Narrazioni. Lo specchio dei desideri

Il racconto che segue, di Sara La Torre, ha ottenuto il Secondo Premio per le classi quarte, tra i lavori giunti dal Centro-Sud nell’ambito del concorso Sulle vie della parità, sezione Narrazioni. Nato dal Laboratorio di giornalismo e scrittura creativa attivato presso il Liceo Classico Galileo di Firenze e seguito dal prof. Boschi, sviluppa in modo originale l’incipit di Antonio G. Bortoluzzi.

Incipit n. 3, Lo specchio dei desideri

Alla fine mi è toccato guardarmi allo specchio. E giuro che non lo volevo fare. Avrei preferito girare un po’ su Instagram, vedere che c’è di nuovo, o al limite scendere di casa e fare una corsa al parco: sudare mi ha sempre fatto bene, fin da bambino. Però lo specchio mi dice che se riuscissi a raccontare tutto, fino in fondo, sarei per una volta dalle parti della verità.

Chiudo gli occhi. Che diavolo sto facendo davanti a questo vecchio specchio? Scruto per un attimo la soffitta intorno a me, restando immobile, la tentazione è sempre maggiore. Alle orecchie mi arrivano attutite le grida dei manifestanti, maschi per lo più: chiedono a gran voce il rispetto dei loro diritti, che per una volta siano considerati alla pari delle donne. Sospiro lanciando un’occhiata alla finestrella semi-aperta. Sarebbe bello se un giorno fossimo davvero uguali. Non faccio in tempo a pensare questo che di nuovo avverto in me una sorta di strano influsso; in famiglia si tramanda da generazioni una storia sull’oggetto che mi sta davanti, ma fino a oggi non ci avevo mai creduto. Ora la leggenda è proprio qui davanti a me: lo specchio dei desideri. Vorrei lasciarlo perdere, dargli le spalle e andarmene, ma la tentazione è forte e anche il mio segreto lo è e preme per uscire da dove lo avevo rinchiuso. Mi sembra che una voce esca da quello specchio e mi dica – Guardami… Scuoto il capo, le mani fra i miei capelli neri, perché in testa mi sta balenando un desiderio, ma non posso, davvero non posso esprimerlo. Mi immagino già le battute in famiglia e fra i vicini, i loro sguardi carichi di divertimento. Probabilmente mi ricorderebbero la genetica, la stessa genetica secondo la quale il mio compito più importante in questa società è concepire figli, nient’altro. Non ho altro ruolo e di certo non mi darebbero mai il permesso di fare quello che voglio, sono un ragazzo, d’altronde: devo stare buono ed essere protetto. Però questo specchio potrebbe esaudire il desiderio che sento battere nel mio petto alla stessa velocità del cuore e io non posso davvero frenarmi. Lentamente alzo lo sguardo, tremante, e per un attimo vedo nello specchio una figura indistinta, prima di voltarmi e scappare fuori dalla soffitta, lontano dalle reliquie di mia nonna, lontano da quel maledetto oggetto impolverato e dimenticato. “Finalmente ti sei deciso a… Marco, come diamine ti sei conciato?” esclama mia mamma fissandomi a bocca aperta. Tiene in mano la borsa del lavoro mentre mio padre, impegnato a cucinare, mi lancia un’occhiata sorpresa. Io resto fermo, sgranando gli occhi: una muta consapevolezza ha preso piede dentro di me e mentre mi allontano correndo, terrorizzato, sento il mio corpo muoversi a passi di danza. Quel maledetto specchio ha esaudito il mio desiderio. Sono di nuovo in soffitta davanti a quell’oggetto stregato e lo prego, lo scongiuro che mi liberi da questa maledizione, ma le scarpette da ballo sono sempre lì ai miei piedi e la tuta nera fascia il mio corpo. Mi lascio cadere a terra, le mani sul viso. Non posso permettermi la danza, no. Mia sorella Beatrice può, non io, ne sono consapevole e forse è per questo che sto così male. Non so per quanto tempo resto così, mentre sento di sotto le loro voci concitate, ma nessuno viene a cercarmi. Se Bea fosse a casa probabilmente verrebbe. Salirebbe e capirebbe, ne sono certo, ma alla fine della sua lezione manca ancora mezz’ora e io sono terrorizzato al pensiero che possa giungere mia madre. Mi direbbe di piantarla con queste sciocchezze e di studiare, per riuscire a ottenere un impiego come segretario, dolendosi per l’ennesima volta di avere avuto un maschio. E questo mi farebbe più male di qualsiasi insulto. Non sento più alcun rumore in casa e questo mi spinge ad alzarmi. Guardo davanti a me e per un attimo mi sembra di essere in un salone da ballo, le luci accese sul soffitto e la sbarra di legno che percorre tutta la lunghezza della stanza. Ascolto la voce della coreografa e stavolta non dà consigli a mia sorella, li dà proprio a me come se potessi essere uno di loro, come se fossi uguale a loro. Ma è impossibile. Non è sport per me, anzi, per me sarebbe meglio restare a casa a cucinare e a badare alla casa, come consigliano le pubblicità in tv. Sono un ragazzo, è quello che mi spetta, eppure non riesco a trovarlo giusto. Più volte ho chiesto a mia madre perché io non potessi seguire la mia inclinazione come Beatrice, ma lei ogni volta mi dava la stessa risposta: “Siete aggressivi per natura: è per questo, tesoro. Solo per tenervi al sicuro da voi stessi…” Ogni volta replicavo che non potevamo essere tutti così, che io, suo figlio, non ero affatto così, ma lei sospirava scompigliandomi i capelli, come se ci fossero cose che io, come maschio, non avrei mai capito. A quel punto interveniva di solito mia sorella, pronta a difendermi, infatti mi ha sempre portato alle sue lezioni e mi ha reso partecipe della sua vita, nonostante tutti mi guardassero strano. E ora come potrebbero non farlo? Sono vestito da ballerino quando nemmeno esistono maschi che ballano, non sembra nemmeno possibile concepirlo. Solo mi chiedo: perché? Perché non posso fare qualcosa che mi piace? Perché non posso farlo solo perché sono un ragazzo? Non lo sopporto e non mi sembra giusto. A scuola ci insegnano che siamo tutti uguali, maschi e femmine, eppure nel mondo reale la donna è sempre privilegiata rispetto all’uomo. Perché, per qualcosa su cui non ho il minimo controllo, non posso essere libero di scegliere cosa fare? È con questi pensieri che faccio qualche passo di danza, anche se ancora incerto con quelle scarpette. Una musica mi risuona nelle orecchie e rivedo le ballerine dello spettacolo a cui ho assistito l’altro giorno di nascosto. Un sorriso appare sul mio viso pallido mentre imito i loro movimenti. Chiudo gli occhi e faccio una breve giravolta trasportato dalla melodia che esiste solo nella mia testa. Quando mi fermo ho le lacrime agli occhi. So già che non potrò farlo mai più, che quando questo strano sogno a occhi aperti finirà io non sarò più niente. Solo un ragazzo come tanti. Forse è per questo che a volte sento quasi di odiare mia sorella: lei ha tutte le possibilità di questo mondo, sono sicuro che diventerà famosa e sarà pagata una fortuna. Sospiro crollando a terra. Io invece non ho speranze. Sono un maschio e come tale so già che non avrò la stessa sorte, conosco il mio destino. E non è affatto giusto. Non importa se è da secoli che la vita va così, che ci dovremmo solo arrendere alla sorte… Ma perché qualcuno dovrebbe essere migliore di qualcun altro solo in base alla genetica? Mi guardo le mani impolverate e un sospiro malinconico mi esce dalle labbra. Perché? Perché deve andare in questo modo? Io vorrei soltanto ballare fino allo sfinimento, fino a quando le gambe non mi cederanno e io mi lascerò cadere sul palco davanti agli applausi del pubblico e invece non potrò: sono qui nascosto in una soffitta perché quello che desidero è sbagliato. “Marco, ci sei?”, da sotto mi stanno chiamando. Ho paura. Le gambe mi tremano mentre tento di rimettermi in piedi. Non voglio passare la mia vita in questo modo. Non voglio passare la mia vita in silenzio a cucinare pasti alla mia futura moglie. Non voglio passare la mia vita a sentirmi inferiore a lei. Vorrei solo essere io, Marco Velter, qualunque cosa scelga di fare. Vorrei non ricevere occhiatacce quando cerco di affermare un mio diritto, vorrei non dover essere cacciato da luoghi a me non consoni. Scuoto la testa. Forse davvero mi converrebbe tornare su Instagram, forse sarebbe meglio. Il telefono nella mia tasca vibra, ma io lo ignoro. Mia sorella entra nella stanza e io la guardo soltanto, gli occhi lucidi perché non ho più nulla da nascondere, lo specchio ha già detto tutto. Lei rimane per un attimo immobile, prima di stringermi a lei. “Cambieremo le cose, fratellino…” sussurra e noto che le trema la voce. “Ballerai anche tu, te lo prometto. Io sono diversa dai nostri genitori, a me non importa nulla se sei un ragazzo, ok? Non ti preoccupare. Hai sentito la manifestazione oggi? Presto otterrete i giusti diritti, ne sono sicura. Sennò mi batterò io stessa per far sì che succeda”. Beatrice continua a parlare, la voce rotta mentre io scoppio in lacrime sulla sua spalla. Lei mi abbraccia più forte e per la prima volta appare in me un nuovo sentimento che arriva forte in tutto il mio corpo: la speranza. La speranza che un giorno vada diversamente, che un giorno per davvero saremo tutti uguali e che un giorno anch’io possa ballare senza sentirmi in errore. È appena l’inizio, c’è tanto da combattere, ma ora esiste la mia speranza e anche l’impossibile mi pare a portata di mano. E poi non sono solo. C’è Bea con me. Non mi accorgo nemmeno che lo specchio si è scurito e ho di nuovo indosso i miei abiti di tutti i giorni, ma in ogni caso non importa. Non più. Aspettatemi, un giorno Marco Verter ballerà su tutti i palchi di questo mondo.

Racconto di Sara La Torre, Classe IV C, liceo classico Galileo, Firenze. Il giudizio della giuria: «Efficace il procedimento straniante che parte dall’idea di un mondo al contrario, in cui i ruoli sono ribaltati e i maschi discriminati, insieme a quella, ottimistica, dell’alleanza di entrambi i sessi, nella nuova generazione, per un futuro più giusto».

 

Racconto a cura di Loretta Junck

qvFhs-fCGià docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile. curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).

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