Il Ciclo Boxe del Zinefilo continua con il remake del pessimo film visto la settimana scorsa: Anima e corpo (1947).
Riusciranno quasi quarant’anni di distanza a migliorare la sceneggiatura? No…
Siamo nell’annus mirabilis 1981, quando il cinema di genere cambierà per sempre, e lo farà grazie a due geni visionari dell’intrattenimento di massa: i cugini Menahem Golan e Yoram Globus.
In quel 1981 la Golan-Globus Productions – tramite la sua storica casa distributrice Cannon – presenta tre titoli: un horror (Hospital Massacre, che credo non abbia lasciato molte tracce), il primo ninja movie occidentale (Enter the Ninja, L’invincibile ninja che farà esplodere il fenomeno in ogni angolo del pianeta, come racconto nel mio saggio Ninja. Un mito cine-letterario) e infine un film di boxe: Body and Soul.
E chi deve guidare la speranza del cine-boxe? Un DJ che si fa chiamare Leon the Lover e che oggi è ministro del proprio culto…
Negli anni Settanta la blackspoitation tira di brutto e gli attori d’azione neri sono supercool, come il mitico (e compianto) Jim Kelly di Black Samurai (1977). In questo sottobosco di film trova uno spazietto Leon Isaac, che in realtà fa giusto comparsate: il film che lo lancia sul serio è Penitentiary (1979), gioiellino grezzo tra gli antenati del genere che chiamo “Pugni in gabbia” e che porterà a capolavori come il ciclo Undisputed.
Visto che la co-protagonista di quel film è la moglie Jayne Kennedy – molto nota nel circuito televisivo dell’epoca – Leon per ricordarlo a tutti si firma da quel momento Leon Isaac Kennedy. Una decina di giorni dopo la prima del film, i due iniziano le pratiche per il divorzio: ah, l’amore…
La Cannon evidentemente vede nel giovane e ambizioso Kennedy un buon nome su cui puntare e gli fa scrivere la sceneggiatura per il remake di Anima e corpo.
Il pugilato al cinema è ancora “roba da bianchi”, così Leon caccia bei soldi anche di tasca propria per parlare dei neri nella boxe, e la scelta è premiata dal fatto che la copertura mediatica è assicurata: soprattutto dalle riviste “per neri” come le celebri e capillari “The Jet” ed “Ebony”, che seguono attentamente il film.
Peccato che il progetto sia affidato al pencolante George Bowers, un montatore che qualche volta si è improvvisato regista, comunque il film esce nell’ottobre del 1981. Beccandosi subito beghe legali, perché esce fuori che i diritti del vecchio Anima e corpo sono rivendicati da Bob Roberts, produttore dell’epoca, mentre la Cannon li ha acquistati dalla casa madre.
Al di là di queste beghe, il film arriva in Italia il 15 luglio 1983 con il titolo Il guerriero del ring. Dal 1987 inizia a girare per piccole TV locali ed esce in VHS per Multivision: la Stormovie lo porta in DVD il 24 marzo 2009.
Il quartiere povero è rimasto, ma il protagonista stavolta è nero: Leon Johnson (lo stesso Leon Isaac), pugile di cuore a cui piace spassarsela con le giovani e disinibite fan dopo l’incontro.
Una sera lo chiamano dall’ospedale perché la sorellina è malata grave e ha bisogno di un’operazione costosissima. La loro madre, delusa dallo stile di vita del giovane, vuole che lui studi per diventare medico così da rendere la famiglia onorevole, ma Leon non la vede così: vuole vincere tanti incontri per guadagnare soldi così da curare la sorella.
Quando vuoi diventare puggile, dov’è che vai? Ovvio: alla palestra di Muhammad Ali! Tre anni prima che gli venisse diagnosticato il Parkinson, il grande e compianto pugile si mostra nel ruolo di se stesso e chiede a Leon di fargli vedere cosa sa fare: in una delle più fasulle scene della storia, lo scricciolo Leon batte un colosso in un secondo, guadagnandosi l’appoggio del team Ali.
No, non è Muhammad ad allenarlo, bensì Frankie, rude e garrulo coach interpretato dal noto caratterista dal cognome esclamativo: Mike Gazzo!
Inizia uno dei tantissimi training montage del film – Rocky docet – e in breve Leon diventa campione di pugilato.
La giornalista Julie Winters (la mogliettina Jayne Kennedy) viene inviata ad intervistarlo e le bastano pochi secondi per capire che Leon è un mascalzone sciupafemmine, ma poi la sorellina paraplegica le rivela che combatte per pagarle l’operazione e Julie si innamora perdutamente del pugile.
E vai col montage di loro che si amano…
Il film in pratica è finito così si cerca di tenerlo in vita aggiungendo un perfido boss (Peter Lawford) che incastra Leon con delle donnine davvero ben messe: chi resisterebbe a del cioccolato caldo? Non certo il giovane pugile.
Un momento, e Julie? E chi è Julie?…
Dramma d’amore, tango della gelosia e tutte le banalità del caso, in pratica il film procede stancamente fino ad arrivare al dilemma amletico finale: Leon perderà l’incontro come vuole il boss, guadagnando soldi ma perdendo l’anima, oppure vincerà per l’onore del pugilato nero ma rischiando la vita?
L’attore-sceneggiatore decide – sbagliando, a mio avviso – di risolvere il dilemma prima dell’incontro: Leon incontra il boss prima di salire sul ring e gli dice che non perderà, e non gli importa se poi il boss cercherà di ucciderlo. E il boss fa pippa e mette il muso…
Se già non fosse abbastanza imbarazzante tutto il film fino a questo momento, l’incontro finale – una noia di tipo venti minuti! – raggiunge livelli di ignominia che mi stupisce di trovare in un prodotto Cannon, che comunque un minimo di stile l’ha sempre cercato.
L’avversario è un ridicolo buffone coi baffoni che fa le boccacce e butta i ragazzini per terra (storia vera!), che dà i calci all’avversario senza che l’arbitro dica niente, e per 19 minuti gonfia Leon come una zampogna: scattato il ventesimo minuto, Leon gli dà due pizze e finisce il film… Ok, è lo standard classico di tutti i film sportivi “di menare”, ma qui è proprio fatto male.
La cosa veramente triste è che tra il pubblico c’è Muhammad Ali che applaude…
Dal punto di vista pugilistico il film rasenta lo zero, e il big fight finale, dove di solito i film “di menare” danno il meglio di sé, è inguardabile e più lungo di quanto sia umano sopportare. In pratica quando è il momento i dare il meglio, tutto si sgonfia: rimane sullo schermo una ridicola e inverosimile storiella d’amore da due soldi… cioè esattamente come nel film originale!
La tematica razzistica è solamente accennata in modo molto vago, se proprio andiamo a guardare con il lanternino, e la madre che per tutto il film disprezza il figlio che mena invece di studiare, alla fine gli dice che è orgogliosa di lui: ma perché? Cos’è cambiato?
Un prodotto davvero pessimo che non mi aspettavo portasse il marchio Cannon, nome che vuol dire bojata sì, ma di qualità!
Una curiosità. Per pubblicizzare il film, Jayne Kennedy ha posato per la copertina di “Playboy”: anche se nel servizio interno non si vede altro che foto tratte da Body and Soul, lo stesso la comunità nera si è molto risentita di questa scelta, che comunque Jayne rivendica con orgoglio perché… l’ha avvicinata a Dio!
L.
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Peccato che hai censurato l’unico momento clou del film… 😉
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Ci manca solo che qualche integralista del web si metta a gridare “pensate a i bambini”! 😛
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Fantastico pezzo, come al solito super completo (anche Ebony sei andato a ripescare, grande!), ti ringrazio per la citazione, ma soprattutto per la trovata “Love montage”, geniale 😉 Fai bene ad anticipare le “Signore Lovejoy” del web, però sto con benez 😉 Per il resto: Ali bomaye! Cheers
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Ti ringrazio, e da tempo accarezzo l’idea di uno speciale sui “Pugni in Gabbia”, e l’arrivo di Undisputed 4 potrebbe essere il momento migliore 😉
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La spiegazione di questo guazzabuglio senza stile (con tanto di credibilissimo “scontrino” fra Isaac e Alì) può risiedere nel fatto che i cugini Golan e Globus fossero ancora nella fase di rodaggio della loro rivoluzione 😉
Quanto all’attaccarsi al coach (di Leon), è esattamente l’ordine che il boss ha impartito alla sua inviata lassù: “Lo sai, pupa? Pensano tutti che io sia un volgare criminale, quando sono l’unico veramente deciso a fare del bene a questo film! Perché l’unico picco di attenzione lo dovranno solo a me! E adesso tocca a te, fai quello che devi…” 😀
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Prove di mitizzazione dei mitici cugini, ancora grezzi. Però le donne le sanno scegliere bene 😛
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