Il cimitero dei thrasher: HEATHEN – Empire of the Blind

Il giovane Louis si era trasferito tutto solo a Ludlow, un piccolo paese del Maine dove certamente lo avrebbero lasciato in pace. Non gli interessava la sua professione di medico, né gli interessavano i pensieri bigotti dei suoi parenti di Chicago e i lamenti di Zelda: voleva soltanto ascoltare thrash metal, e l’interferenza di chiunque si sarebbe presto tradotta in attrito o peggio ancora in conflitto. Ludlow gli sembrava perfetta per i suoi scopi, e la grossa casa di campagna acquistata per poter riempire ogni suo vano di cd e vinili pareva serbare una sola interferenza: una strada di tanto in tanto trafficata da camion grossi quanto l’abitazione.

Non socializzò molto, ma il vecchio Jud riuscì a portarlo un paio di volte nel bosco e presto lo scoprì gran camminatore. Gli raccomandò, però, di non superare un confine ben stabilito, poiché il solo oltrepassarlo l’avrebbe accompagnato al vecchio e proibito cimitero indiano. Per lui quella barriera di legname marcio non era minacciosa quanto il suono dei motori da settecento cavalli degli inarrestabili Orinoco, e perciò, non diede molto peso a quelle parole così grottesche e cariche di monito.

La sua vita era perfetta, adesso. Louis era riuscito a mettere in disparte tutto fuorché gli incubi su Zelda. La sua parente non aveva niente che non andasse, almeno, non per coloro che le vivevano attorno e la invitavano a cena: amici, la solita assicurazione sanitaria, un partner e pure un lavoro dignitoso presso gli uffici d’una multinazionale. Tuttavia si era appassionata ai Machine Head di mezzo, e, nei suoi sogni, Louis la vedeva deforme, con la spina dorsale arcuata, che gli si avvicinava tenendo in mano il compact disc di Supercharger come fosse una lama. Si svegliava nel cuore della notte in preda all’orrenda visione e compensava ad essa giocando: raggiungeva di corsa il ciglio della strada, e, standosene fradicio in mezzo alla rugiada, metteva di fianco i grandi classici del thrash metal e li faceva combattere, decretando ogni volta un vincitore diverso. Stavolta era toccato a una seconda linea: Breaking the Silence degli Heathen, cavallo di battaglia del migliore speed metal di fine anni Ottanta. Aveva battuto, e nemmeno ai punti, il primo album dei Toxik, World Circus.

Il giorno seguente andò nel bosco e iniziò a scavalcare la catasta di legna che delineava la fine del piccolo e ospitale cimitero degli animali domestici, e ben presto scoprì che Jud l’aveva seguito.

“Louis, quel luogo non fa per te.”

Gli raccontò una storia, pareva il riflesso contorto che solo un vecchio decrepito può avere della realtà che lo circonda.

Una volta Jud si era disperato, sedendosi, davanti a casa sua, a contemplare l’oscurità della notte dalla sua scricchiolante sedia a dondolo. Quindici anni prima aveva perduto per sempre la sua band preferita, gli Onslaught, e da allora aveva ritrovato conforto soltanto nell’alcolismo. Era partito di gran classe, alternando un fumoso Ardbeg Ten al più liscio Red Breast dell’Irlanda, per poi degenerare e infine scolare in una serata intere bocce di Four Roses, quello che espongono nei bar per farti un cocktail e annegare i suoi malvagi sentori nientemeno che nel ghiaccio. Jud iniziava ad avere problemi con la salute, un fegato pulsante di dolore che iniziava a non filtrare più. Necessitava con urgenza che gli Onslaught dessero un seguito a In Search of Sanity. E fu così che si incamminò nel bosco.

Superò rovi e fango, cenge rocciose e torbiere, e, una volta giunto all’antico cimitero degli indiani, seppellì in una simbolica bara di stoffa Power From Hell e The Force, poiché era così che avrebbe rivoluto indietro i suoi Onslaught. E le antiche dicerìe del luogo gli promettevano che li avrebbe presto riavuti.

“Louis, come ben saprai gli Onslaught sono davvero tornati a me. Inizialmente ne ero felice e Killing Peace mi diede pure una certa soddisfazione, ma poi le cose sono andate degenerando. Chiunque tu seppellisca nel cimitero degli indiani non tornerà mai come era prima, e lentamente si distaccherà dall’immagine che di esso amavi. Per colpa mia gli Onslaught di oggi suonano come i peggiori Testament.

Il pomeriggio seguente Louis era pensieroso e si posizionò sul ciglio della strada per far combattere i due album storici degli Heathen: meglio l’essenziale Death by Hanging, in apertura del debut, o i tecnicismi del meraviglioso Victims of Deception? L’avrebbe scoperto molto presto, se solo non l’avesse destato un suono.

Era il telefono di casa che squillava da interminabili minuti. Louis corse dentro abbandonando lì i due capolavori del metal americano, e, da Chicago, lo rassicurarono sul fatto che Zelda stesse molto meglio giacché da Supercharger era perlomeno passata a The More Things Change. Un piccolo passo in avanti che a lui non bastava affatto: Robb Flynn era un altro. Aggiunsero anche un altro particolare, ma lui non poté sentirlo perché era appena passato uno di quegli enormi camion della Orinoco. Inoltre, aveva già in testa un pezzo dei Vio-lence di cui non si ricordava il titolo.

Al ritorno sul ciglio della strada lo accolse l’Orrore.

Il camionista doveva essere particolarmente assonnato, perché aveva guidato sull’erba per più di duecento metri sulla dritta che costeggiava casa sua. Di Breaking the Silence e del suo articolatissimo rivale non rimanevano che frammenti di policarbonato sparsi un po’ ovunque. Dove stava Opiate of the Masses? Avrebbe mai potuto rimetterla subito prima di Heathen’s Song? Pianse, e pianse così forte che Jud poté sentirlo e raggiungerlo, con il conforto di uno scadente Blended scozzese preso al mini market di Ludlow.

Fu presto deciso. Quella stessa notte Louis partì guidato dalla luna piena, con al collo un pessimo Bourbon, alla mano sinistra il bastone di Jud e alla destra il sacchetto contenente più resti che si poteva dei due amati album. Ebbe più volte paura. I suoni dei rami erano secchi e minacciosi, e una poiana urlò ripetutamente sopra la sua testa; in più, il tempo sembrava peggiorare di minuto in minuto. Se solo Jud avesse avuto vent’anni in meno e un briciolo di forze per accompagnarlo! Da solo, Louis raggiunse le lande desolate e seppellì quel che rimaneva degli amati Heathen. Fece ritorno a casa per godersi un sonno tutt’altro che ristoratore, in cui Zelda aveva appena acquistato due dischi dei Lamb of God e assunto deformità così indescrivibili da apparirgli diaboliche.

Il mattino seguente faceva freddo, era pieno gennaio del 2010. Non trovò niente di pronto per la colazione, ma sul tavolo di cucina v’era in bella mostra The Evolution of Chaos e i suoi occhi esplosero di gioia.

Passò la giornata ad ascoltarlo, e poi l’intera settimana. Jud lo scrutava attraverso i sudici vetri delle finestre, e intanto l’erba del suo giardino cresceva fino a nasconderlo dalla spia amica, visibilmente preoccupata per lui. The Evolution of Chaos non era un album del 1991 nella forma e nemmeno nel concetto, ma un ritorno dignitoso che giustificava la sua temeraria camminata attraverso sentieri impervi che gli abitanti più anziani e saggi di Ludlow gli avevano vietato: immondi detrattori del thrash metal, spero che nel frattempo siate morti tutti! Attese con ingordigia un altro album degli Heathen che molto semplicemente non giunse mai sul suo tavolo, né era ordinabile su un catalogo cartaceo: non poteva far combattere l’ultimo con i precedenti, non sarebbe stato onesto. Il negozio di dischi di Ludlow, poi, era appena diventato un emporio di giardinaggio come a suggerirgli che quell’erba era da tagliare. Passarono gli anni, al che Jud lo raggiunse, e, con un pizzico di timore, gli riferì questo:

“Su Spotify c’è il nuovo singolo degli Heathen. Stanne alla larga, Louis. Le terre in cui li hai sepolti sono maledette. Li hai fatti ritornare su Nuclear Blast, lo sai, Louis? Sono ritornati nello stesso luogo a cui appartengono i Machine Head”.

Louis si voltò di scatto come se avesse sentito pronunciare l’ultima frase niente meno che a una contorta e morente Zelda, ma aveva di fronte solo quel vecchio alcolizzato che più volte l’aveva redarguito sul non oltrepassare una semplice catasta di legname decomposto. Per poi consigliargli l’esatto opposto, dannato vecchio. Lo ignorò e rientrò in casa, dove nessun telefono cellulare o computer gli avrebbe permesso d’aprire quell’ignobile piattaforma streaming di cui sentiva spesso parlare. Rimise su Victims of Deception mentre lo scorrere del tempo iniziava a restituirgli il reale distacco fra l’uscita del 1991 e quella del 2010.

Il mattino seguente ebbe in tavola la più ghiotta delle colazioni: Empire of the Blind. La copertina, sempre di Travis Smith, era molto più anonima e meno memorizzabile della precedente, e i suoi toni improvvisamente caldi gli prospettarono un profondo cambiamento. Le dominanti sugli album degli Heathen erano sempre state fredde, che cosa stava accadendo? Se solo l’avesse scoperto Doug Piercy! Lo girò sul retro: c’era davvero scritto Nuclear Blast.

Guardò di scatto verso la casa di Jud.

Sulla vecchia sedia a dondolo che mai aveva tolto dal porticato vi era seduto proprio lui, ma non lo stava affatto spiando. Teneva la testa riversa all’indietro, come se si fosse addormentato in una posizione così scomoda che solo un eccesso di Jim Beam avrebbe potuto suggerire. Louis decise di andare comunque a controllare, si trattava pur sempre d’un carissimo amico.

Jud era morente, e non gli restava che un sottile filo di voce.

“Non lo ascoltare, Louis, li hai fatti diventare vuoti come gli ultimi Exodus. Non quelli di Force of Habit, magari li avessi fatti diventare come quelli di Force of Habit. Credo che alla tua Zelda piaceranno proprio tanto. Non li ascoltare. Louis.”

Nel dubbio, strinse forte il cd e andò in strada ad aspettare il prossimo autista mezzo addormentato della Orinoco. (Marco Belardi)

6 commenti

  • Tutto divertentissimo, ma i Mondiali??

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  • Sei un geniaccio, Belà. Non avevo ancora sentito nulla fino a oggi del disco in oggetto. Madonna che grande cacata.
    E mi dispiace perché voglio bene agli Heathen. Mi sono fermato alla decima traccia, tra l’altro. Non ce l’ho fatta a finirlo.

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  • Basta ascoltarlo più di mezza volta e si svela per quello che è: l’ennesimo ottimo album degli Heathen.
    Poi se si vuole spalare merda per forza su tutto è un altro conto, però i dischi sarebbe buona cosa ascoltarli e assimilarli.

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    • L’ho riascoltato più volte per intero dal mio post precedente. Se vuoi ti dico la mia con un po’ di serietà in più. Al netto di tutta la plastica si sente tantissimo che l’ha composto da solo Kragen Lum. E come direbbe il dottor Egon Spengler, “questo è male”. Anche perché, inevitabilmente o meno, si sono exodusizzati nelle parti più tirate e banalizzati tantissimo pure quando calcano la mano sulla melodia. Sto disco è pronto dal 2014. Ed è male pure questo. Non ci hanno più messo mano, se non negli arrangiamenti di un paio di brani. È matematico: se non tocchi più qualcosa che lasci impolverare per più di un lustro, quando ci torni su ricorri al mestiere. E dagli Heathen non mi aspetto mestiere. Non mi basta, proprio no. Sono anziano.

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  • Ohi, Belardi. Se hai 3/4 d’ora fammi sapere che ne pensi.
    Io l’ho trovato bello.

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