Come le IA stanno mettendo gli illustratori in mezzo a una strada, e cosa possiamo fare per fermarle

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#Midjourney, #StableDiffusion, #NovelAI, #OpenAI… scegliete voi. Ne esce una nuova ogni settimana.

Gli algoritmi in grado di generare immagini sono qui, e stanno mettendo a rischio l’intero settore dell’illustrazione e del concept design per i professionisti della creatività. I social network sono già inondati da tonnellate di immagini generate al computer, e da un numero paragonabile di artisti che giustamente se ne lamentano, si infuriano o che si sentono emotivamente devastati dalla situazione. Io lo so bene: mia moglie è una di loro. E pure io devo dire che mi sento abbastanza preoccupato.

Ho usato il logo della protesta di Artstation per coprire le immagini generate da IA sulla mia home di Instagram, giusto per darvi un’idea della quantità di immagini che stanno inondando il social network.

Questo non sarà un articolo tecnico, non possiedo né la competenza, né l’esperienza pratica con le IA per parlare del fenomeno in questi termini. Vorrei, piuttosto, analizzare l’impatto potenziale di questa tecnologia su un tipo di professione in cui ho lavorato molto anch’io, e avanzare qualche proposta tutta mia per dei potenziali approcci che potrebbero adottare gli artisti nei confronti di SkyNet-col-pennello.

Cos’è una IA e perché ti surclassa come artista

Allora, immagina questo: sei un artista e adori realizzare dell’arte. Magari ti consideri pure un bravo artista che ha studiato parecchio. Hai iniziato a disegnare da giovane, ti sei iscritto a una scuola d’arte per inseguire il tuo sogno e hai speso dieci, vent’anni o più della tua vita adulta a studiare, lavorare sodo e a fare lavori infami con scadenze impossibili per perfezionare le tue doti. Ti sei fatto il mazzo a contattare editori, agenti e a costruire il tuo personal brand sui social network e alle fiere, tutto per diventare un professionista riconosciuto; o magari ci stai ancora lavorando, perché quale artista si sente un professionista completo a cui non rimane niente da imparare o a cui aspirare?

Un bel giorno ti siedi alla scrivania dove lavori, apri Internet e ti capita davanti un bell’articolo che dice che perderai il lavoro entro qualche anno a causa di un’intelligenza artificiale. Perché? A quanto pare, perché qualcuno si è inventato un software che non è uno strumento fatto per essere usato da te, ma un computer che disegna al tuo posto, il che significa che adesso tu sei un lusso per molte aziende che cercano di tagliare le loro spese. Un PC disegna meglio di te (almeno finché non manda tutto a farsi friggere), mille volte più in fretta e per un millesimo della tua tariffa. Inoltre non si lamenta per le correzioni, non si ammala, non ha figli che si ammalano, non gli servono ferie, non va in crisi coniugale, e il fatto di avere molti clienti non gli fa rallentare le consegne. Perciò, adesso in termini competitivi tu sei una schifezza. Alle aziende conviene decisamente commissionare disegni al signor IA piuttosto che a te.

L’IA combina casini come questi, a volte, ma sta imparando molto in fretta.

Come la metti la metti, questa storia fa male. L’idea di venire rimpiazzato da una macchina senz’anima è dolorosa per qualunque artista, sminuisce tutto il duro lavoro che hai fatto nella tua vita ed è profondamente ingiusta.

Lo è ancora di più se pensi che l’IA probabilmente ha scansionato anche l’arte che tu stesso hai messo online, l’ha analizzata un bit alla volta, e l’ha manipolata per creare una nuova immagine; una nuova immagine che magari contiene i tuoi pixel, ma per la quale tu non riceverai il becco d’un quattrino. Perché è questo che fanno le IA: raccolgono immagini a miliardi dal web, le campionano e usano i dati che raccolgono per produrre nuove combinazioni, immagini completamente artificiali che sembrano nuove, ma sono in effetti dei rimescolamenti molto belli di disegni preesistenti. SENZA il consenso dell’autore originale. E senza aggiungere clienti al loro brand, o pagare loro delle royalties.

Non c’è bisogno che vi dica quali danni può produrre un simile approccio alla tecnologia delle IA. Molte aziende stanno già creando copertine di libri e concept art tramite questi algoritmi, e gli artisti che dipendono dalla loro arte per sbarcare il lunario perdono commissioni. Inoltre, questa pratica manda il messaggio che gli artisti sono una parte rimpiazzabile del processo creativo. Adesso provate un po’ a pensare di rimpiazzare il vostro dottore, o il vostro politico preferito con una IA: vi sembrerebbe ancora di giocare con un computer? Come facciamo noi artisti ad affrontare una simile perdita di competitività? E, l’IA è davvero un male o può essere usata anche per il beneficio degli artisti stessi?

IA, amico o nemico? Dipende.

Ora, so di essere stato un po’ melodrammatico con una simile apertura, quindi abbassiamo un po’ i toni e affrontiamo il problema nel modo più razionale possibile.

Molte grandi innovazioni a volte iniziano come un gioco nel garage di qualche nerd. Apple. Windows. Napster. L’ingegno umano è senza limiti e ci ha dato degli strumenti tecnici stupefacenti che hanno profondamente trasformato il nostro flusso di lavoro negli ultimi decenni (pensate solo alla transizione dal disegno tradizione a quello digitale) e tutto andava a meraviglia finché quelle innovazioni rimanevano dei semplici strumenti. Questa faccenda però è diversa e molto più sporca. Sarebbe corretto parlare di pirateria dell’IA? Le IA in grado di disegnare, dopotutto, si servono di database che contengono miliardi di immagini pubbliche al fine di produrre i loro output. Immagini che sono state incluse in tali database senza alcun consenso o conoscenza da parte degli autori originali. Perché? Perché a chi le ha create conveniva far così piuttosto che stare a chiedere il permesso a tutti o, ancora più scomodo, costruire un sistema progettato per essere giusto e di supporto agli artisti fin dal principio. I programmatori sapevano quello che volevano e se lo sono preso.

L’illustrazione generata da una IA che ha vinto un concorso.

Qualche mese fa, ascoltavo un podcast (che potete recuperare dal canale “Piove a cani e gatti”, lo trovate su Deezer) dove un mio caro amico, il doppiatore professionista Edoardo Stoppacciaro, denunciava l’arrivo di algoritmi che riescono a imitare la voce di un doppiatore. È stato piuttosto illuminante. In pratica diceva che un’IA può riprodurre la voce di un attore; a volte i risultati sono inascoltabili, a volte eccellenti, ma non riesce a imitare la sottile competenza o perfino quei piccoli errori di un essere umano che rendono autentica la recitazione. Il suo punto, comunque, era che le IA vocali stanno rischiando di mandare fallita, o perlomeno in seria crisi, l’intera categoria dei doppiatori. Questa cosa mi ha molto colpito.

Dopo aver ascoltato l’intervista, ho iniziato a riflettere invece su quali potrebbero essere i vantaggi di una tecnologia tanto sbalorditiva. Ho pensato che potrebbe essere di grande aiuto ai doppiatori se fosse usata correttamente. Diciamo, ad esempio, che un doppiatore si trova a non avere abbastanza tempo per svolgere più ruoli, o vuole prendersi una pausa; l’IA potrebbe sostituirlo temporaneamente. Nel senso che uno studio potrebbe affittare una versione virtuale del doppiatore in grado di recitare e pagarlo per questo. Fico. Che succede invece se l’attore è ammalato, o è giù di voce? L’algoritmo gli permetterebbe di finire l’ultimo episodio di quella serie TV che tutti aspettiamo. Perfino nel momento in cui dovesse ritirarsi, o morire, la sua voce potrebbe continuare a recitare in nuovi programmi grazie all’IA che ha campionato i suoi dati. Immaginate per un attimo di riavere voci come quelle di Ferruccio Amendola o Tonino Accolla, solo per citare alcuni dei nomi più illustri nel pantheon dei doppiatori che non ci sono più! Questo solleverebbe dei dubbi etici ed economici piuttosto profondi, credo. Le loro famiglie e i loro fan sarebbero d’accordo a riportarli in scena, anche se non sono più tra noi? In che modo le famiglie dovrebbero essere ricompensate, quali diritti avrebbero? Questo mi ricorda degli attori morti riportati in vita dalla CGI nei film di Star Wars. L’effetto è così realistico che l’ho trovato piuttosto inquietante. Possiamo definirlo tranquillamente una cosa “giusta”? Pensate ad esempio a Bruce Willis, che pare abbia venduto la sua immagine in CGI per continuare a recitare dopo il ritiro. Perciò, il rimpiazzo digitale di attori in carne e ossa si sta già verificando e potrebbe diventare pratica comune nel prossimo futuro. Tali usi sono stati finora regolati da accordi privati. Tuttavia, più che da contratti e accordi privati, dovrebbero essere regolati da leggi che definiscano i confini dell’uso di tutte le proiezioni immateriali della creatività di un artista, tali ad esempio la sua immagine, la sua voce e le sue creazioni indirette.

Una legge di questo genere esiste dal 1790: si chiama legge sul diritto d’autore, e sappiamo bene come funziona. I contenuti creati da un autore non possono essere riprodotti senza il suo consenso ed egli deve ricevere un compenso pattuito tra le parti nel momento in cui si realizza un profitto dalla riproduzione o vendita di una sua creazione artistica. Il problema è che il concetto storico del diritto d’autore mostra tutti i suoi limiti nell’era digitale, e ha bisogno di essere ripensato ed esteso per venire incontro alle questioni etiche poste dalla tecnologia del machine learning. Con il contenuto digitale ora disponibile in tutto il mondo, infinitamente riproducibile e perfino utilizzabile dalle IA come materia di base per produrre nuovo contenuto semi-originale, a chi spetta dire cosa appartiene a chi? Questo vuoto legislativo espone il contenuto creativo a forme di abuso.

Lo abbiamo già visto succedere con le nuove tecnologie. Nella fase iniziale si mescolano entusiasmo e rifiuto, poi inizia l’abuso, e infine arrivano i regolamenti che cercano di ristabilire una forma di equilibro, ma non prima che danni irreparabili siano stati arrecati. Questa storia delle IA che disegnano ricorda quanto è già successo con lo sviluppo dello streaming di musica e video, ma stavolta la storia rischia di prendere una piega davvero brutta per i creativi a meno che non decidiamo di agire.

Ricordate quando è saltata fuori la musica digitale? Quelli che hanno più di trent’anni dovrebbero. Se non siete tra di essi, vi consiglio di dare un’occhiata alla serie “The Playlist” su Netflix: è la storia di come Spotify è stata fondata nel 2006. All’epoca, Napster e The Pirate Bay avevano messo all’angolo l’industria della musica. Eravamo tutti lì a scaricare da Internet MP3 gratis come dannati. Sembrava la libertà, e in qualche modo c’era una forma di giustizia popolare in tutto ciò, ma in effetti la pirateria stava danneggiando i lavoratori delle compagnie discografiche e i musicisti stessi. Ci era difficile comprenderlo, a quel tempo; i beni digitali sembravano più immateriali. L’industria musicale stava collassando dopo decenni di dominio incontrastato delle case discografiche, e questo non portava alcun beneficio agli artisti che i fan professavano di amare. L’industria della musica cercò di contrastare il fenomeno attraverso la repressione, senza ottenere nulla. Le persone volevano musica digitale a buon mercato e gli piaceva portarsi milioni di canzoni in tasca ovunque andassero. Amavano avere accesso facile e veloce a ciò che volevano, ora che i mezzi tecnici per soddisfare questo bisogno esistevano. L’industria della musica sopravvisse solo perché decise di smettere di combattere il cambiamento e vi si adattò. Così prese forma un nuovo sistema di distribuzione che divenne più conveniente della pirateria. Pagando una piccola tariffa mensile, tutti potevano ascoltare la loro musica preferita. Perché continuare a disturbarsi a scaricare MP3? Perché perdere tempo a cercare le canzoni una a una, tenere in ordine librerie musicali, caricarle in dispositivi dalla memoria limitate e magari beccarsi qualche malware quando potevi avere molto di più, e molto più facilmente, pagando un piccolo abbonamento di 10 soldini al mese? Vincevano tutti. Ok, magari gli artisti alla fine non sono stati tanto contenti perché si sono beccati solo gli spiccioli, e questo sicuramente è un problema. Ma in teoria, il modello è valido.

La stessa cosa è successa a film e serie TV su scala più grande. Vi ricordate quando servivano tre giorni per scaricarsi un film piratato da Napster o da Emule? Beh io ringrazio che oggi abbiamo i servizi di streaming, perché ho tutti i film che posso desiderare a portata di mano, su tutti i miei dispositivi, ovunque vada. Se mi viene voglia di guardare un film sul telefono nei 20 minuti che passo sull’autobus, posso farlo.

Problemi critici nel settore dell’illustrazione digitale

Quindi, abbiamo fatto la transizione con i musicisti e i registi. Perché non riusciamo a fare lo stesso con i disegnatori? Perché ci sono delle differenze sostanziali.

Tutto ciò che ho detto prima si riduce ad alcuni semplici fatti:

1) L’IA per come è attualmente concepita NON è un canale distributivo per il lavoro umano, ma un sistema autonomo che sostituisce il lavoro umano senza prendere in considerazione i creativi stessi, a cui causa danni economici e intellettuali.

2) Nessun sistema di commercio efficace basato sull’intelligenza artificiale può essere progettato a meno che i diritti delle opere d’ingegno vengano sia definiti in modo appropriato, sia resi tracciabili in modo facile e chiaro tramite degli standard software ampiamente diffusi.

3) È indispensabile che un aggiornamento delle leggi sul diritto d’autore regoli i diritti intellettuali ed economici degli artisti nel campo del machine learning.

4) L’esistenza di forti gruppi d’interesse in grado di esercitare pressioni per l’applicazione di tali principi è un fattore chiave per raggiungere con successo un punto di equilibrio.

Sfortunatamente, nulla di tutto ciò è facilmente applicabile ai disegnatori.

La prima differenza consiste nel fatto che le IA non sono state concepite come un modo per distribuire contenuti creativi originali, ma per impossessarsi di, rielaborare e rivendere contenuti creativi attraverso una piattaforma software che fa del suo meglio per rimpiazzare gli artisti umani. Ciò significa che i creatori ne sono danneggiati; quelli che affermano che si tratta di uno strumento di lavoro semplicemente non hanno afferrato il problema. Semmai, sono gli artisti umani che vengono usati per addestrare gli algoritmi! Perciò, la prima cosa da fare per uscire da questo impiccio sarebbe ridefinire le leggi sulla proprietà intellettuale e dare maggior controllo ai creativi contro l’uso non autorizzato dei loro lavori da parte delle IA. I creativi dovrebbero poter autorizzare, o come minimo avere la facoltà di negare, la gestione delle loro immagini da parte dei software di sintesi grafica (su questo argomento vi suggerirei di leggere l’intelligente proposta dell’illustratrice Francesca Urbinati su un tag “Sì-IA” che ne abilita l’uso, che potete trovare qui; anche se probabilmente non sarebbe sufficiente, perché potrebbe essere facilmente ignorato o aggirato).

Per riuscire a fare ciò, ci servirebbe uno standard mondiale di autenticazione delle immagini. Abbiamo già gli NFT, una tecnologia blockchain, ma molti trovano che non funzionino molto bene, non mi addentrerò nei dettagli sul perché. Il sistema dovrebbe essere riconosciuto dalle leggi statali. Così ogni volta che tu artista rilasci i tuoi lavori sul web, lo fai sotto una forte protezione legale. Significa che puoi fare legalmente il culo a chiunque abusi del tuo lavoro, IA incluse. Raggiungere questo risultato dal punto di vista tecnico è già una sfida molto difficile, se non impossibile.

In teoria, però, questo permetterebbe sia il controllo che il tracciamento dell’arte digitale come proprietà intellettuale, ma ancora non basterebbe. Non possiamo sconfiggere le IA in questo modo perché sono in grado di digerire e rimaneggiare i tuoi dati al punto da renderli completamente irriconoscibili. Pertanto, quello che ci serve sono leggi che stabiliscano che i dataset delle IA possono contenere solo immagini autorizzate, e che quelle che non rispettano tali regole vadano messe al bando. Questo creerebbe i presupposti per costruire un sistema partecipato dove, quando le immagini di un creativo sono usate da un algoritmo e il risultato viene scaricato, il creativo che si è registrato come fornitore guadagna alcune royalties. Dunque, un creativo che prima realizzava 10 immagini al mese lavorando a mano, può invece farne 5 mentre l’IA ne sforna 500 e per ognuna gli paga una piccola tariffa. QUESTO renderebbe l’IA interessante e non così dannosa per gli artisti.

Rendere tutto ciò realtà però non è facile. Qui arriva un’altra grossa differenza con i media discussi in precedenza.

Mentre le industrie della musica e dei film avevano dei grossi giocatori seduti al tavolo quando il XX° secolo gli è esploso in faccia, l’industria dell’illustrazione non li ha. Beh, non proprio, diciamo.

Ci sono, in effetti, grosse agenzie di illustratori, questo è vero, ma potrebbero non avere il potere di esercitare una pressione sufficiente per costruire una struttura legale così complessa. Comunque lo sappiamo bene che i diritti degli illustratori non sono mai stati una priorità nell’agenda di nessuna forza politica, perché non è mai esistita una pressione di massa per riconoscerli e applicarli. Paradossalmente, è stata la presenza delle grandi compagnie a giocare un ruolo fondamentale nel governare la transizione del mercato della musica e dei video da fisico a digitale. Il mercato digitale è nato senza regole, ma le major disponevano di sufficiente potere economico e politico per guidare la sua trasformazione in un modo che fosse vantaggioso per loro e per i clienti – non tanto per i creativi, ma comunque meglio di un mercato senza regole destinato al collasso. Alla fine, Dio mi perdoni per essermi complimentato col capitalismo, avere una potente oligarchia che teneva in mano le carte si è rivelata una cosa buona per tutti, almeno questa volta.

Questo non è altrettanto vero per il mercato dell’illustrazione. Non c’è mai stato un singolo attore così forte, una presenza così autoritaria da imporre uno standard universale di creazione e distribuzione al mondo intero in questo settore. I disegnatori sono da sempre una categoria più indipendente e frammentata, i suoi membri spesso hanno poco o nulla a che fare gli uni con gli altri. In una situazione di questo genere, ciò costituisce uno svantaggio. L’onda delle IA non trova un fronte unito di pari forza a sfidarla. Dunque, gli artisti corrono il serio rischio di perdere questa competizione, dove musicisti e registi hanno più o meno vinto la sfida della distribuzione digitale.

Come si evolverà la faccenda e come possiamo intervenire

L’IA si affermerà, che lo vogliamo oppure no. Tuttavia, penso si possa dire con una certa sicurezza che l’IA a un certo punto verrà regolamentata. La domanda è quando queste regole arriveranno e che forma prenderanno. E, quale contributo possiamo dare noi a scriverle.

Come ho detto prima, siamo ancora nella fase in cui le IA possono fare quello che gli pare. Se ne farà un abuso più spregiudicato prima che le cose migliorino. Non penso che le IA spingeranno gli artisti umani all’estinzione totale, così come la TV e gli ebook non hanno spazzato via i libri cartacei, o per rimanere più in tema, come il disegno digitale non ha spazzato via il disegno tradizionale. Ma ci sarà da soffrire e adattarsi. Di sicuro molti artisti vedranno un’importante riduzione del loro volume di affari come conseguenza dell’uso di algoritmi di generazione immagini da parte di aziende e studi, che le sfrutteranno per tagliare i propri costi di produzione. Probabilmente, alcuni artisti inizieranno a usare in prima persona le IA per accelerare il loro processo creativo e vendere loro stessi il risultato alle aziende, ma ci vorrà tempo prima che una vera legge s’imponga.

Noi, nel frattempo, cosa possiamo fare?

Per prima cosa, NON dovremmo ignorare l’ascesa delle IA in grado di disegnare. Il rifiuto è una reazione comprensibile, ma come l’industria della musica ci ha insegnato, negare il progresso fa più male che bene ed è il modo migliore per farsi cogliere impreparati dal nuovo che avanza. Piuttosto, dovremmo imparare come funzionano le IA, capire cosa possono e non possono fare, così da comprendere a nostra volta quali competenze dobbiamo acquisire per riposizionarci come professionisti in un mercato in trasformazione. È probabile che in futuro il mercato dell’illustrazione diverrà ancora più competitivo ed esigente in termini di competenze tecniche e digitali; gli artisti pronti a ignorare tutto ciò rischiano di ritrovarsi in una posizione marginale. Sviluppare uno stile e un brand personale, uno che non possa essere facilmente riprodotto dagli algoritmi, e stringere forti legami di fiducia con i clienti diverrà perfino più importante che in passato.

Un altro approccio è far lavorare l’IA a nostro favore. Proviamo a immaginare che gli artisti riescano a supportarsi a vicenda costruendo una grande comunità attorno a un motore di intelligenza artificiale che faccia un uso etico del loro lavoro. Come potrebbe funzionare questo modello di business? Per prima cosa, gettiamo le basi di una piattaforma social basata sull’IA a cui gli artisti possano registrarsi. I sottoscrittori contribuiscono alla piattaforma caricando manualmente i loro lavori nel database dell’IA oppure li postano taggandoli in modo che vengano letti dal motore del software, contribuendo a costruire una libreria comune che contiene i contributi di tanti partecipanti che hanno dato il loro libero consenso. I loro disegni sono utilizzati dagli utenti attraverso l’IA per produrre immagini che i membri della community possono usare per il proprio lavoro, ma ogni volta che un’immagine viene renderizzata e scaricata, delle royalties vengono pagate agli autori delle immagini sorgenti come forma di introito passivo. Va da sé che le immagini possono essere rimosse in qualsiasi momento dal database dagli utenti stessi. Il sistema rimane sotto il controllo degli artisti e costituisce un modo etico di fare affari nel campo dell’arte con l’IA. Pensate a come questo sistema potrebbe velocizzare e migliorare il vostro lavoro, senza nuocere a quegli artisti che non vogliono farne parte.

Tenete a mente che le persone capiscono la differenza tra un oggetto, o un quadro, che è stato realizzato a mano da un essere umano per loro e uno che è stato vomitato fuori da una macchina. Il lavoro di una macchina può essere splendido e impressionante, probabilmente più del vostro, ma non ha alcun concetto dietro, e dunque ha un valore immateriale molto basso; quello di cui sto parlando è il valore percepito, cioè quello che viene attribuito da un consumatore a un prodotto. Potete notare questo effetto, ad esempio, quando paragonate i mobili industriali a quelli realizzati da artigiani e designer. Oggi non vediamo più cento falegnamerie in ogni città, ma un paio di laboratori altamente specializzati, visitati da una clientela selezionata che cerca oggetti unici; se cerchi una roba generica a buon mercato, vai all’IKEA. Il lavoro artigianale ha, e sempre avrà un valore molto speciale, e molte persone ancora lo apprezzano. Pertanto gli artisti di certo non scompariranno. Ma dovranno accettare la sfida che è stata lanciata e trovare dei modi di coesistere con le IA finché non verrà trovato un equilibrio.

Questo non significa che dobbiamo limitarci ad aspettare e soffrire in silenzio. Per trovare la quadra, è indispensabile lavorare insieme e fare pressioni su creatori di IA, editori, agenzie di artisti e infine sui governi per regolamentare una materia che sta iniziando a impattare non soltanto l’arte ma sempre più settori della creatività e dell’intrattenimento. Gli utenti su Artstation e altri grossi social network hanno già lanciato un’offensiva a tutto campo fatta di proteste e abbandoni contro le immagini generate da IA, e sia la Cina che il Governo Europeo (con mia grande sorpresa, lo ammetto) stanno lavorando su nuove norme per regolare le tecnologie di machine learning, sebbene non sia ancora chiaro se o come queste nuove regole coinvolgeranno il segmento delle IA in grado di generare immagini da comandi testuali. I social network possono rimpiazzare i grandi player del settore consentendo agli artisti di organizzare azioni concrete, e alcune iniziative protezionistiche stanno già decollando; ad esempio Karla Ortiz, membro del consiglio direttivo della Concept Artist Association, ha dato inizio a una campagna di crowdfunding su Gofundme per promuovere una class action contro i creatori di IA che ha già sfondato i $115.000 di contributi nel giro di appena tre giorni. C’è poi ancora da vedere come reagiranno i grandi produttori di hardware e software per artisti (come Wacom, Adobe, Apple), che rischiano di subire un grosso danno al loro volume d’affari da questa tecnologia, e che potrebbero avere tutto l’interesse a supportare finanziariamente la protesta degli artisti che usano i loro prodotti. Dobbiamo trovare dei modi per farci sentire e spiegare alle persone che le IA non regolamentate ledono i diritti dei creativi che dipendono dalla loro arte per vivere. Oggi le IA hanno imparato a disegnare, ma domani realizzeranno video, musica e doppieranno i media di cui fruiamo. Nemmeno io, come scrittore, posso dire di dormire sonni tranquilli perché ci sono intelligenze artificiali che stanno imparando a scrivere libri. Quindi, a meno che non ci piaccia l’idea di venire silenziosamente rimpiazzati da delle macchine, dobbiamo ESIGERE delle leggi adeguate e perseguire delle class action, invece di ripetere gli stessi sbagli del passato. Il destino dell’arte genuina in molte forme dipende da questo.

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2 risposte a Come le IA stanno mettendo gli illustratori in mezzo a una strada, e cosa possiamo fare per fermarle

  1. Fairy Qu33n ha detto:

    Già anni fa ioavevo scritto un post in cui mettevo in guardia dagli usi che avrebbero fatto delle IA a scapito di lavoratori come gli illustratori, scrittori, pittori ecc.. Ma ovviamente noi che parliamo di certe verità siamo solo dei folli complottisti. Le leggi adeguate? Non credo che ne faranno. Ci sono troppi interessi economici in gioco. Pensa a quanto risparmieranno le agenzie di marketing. Credi che si preoccuperanno di tua moglie o di tutti gli altri artisti? È una società di squali ormai. Stiamo perdendo tutto 😞

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