sorelle degli amici. Noi allora eravamo davvero troppo presi con le nostre imprese, le scorribande nei boschi, gli scherzi e tutto il resto, i moscardini, le volpi…i granchi di terra. Insomma non l’ho riconosciuta immediatamente, ma era lei, si ricordava di tutto, di tutte le corbellerie che facevo, della loro vasca dei pesci frantumata dal grosso masso che ci gettai dalla strada (tra gli improperi di tutti, fratelli e sorelle), del finto attentato ad un altro inquilino del palazzo. Si ricordava anche che allora neppure mi considerava, ero trasparente, troppo piccolo per lei. Già, le ragazze crescono presto, e i loro sguardi si posano più volentieri su ragazzi ben più adulti di come eravamo noi, banda di maschietti in erba. Un oretta il percorso tra Selinunte e Bartolino, che si aggiungeva ai cinquanta e più anni, una vita intera, in cui ognuno di noi aveva seguito la propria strada, la propria esistenza. Eppure rivedersi lì, nel “buen retiro” di Gianfranco, come se nulla fosse stato, come se il tempo non fosse mai trascorso, riprendendo discorsi interrotti e ammiccando a certi ricordi, senza nostalgie o rancori, è stato davvero bello. La forza di un’antica amicizia che passa sopra a tutte le cose che potrebbero dividere per restare concentrata sulle poche o tante cose che, invece, ancora uniscono. E quindi racconti, descrizioni, progetti, colazioni, pranzi e cene, con loro due e con il resto della famiglia lì presente, il pacioso e accomodante nipote Francesco, con i due figli scavezzacolli e la moglie Nastia. Quella frase “sei a mezz’ora di strada da casa mia”, l’avevo letta con una certa apprensione, chissà se davvero voleva rivedermi, se non si trattava, invece, di un invito di circostanza, una pura formalità. Ripensandoci bene, davvero nulla ci aveva diviso, non avevamo mai davvero litigato, ci eravamo solo momentaneamente persi di vista, dedicandoci ad altro, e poi i diversi interessi, il lavoro, le donne… e il nulla di tutti questi anni. È stato come un viaggio a ritroso, un ritorno alle origini, lui seduto all’ombra con il suo tablet sulle ginocchia a rispondere e scrivere ai tanti contatti che ha evidentemente saputo e voluto mantenere, a dire a tutti che eravamo entrambi lì, che anche io ero approdato a Pineta Molinari, che era vero, eravamo entrambi vivi e stavamo adesso seduti allo stesso tavolo, mentre Donatella, implacabile, dava inizio al racconto di una famiglia, la loro, di un mondo di cui non avevamo alcuna idea, storie di rapporti familiari e di una società che sembravano arrivate direttamente dai tempi di Tomasi di Lampedusa, e poi ancora altri racconti, più carnali e terreni, che sembravano uscire direttamente dalla penna di Giovanni Verga. Una Sicilia e una sicilianitudine inimmaginabile, ormai scomparsa, disintegrata. Ricordi, rimpianti, orgoglio e esaltazione, una vita vissuta per intero, esposta senza freni, inibizioni e false modestie. Come non capire, non apprezzare? Un’occasione unica, imperdibile, stavamo vivendo una sceneggiatura, un film quasi in costume descritto minuziosamente, immagine per immagine. Avrei voluto avere tra le mani un registratore, una telecamera, ma non mi mossi, non allungai il braccio per prendere lo smartphone, per registrare. Ero certo che il fluire dei racconti non sarebbe stato più lo stesso, che sarebbe diventato meccanico, costruito, avrebbe perso di forza e di sincerità. Naturalmente era troppa roba, un’indigestione di cui non mi posso ricordare tutto, ma solo le emozioni suscitate, queste sì davvero ben impresse, come se avessi vissuto io stesso tra le mura dei palazzi di Sciacca e di Palermo, percepito il frusciare dei vestiti della nonna, respirato l’odore e il caldo delle terre, delle falciature, assaporato i frutti delle loro campagne, assistito alle piccole astuzie dei contadini, ricevuto l’educazione severa e all’antica di loro giovanissimi. La grande famiglia siciliana, un racconto incredibile, epico, che spero un giorno non lontano vorranno trasferire su carta.

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