Scuola

Vostro Orrore, vuole un po’ di Malvagina?

"Imparare a camminare da soli vuol dire, come abbiamo appreso fin da bambini, anche a cercare di non cadere …"

Le emozioni: un oceano dentro

#ascuoladiconsapevolezza
Di Francesco Valecchi
In foto: Yellow Submarine


Eravamo un gruppo di adolescenti con un pomeriggio libero. Pioveva forte e giocare a calcio era impensabile.  Eravamo in troppi per un torneo di biliardino: nel bar che frequentavamo ce n’era uno solo e, tra una partita e l’altra, ci saremmo annoiati. Fu così che decidemmo, vincendo qualche resistenza, di andare al cinema. Di solito andavamo volentieri al cinema, ma proprio quel giorno era in programma un film di animazione e alcuni, alla proposta di rifugiarci in sala avevano esclamato: – Non siamo mica bambini! Qualcuno convinse i riottosi dicendo loro che aveva letto da qualche parte che il film era pieno di belle canzoni e così tutti quanti andammo a vedere Yellow submarine (regia di George Dunning, 1968).

Non ci pentimmo di quella scelta. Il film, molto diverso dagli stili cinematografici dei classici di animazione e con un disegno in stile pop art, racconta una storia accattivante e bizzarra. In breve, nel paese di Pepperland, una sorta di Eden di musica, fiori e amore, un brutto giorno arrivano i terribili Blue Meanies (Biechi blu), che trasformano tutto e tutti in pietra. Il terribile capo dei Biechi Blu non ha pietà di nulla e di nessuno e odia la musica e l’amore. Un solo abitante riesce a fuggire e, a bordo del suo sottomarino giallo, raggiunge Liverpool e chiede aiuto nientemeno che ai Beatles. Così John, Paul, George e Ringo s’imbarcano e, dopo una serie di fantastiche avventure in mondi surreali, raggiungono Pepperlandia e, con la loro musica, fanno ritornare il paese, diventato grigio e freddo, al paradiso che era, con tutti i suoi colori. Anche i Biechi Blu e il loro capo finiranno con l’amare la musica e diventeranno abitanti di Pepperland.

Il film ci piacque così tanto che, per un bel pezzo, nelle nostre conversazioni, utilizzammo varie citazioni prese a prestito dai dialoghi. Una però, in particolare, divenne una sorta di tormentone. Succede, infatti, nel film che, quando il capo dei Biechi Blu perde qualche colpo in spietatezza, si avvicini a lui il suo attendente che gli offre una sorta di medicina per farlo tornare cattivo come e più di prima. Fu così che dalla visione di quel film in poi, ogni volta che qualcuno di noi perdeva le staffe in una partita di calcio, o di biliardino, in una discussione ecc., immancabilmente un altro imitava la vocina dell’attendente che sussurrava al suo comandante: – Vostro Orrore, vuole un po’ di Malvagina? Avveniva allora una cosa strana. Il ragazzo arrabbiato sembrava infuriarsi ancora di più, ma poi, finiva con l’unirsi anche lui alla risata generale che seguiva a quella battuta e tutto aveva termine in un nuovo gioco o davanti a un bicchiere di birra.

La rabbia è un’emozione che, come tale, fa parte della nostra natura di esseri umani e le emozioni, volenti o nolenti, accompagnano la nostra vita e danno sapore ai nostri giorni. Senza di esse saremmo una sorta di computer autocosciente, ma freddo, incapace di affetti e di sentimenti. Sono le emozioni la radice dell’arte, della musica e sono esse a condizionare la vita dei singoli, ma anche delle relazioni e delle culture umane. Nonostante siano un fattore fondamentale, costituente della natura umana, dobbiamo riconoscere che di esse sappiamo poco e a scuola si tende a trattare, se va bene, le espressioni delle emozioni, non le emozioni in sé.

Blaise Pascal, nei suoi celebri Pensieri (Pensées), amava ripetere che l’uomo è ragione e cuore e che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (pensiero 277). Ma cos’è il cuore di cui parla Pascal, se vogliamo l’universo affettivo dell’uomo (di cui l’emozione costituisce l’elemento fondamentale), che è una sorta di compagno inseparabile, costantemente presente, nell’ombra della nostra ragione della quale andiamo tanto fieri?

Tra le tante espressioni scientifiche che hanno cercato di definire l’emozione, scelgo quelle di due dei massimi esperti nello studio della mente. Antonio Damasio, in un suo saggio di qualche anno fa, scrive:  “Le emozioni sono programmi di azione complessi e in larga misura automatici, messi a punto dall’evoluzione (…), sono azioni accompagnate da idee e da particolari modalità di pensiero. (…) I sentimenti delle emozioni sono percezioni composite di quello che accade nel nostro corpo e nella nostra mente quando ha luogo un’emozione, (…) unite allo stato mentale in quel medesimo lasso di tempo”. (A. Damasio, Il sé viene alla mente, Adelphi, Milano, 2012, pag.144). Il neurobiologo J. LeDoux, nel suo saggio diventato un classico, Il cervello emotivo (ed. Baldini Castoldi Dalai,1998, Milano), riassume così lo schema del circuito emotivo: “Al livello neurale, ogni unità emotiva va considerata come un insieme di segnali in entrata, un meccanismo di valutazione, e un insieme di segnali in uscita. (…) Il meccanismo di valutazione ha anche la capacità di imparare stimoli che tendono ad essere associati alla comparsa di inneschi naturali, e anche di prevederli. Li chiameremo inneschi appresi”. (pag.131).

La parola “emozione” viene dal latino ex movere, che potremmo tradurre come muovere da e indica un movimento della mente (e del corpo) dovuto a qualcosa che ci accade intorno (o dentro). Semplifichiamo i passaggi di questo movimento da … con un esempio.

a) Sto passeggiando in un viottolo tra recinzioni di orti e giardini (Stato di quiete).

b) Improvvisamente sento abbaiare forte e vedo un grosso cane venirmi incontro a tutta velocità (Stimolo emotivo – secondo LeDoux). – L’equilibrio emotivo del punto a, si è rotto … c) Faccio un salto indietro e mi preparo a fronteggiare un attacco (i muscoli si tendono, il corpo si prepara all’azione, dentro di me un circuito velocissimo del cervello, indipendente dalla mia volontà, ha inviato segnali a ghiandole e organi interni per preparare l’organismo all’attacco (Schema della paura: fuga, difesa, immobilità …?). d) Riconosco il cane di un mio amico che ha un suo modo un po’ irruento di farmi festa. Mi calmo: non c’è pericolo! (Valutazione – Subentrano la memoria e la ragione). e) Accarezzo il cane. La  mia mente ritorna serena. Posso continuare a fare la passeggiata (magari con il mio amico a quattro zampe) – (Ritorno allo stato di quiete). f) L’episodio entra a far parte della mia memoria con la traccia delle modifiche avvenute nel mio corpo e delle emozioni provate (È l’innesco appreso di LeDoux).

Lo schema emotivo (punti a, b, c), tipico della paura, era stato già studiato da Ch. Darwin  che, nello zoo di Londra, aveva avvicinato il viso a una teca di vetro contenente il terrario per una temibile vipera africana. All’attacco del rettile, lo scienziato non aveva potuto fare a meno di balzare indietro, nonostante la sua mente fosse cosciente dell’inesistenza di ogni pericolo.  L’azione, messa in atto al punto c, non è quindi in potere della ragione e della volontà. Fa parte di una strategia di difesa veloce della vita, messa in atto dalla natura nei milioni di anni di storia evolutiva e non appartiene alla sfera dell’apprendimento del singolo, tranne che nell’intensità della risposta, che varia da un individuo a un altro e tra culture. Sono i punti d, e, f, dello schema emozionale che possono essere oggetto di un intervento educativo. Posso avere paura ed è bene che io, in una determinata circostanza, sperimenti questa emozione, ma non devo permanere nello stato di paura al di fuori di un determinato contesto. Posso avere paura, ma non devo diventare paura, posso arrabbiarmi, ma non devo restare nella rabbia, posso provare vergogna per un’azione che ho commesso, ma la mia vita non deve trasformarsi in perpetua vergogna (per ogni uomo ci deve essere un margine di riscatto …).

In realtà, come si è espresso abbastanza recentemente un grande psicologo, è il cane emozionale che muove la coda razionale e non viceversa, nonostante la cura che mettiamo nello sviluppo dei processi cognitivi e del corpo fisico. Il fatto è, che questo vero e proprio oceano (l’oceano emozionale) che abbiamo dentro ci è, il più delle volte, totalmente sconosciuto e quindi, se va bene, navighiamo a vista, senza mappe, e ignoriamo quanto delle nostre azioni dipenda dalla sua potenza e dalle sue manifestazioni.

Ancora più grave è il fatto che sia proprio questa parte irrazionale a comandare i nostri comportamenti, con tutte le conseguenze che la cronaca ci consegna ogni giorno. Lasciare l’individuo in balia delle sue emozioni è, infatti, una mania tutta contemporanea che fa leva sulle debolezze (e sui bias e il rumore di fondo di cui abbiamo parlato la volta scorsa) dell’uomo per soddisfare le logiche (il profitto, il consumo e la sete dell’avere) di un mercato che vede nella ragione umana, pienamente esercitata, un suo acerrimo nemico.

Non è libero l’uomo, schiavo del suo mondo emozionale (specialmente se manipolato dall’esterno) e delle sue manifestazioni.

Le culture umane hanno sviluppato due modalità distinte per controllare queste manifestazioni, tutte e due con fondamentali sviluppi educativi: la modalità che potremmo definire etero e quella auto- diretta. La modalità etero-diretta è quella classica degli stati, degli uomini e dei regimi forti. In questi si utilizzano mezzi coercitivi, che limitano fortemente le libertà individuali in nome dell’ordine e della disciplina e che utilizzano le punizioni per le colpe come modelli pedagogici. Lo stato si assume allora il compito di imporre una sua morale, sue leggi, di regolare la libertà dei suoi cittadini, perché uscire dai confini da esso tracciati può condurre solo alla vergogna, al dolore, alla morte. Intolleranza religiosa, ideologica, fenomeni come gli stereotipi, i pregiudizi e il conformismo trovano qui la loro casa. Repressione, manipolazione, indottrinamento sono i metodi pedagogici utilizzati in questa modalità.

Auto da fè

Negli splendenti auto da fé

I perversi eretici venivano bruciati .

(A. I. Polezaev, cit. da F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, ed. Garzanti, pag. 344).

Quando, nel lontano 1947, un gruppo di psicologi dell’università di Boston, B.S. Bloom, D.R. Krathwol e B. B. Masia, con il contributo di altri, numerosi colleghi di  varie università americane, tentò di definire gli obiettivi educativi per il dominio affettivo, dopo aver indicato quelli per l’area cognitiva e psicomotoria, si trovò di fronte ad una serie di difficoltà che possono essere illuminanti anche oggi. Essi avevano ben chiara, però, la differenza tra educazione (modalità auto-diretta) e indottrinamento (modalità etero-diretta). L’educazione, infatti, “aiuta l’individuo a esplorare diversi aspetti del mondo, compresi i suoi sentimenti e le sue emozioni, ma ogni scelta ed emozione restano faccenda individuale”.

L’indottrinamento è “un tentativo di persuadere o costringere l’individuo ad accettare un particolare punto di vista od opinione, ad agire in una particolare maniera, a professare un particolare valore o modo di vivere” (Tassonomia degli obiettivi educativi – Volume secondo: Area Affettiva, Giunti & Lisciani, Firenze, 1984-85, pag. 25).

La modalità auto-diretta, quella che dovrebbe essere propria dell’educazione di un paese democratico, fa perno sull’acquisizione dell’autocontrollo: L’uomo impara a usare la ragione per controllare le sue emozioni, riconoscendole e acquisendo forme di comportamento sane per regolarne il flusso.  Lo sviluppo della ragione umana e la capacità di saper esercitare un controllo sulla propria volontà, da parte di ogni individuo, diventano dunque un grande, nuovo impegno educativo che coinvolge il campo affettivo.

Deve essere ben chiaro che, visto che l’uomo è un animale sociale, autocontrollo significa libertà., ma anche assunzione di responsabilità individuale, disponibilità all’acquisizione di competenze e discernimento nelle scelte di vita. Imparare a camminare da soli vuol dire, come abbiamo appreso fin da bambini, anche a cercare di non cadere …

A lungo si è ritenuto, giustamente, che nelle scuole dovessero essere curati i dati forniti dai sensi alla nostra mente. I sensi sono altrettante finestre aperte sul mondo e il loro sviluppo è propedeutico a ogni attività del pensiero umano. Purtroppo non avviene lo stesso con i dati emotivi. Che cosa sono la rabbia, la paura, la gioia, l’amore, la meraviglia; cosa sappiamo di essi …?   La presenza di questa parte in noi è riconosciuta fin dall’antichità, ma come regolare le sue manifestazioni e sottometterle alla parte razionale è un problema che, nella storia, ha avuto un solo nome: repressione. Le emozioni tendono, infatti, a inondarci sommergendo la nostra parte razionale. Prendete un bambino: egli può diventare di volta in volta pura rabbia, o pura felicità. Il problema si pone anche da adulti.  Possiamo essere rabbia, felicità, paura, ma anche vergogna, senso di colpa, serenità. Il manifestarsi di queste emozioni può avvenire in un tempo, più o meno breve, o trasformarsi in sentimenti, stati d’animo ecc. (tutti elementi appartenenti alla nostra sfera affettiva) e diventare più o meno desiderabili compagni di vita. Esse possono essere la fonte per le più apprezzate e stupefacenti opere d’arte e dell’ingegno o trasformarsi in alluvioni distruttive per le manifestazioni più sconcertanti della follia, della ferocia e della crudeltà umane. 

Le emozioni sono state classificate in vari modi e si potrebbe riempire un dizionario intero con i nomi che vengono utilizzati per indicarle (vedasi, ad esempio, T. W. Smith, Atlante delle emozioni umane, Utet, 2017). Eppure, spesso restano totalmente sconosciute.

Grandi intellettuali, anche tra quelli che compaiono in tv e che dovrebbero essere modelli di vita, si mostrano dei veri e propri analfabeti emozionali. Esiste una parola per indicare questa ignoranza: alexitimia (mancanza di parole per esprimere emozioni) e ancora non c’è un abbecedario soddisfacente per imparare a superarla. Furono gli psicologi P. Salovey e J. D. Mayer, probabilmente, a utilizzare per la prima volta, in un loro articolo del 1990, l’espressione intelligenza emotiva. Fu tuttavia D. Goleman, con il suo saggio “Intelligenza emotiva” (RCS Libri & Grandi opere, Milano, 1996), ad aprire al grande pubblico lo spiraglio per accedere a un vero e proprio universo educativo inesplorato: quello della competenza personale e sociale delle emozioni, della loro classificazione e quindi delle potenzialità individuali di apprendimento emotivo. La conoscenza di sé è largamente incompleta se non identifica questa parte oscura, compagna inesorabile di ogni momento della nostra vita.

Daniele Fedeli, nel suo saggio La pedagogia delle emozioni (Anicia, Roma, 2013, pagg. 19-20), così delinea le abilità da sviluppare, a suo parere, in ambito scolastico:

  • Autoconsapevolezza emotiva (Riconoscimento e distinzione degli stati emozionali provati);
  • Gestione delle emozioni (abilità da acquisire nel controllo degli stati emozionali);
  • Automotivazione (“capacità di utilizzare emozioni positive, come l’orgoglio o il piacere, quali rinforzi intrinseci del proprio impegno”);
  • Empatia (competenza nel decodificare in maniera corretta le emozioni degli altri);
  • Gestione delle relazioni interpersonali (sviluppo delle abilità socio-affettive necessarie nel rapporto con gli altri).

Smaltiti (almeno si spera!) i fumi delle sbornie ideologiche e dei deliri aziendalistici, si auspica che la scuola possa cominciare a essere quel luogo in cui si annuncia e si persegue la qualità della vita umana: del singolo uomo e di tutti gli uomini. È necessario, però, ripartire dalla constatazione che l’uomo non è solo materia e ragione, ma che egli è persona (non massa anonima da indottrinare) e cioè, sensi, pensieri, immagini, emozioni (Le S.P.I.E. della mente, secondo lo psicologo D. Siegel), e che la sua mente si forma e sviluppa nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente. L’uomo è un pluriverso complesso e ogni tentativo di ridurlo a una delle sue parti si traduce inesorabilmente nel fallimento di ogni impresa educativa.

Le competenze emotive si conquistano attraverso quelle abilità pratiche (Skills) che ci consentono di modulare i nostri stati emozionali adattandoli al momento. La conoscenza delle emozioni, proprie e altrui, diventa quindi il primo passo da compiere affinché l’individuo sia in grado di esercitare su di esse il proprio controllo (e di non farsi controllare da esse o da altri). Il disegno di legge n° 2493, approvato dalla Camera dei Deputati del Parlamento italiano in data 11/1/2022 e avente come oggetto (Art. 1) lo “Sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi scolastici”, che prevede un piano di formazione per i docenti, un periodo di sperimentazione e una valutazione complessiva sugli esiti della stessa, sembra aprire un primo, timido spiraglio verso un nuovo modo di comprendere l’educazione. Fino a che non si farà attenzione allo sviluppo di ogni individuo nella sua interezza di persona, si continueranno ad allevare biechi blu, insensibili a ogni bellezza e a ogni valore umano e a fornir loro, più o meno coscientemente, la Malvagina per alimentare la loro rabbia.

Nota: L’insegnante che volesse approfondire gli argomenti trattati in questo articolo, può leggere, tra gli altri, oltre alle indicazioni bibliografiche già fornite sopra, il volume del prof. M. Baldacci, docente di Pedagogia generale dell’Università di Urbino, La dimensione emozionale del curricolo, (ed. Franco Angeli, 2008, Milano).

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