The Colosseum Book: l’immagine del Colosseo nei secoli

“Tutti hanno in mente l’immagine del Colosseo, tutti riconoscono quella cappelliera piena di buchi e di finestre, rotta da una parte, come se avesse avuto un morso”

Con questa frase di Mark Twain si apre “The Colosseum Book“, il volume Pop a corredo della mostra “Colosseo. Un’icona” in mostra al Colosseo, di cui ho parlato qui. Edito da Electa, questo volume (nelle versioni di copertina gialla e viola) non è il catalogo della mostra, ma è a se stante, un completamento, se vogliamo, della mostra, in particolare della seconda parte della mostra.

Scopo di “Colosseo. Un’icona” è raccontare la fortuna del Colosseo attraverso i secoli nell’iconografia.

Fin dall’inizio, fin da quando viene costruito, l’Anfiteatro Flavio è destinato a colpire l’immaginazione di chi vi entra, vi passa accanto, assiste agli spettacoli. Nella migliore tradizione del reimpiego, quando l’anfiteatro viene inaugurato dopo i restauri seguiti al terremoto del 443 d.C., l’iscrizione dedicatoria viene incisa sulla stessa epigrafe che aveva segnato, nell’80 d.C., la prima inaugurazione dell’edificio di spettacolo, sotto l’impero di Tito. Questo è già il primo segno della notorietà riconosciuta dell’edificio.

Moneta di Gordiano III raffigurante giochi gladiatori nell’Anfiteatro Flavio. Siamo nel 240 d.C.

Ma è quando l’edificio perde la sua funzione che la questione si fa interessante. In mezzo a tutte le rovine di Roma, il Colosseo è sempre immediatamente riconoscibile. È vissuto, reimpiegato con varie finalità nel corso del Medioevo e oltre (questa fase è stata indagata dagli scavi di UniRoma3), fino a diventare una vera e propria icona, un simbolo, nei secoli a seguire.

The Colosseum Book propone tante tantissime immagini che ripercorrono per temi il ruolo del Colosseo nell’immaginario collettivo. Personalmente apprezzo l’ampia selezione di opere del Novecento e contemporanee, dove il tema della reinterpretazione dell’antico, in questo caso la rilettura di un monumento quale l’anfiteatro flavio, è protagonista.

Ma facciamo un passo indietro nel tempo.

Io, che personalmente amo Pieter Bruegel il Vecchio, sono felice di trovare La costruzione della Torre di Babele, ispirata all’architettura dell’Anfiteatro Flavio. Il Colosseo, simbolo della romanità e del martirio dei Cristiani da parte degli Imperatori romani, era noto a Bruegel che l’aveva visto personalmente durante il suo viaggio in Italia nel 1533.

Pieter Bruegel il Vecchio, la costruzione della Torre di Babele. Credits: Wikipedia

Si possono individuare alcuni filoni (poi ognuno sceglierà quello che preferisce): la visione del Colosseo come monumento del quale si riconosce il valore storico e che quindi è lo sfondo perfetto per rappresentazioni paesaggiste o storiche: le vedute di Gaspar Van Wittel sono note per la loro rappresentazione del Colosseo in un paesaggio bucolico e sospeso nel tempo; le opere di Lawrence Alma-Tadema e di Jean-Léon Jérôme, in particolare il notissimo “Pollice Verso riportano chi guarda in un antico mondo romano idealizzato, ma ben descritto. Siamo nella seconda metà dell’800.

Jean-Léon Jérome, Pollice Verso, 1872 Credits: Wikipedia

Ma è con l’era fascista che il Colosseo diventa vero simbolo. Simbolo di un impero da ricostituire, simbolo di una romanità di cui andare fieri e da restaurare, simbolo di un’eredità che più che essere culturale diviene ideologica. È anche, e non per caso, il momento dei Futuristi, che per primi cominciano a mettere in discussione i vecchi miti e glorie del passato. In Spiralata, di Tato, e in Aeroritratto di Benito Mussolini Aviatore di Alfredo Gauro Ambrosi, i due temi, del fascismo e del futurismo, si fondono.

Aeroritratto di Mussolini aviatore

Frattanto anche la fotografia, come forma artistica, ma soprattutto come documento, prende piede. Così le sfilate fasciste o la visita del Führer a Roma vengono immortalate dagli obiettivi fotografici e dalle copertine di riviste come Il Mattino illustrato o La Domenica del Corriere (che in realtà usa illustrazioni): il fine è la propaganda politica, ideologica, di regime. Il Colosseo esprime una continuità con l’antico glorioso passato dell’Impero romano.

Il Mattino Illustrato, 9-16 maggio 1938

Tralasciando la presenza del Colosseo nel cinema non solo italiano, ma internazionale (e chi non ha visto Il Gladiatore?), è interessante notare come l’Anfiteatro Flavio venga sfruttato per creare parchi e resort tematici, al limite del dissacrante: Hotel Colosseo. Europa Park. Rust, di Alfred Seiland è esemplare in tal senso.

I manifesti di Alberto Burri per Italia 90, i Mondiali di Calcio, sono la perfetta celebrazione dell’Italia: in 6 manifesti il Colosseo è visto dall’alto, e ogni volta l’ellisse ospita un campo da calcio diverso.

The Colosseum Book è un libro da sfogliare e risfogliare, zeppo di citazioni letterarie, perché non solo nelle arti figurative, ma anche nella letteratura esso ha fatto parlare di sé. Io che amo le reinterpretazioni e le incursioni dell’arte nell’archeologia non posso che amare questo catalogo, questa raccolta, quest’antologia di immagini e di suggestioni. E poi, diciamocelo, la copertina gialla è la ciliegina sulla torta.

Questo è un libro per cui non vi auguro buona lettura, ma buona visione!

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