(Marcello Veneziani) – Nella piazza principale di Orbetello il disc jockey spara musica pop e una marea di giovani balla sotto il palco. Noto però una cosa che già mi è capitato di notare in altre occasioni: sciami di ragazze ballano tra loro e branchi di ragazzi ballano tra loro; nessuna inter-relazione, nessun gruppo misto, rarissime le coppie, di solito d’età più avanzata. Ognuno si balla addosso, ma sempre nella stessa cerchia monosex. La stessa cosa noto al bar, nei ristoranti, all’apericena: rare coppie e poi bande tutte maschili o tutte femminili. C’è un nuovo apartheid sessuale, come ai tempi in cui era vietato mescolarsi, anche se oggi deriva da campagne di diffidenza sessuale, timori di metoo, catcalling, molestie, sesso fluido e femminismo spinto, fino all’integralismo. Anche la fluidità s’irrigidisce davanti alla mescolanza più antica e naturale, quella tra maschi e femmine. Ricordo da ragazzo un film con una memorabile scena d’apertura: in una terrazza siciliana i maschi ballavano, anche i lenti, solo tra loro. Le donne erano un miraggio. Faccio notare questa nuova barriera sessuale a un amico più anziano di me. Il suo commento è “Meno male che non sono più giovane”. Come lo capisco.

Mi dice la stessa cosa al mare un anziano signore che mi addita sulla spiaggia un mucchio di siringhe usate per l’eroina: “Non rimpiango di essere vecchio, non vorrei essere giovane oggi”. Come dargli torto?

È un commento ricorrente, ormai, che si ripete non solo quando si parla di oggi, ma soprattutto quando si prospetta il domani. Sono in tanti a compiangere i ragazzi perché non avranno la pensione, vivranno nella precarietà e in un mondo pieno di pericoli e incertezze, dal clima alle mutazioni. “Non vorrei essere ragazzo” ripetono i miei coetanei e i più anziani. E accompagnano le loro parole con uno sguardo di sprezzante commiserazione verso i giovani (ma non sono gli stessi che da giovani guardavano con sprezzante commiserazione gli anziani, chiamati allora matusa?) E io li capisco e annuisco. Non è forse vero che i figli oggi vivono in media con meno agi dei loro padri, a differenza di quanto accadeva almeno da un secolo a questa parte? Non ci piace il presente e ci fa paura il futuro, così pieno di incertezze. L’unica consolazione, ripetono in tanti, è che non ci saremo. Una forma di egoismo mortuario, confidare nel condono tombale…

Però poi ci ripenso e confesso una cosa: sacrosante le loro osservazioni, condivisibili in teoria, ma poi c’è qualcosa che si ribella, e non so se definirlo un soprassalto biologico di vitalità o un desiderio nostalgico venuto dall’anima, e allora confesso: ma si, ci saranno pure tutte le incertezze, le fragilità, le infamie e le paure che voi dite sul presente e sul futuro, ma io vorrei essere giovane, come loro. Avranno tutti i fattori esterni e interni contro, vivranno in modo assurdo e con chiusure ieri impensabili. Ma baratterei la mia età grave con la loro età lieve, i loro corpi e i loro ormoni, la loro aspettativa di vita, le loro prospettive, pur con tutte le difficoltà che vivono. Certo, la gioventù è una bella età per chi ci è già passato. Il ricordo, la rielaborazione postuma di quegli anni, vissuti inconsapevolmente, rendono aurea un’età che mentre la vivi è piena di problemi. Sarà la nostalgia delle origini, il mito dell’infanzia, la bellezza di scoprire e conoscere le cose e gli amori allo stato nascente, la letteratura, la musica e il cinema che raccontano la gioventù favolosa; ma mi piacerebbe affrontare con l’energia, l’avvenire e la salute di un ragazzo quelle sfide impervie e quegli orrori di oggi e di domani. 

Mi sottraggo al giochino consueto: ma vorresti viverla come se fosse la prima volta, resettando tutto quel che hai vissuto finora, o con l’esperienza e la memoria della vita già passata? Non lo so, fate voi, in ogni caso ci starei, e non sono morbosamente attaccato alla vita, coltivo l’amor fati, accetto la parabola della vita, scruto l’oltrevita. Però se devo giocare, e dire quel che sento, allora si, lo dico: mi piacerebbe essere giovane oggi. Li commisero ma sotto sotto li invidio.

Poi cercando una motivazione ragionevole si può dire: con tutti i problemi di oggi non viviamo nel peggiore dei mondi possibili, altre generazioni se la sono vista peggio, tra guerre, fame, miseria, malattie più devastanti delle pandemie di oggi (pensate solo alla spagnola o alla peste). Ogni epoca ha le sue croci. E i vecchi si lamentano dei giovani da sempre. Basta leggere quel che scrive Platone contro i giovani d’oggi del suo tempo per rendersene conto. Per non andare lontano, i nostri nonni si lamentavano della de-generazione dei nostri padri, come loro di noi e noi dei nostri figli.

Però poi vedo le cose anche a rovescio e dico: si, non siamo al momento più basso nella storia dell’umanità ma stiamo toccando il punto di non ritorno; stiamo perdendo visioni, rapporti, realtà ed esperienze difficili da ripristinare. Mutazioni genetiche, perdita della natura, della realtà e della tradizione, intelligenza artificiale, transumano, perdita della differenza sessuale, fluidità, denatalità… Insomma ci sono ragioni valide per dire che stiamo entrando in un buco nero in cui è in pericolo la stessa umanità. Però, che vi devo dire, vivrei volentieri da ragazzo, sul campo, quel mondo e quel tempo che – con sollievo, come voi dite – ci godremo dalla tribuna dei defunti. Voi parlate con ragionato realismo, ma poi sopraggiunge l’incanto radioso della giovinezza. E i suoi cieli di leggera incoscienza si tingono di azzurro…

(Panorama, n.24)