Io, come molti altri ho imparato da lui a mettere i poveri al centro della nostra vita. Già da ragazza, nella mia formazione dai gesuiti, avevamo imparato che Vangelo e giustizia non si possono separare e che la fede implica un impegno, personale e “politico”, accanto alle persone e nella storia.
Ma con Giovanni di più: lui non promuoveva opere o azioni di carità e di impegno. Lui i poveri ce li aveva in casa, li ha sempre avuti, in una condivisione di vita profonda, direi quasi una “contaminazione” di identità. Perché – diceva e viveva – «i poveri siamo noi, che non viviamo fino in fondo il Vangelo e ci crediamo pieni di strumenti. Loro, i nostri amici, il Vangelo ce l’ hanno dentro, nella loro vita».
«Impariamo da loro» diceva e lui, un po’ eccezionale in questo, sapeva farlo nella sua quotidianità di vita personale e in quella che condivideva con la sua comunità, fatta di donne e di uomini.
Questa è l’eredità più grande, che per lui nasce dalla centralità della Parola e nella propria vita.
Amelia Frascaroli