Per i cultori della libertà di pensiero non è di buon auspicio che proprio la Sapienza sia stata fondata da Bonifacio VIII. Anche Dante firmerebbe la petizione contro la visita di Ratzinger visto che considerava l’altro un Simoniaco.
Un papa che appena ieri si scatenava contro la scienza, l’illuminismo ed il marxismo definendoli “una sciagura per l’umanità” dovrebbe avere il buon gusto di starsene lontano da quelle mura che colano di relativismo galileiano sul quale Ratzinger ha confermato che : “Il processo della Chiesa contro Galileo fu ragionevole e giusto”. Ma forse è proprio il buon gusto, la carità cristiana, il rispetto per l’uomo sociale che mancano a questo vescovo tedesco di Roma che impugna ancora la spada contro l’Islam irridendone profeti e Califfi. Piange Palermo, piange Siracusa …perché il lutto è entrato in ogni casa recita una ballata siciliana nata da tutt’altro argomento , ma per la visita del papa intransigente piangono Giordano Bruno ed il Savonarola e nemmeno Galileo si sente molto bene. Saprà trattenersi il vescovo intransigente per il quale «l’aborto è comunque e sempre un assassinio» quando lo storico Caravale terrà la sua lectio magistralis sulla pena di morte? E come fa a presentarsi come messaggero di pace quando fomenta l’odio per tutte le forme della scienza che non contemplino la “sua” visione della vita?
Ma così è l’uomo della grande Germania ed coerentemente ha fatto bene a mollare quei quattro ceffoni al buon Weltroni perché ne ha ottenuto ospitalità, insieme all’ex comunista Mussi (quello che ha seminato –sempre secondo Ratzinger- la più trucida ideologia mai comparsa sulla terra) se questi sono stati i risultati.
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Piccoli Beria crescono.
Dal vosro articolo posso solo dire che non conoscete nulla di questo Papa…a partire dal libro cha ha scritto qualche anno fa: “Creazione e peccato”….forse sarebbe ora che si cominciasse a leggere ed ad avere una critica personale fatta su dati certi e non su quello che sentite dire tra di voi non conoscendo praticamente nulla di quello che dite…questa è una critica e spero che sia costruttiva…non rosicate : RIFLETTETE
Cavolo, ci mancherebbe che i santi li facessero in consiglio d’amministrazione. Davvero la battaglia è persa se i laici e i laicisti (quelli della Treccani, non di Volontè, per carità) siamo rimasti così pochi e non abbiamo un re a guidarci. I re noi li ghigliottiniamo e così quando ci servirebbe un Capo carismatico a guidare una contro crociata coi fiocchi abbiamo invece tanti liberi pensatori che si pestano i calli l’uno con l’altro in nome di un pensiero libero che in effetti non riusciamo a rendere noto solo che a noi stessi. Siamo, in questo paese, i nuovi carbonari. I briganti alla macchia che ogni conquista se la devono sudare con colpi di mano: una volta il divorzio, poi l’interruzione volontaria della gravidanza, oggi una pillola e domani un preservativo. Ma tutto di straforo che gli altri si son fatti furbi e vegliano. E poi con la stampa e la televisione a divulgare tutto, non ti puoi organizzare un DICO in santa pace che subito lo sanno Binetti, Volontè e Casini che lo dicono a Ruini che lo dice… e tu rimani al palo perché tanti pii politici fattisi quattro conti ritengono che “cummannà è meglio che fo…” e i voti vengono anche e soprattutto da lì. Bei tempi, mi viene da dire, quando un Alcide De Gasperi faceva la santa comunione tutti i giorni, ma aveva il coraggio morale di dire No! al pur venerato suo santo Padre. Oggi manca la politica e manca il senso dello Stato. Il Vaticano si scaglia contro Amnesty International che è come Saddam che invade i Kwait. Dove sono le proporzioni? Il senso della misura e l’onestà dei rapporti? Il dialogo. Già il dialogo; quello che molti sedicenti laici affermano sia stato negato alla Sapienza (gli altri ne sono certi e indignati). Ma il dialogo non si fa in questa maniera. Il dialogo è lo scambiare idee alla pari, Non c’è dialogo fra il padrone e il precario, fra lo sfruttatore e lo schiavo. Il dialogo è dignità. Non si dialoga dopo che si è attaccato, condannato, stabilita la soglia invalicabile. Una volta messi i paletti si può fare qualunque discorso o lezione, ma non un dialogo. Vedo molto fariseismo in questo citare la frase di Voltaire. Perché deve valere solo per la Chiesa nel suo magistero? E noi? Morirebbe qualcuno di loro perché una coppia gay realizzasse il suo sogno o i gay sono una categoria che con Voltaire non ha a che fare? Queste sono le domande che pongo a chi legge. Perché ripudiare i mezzi contraccettivi ed accettare le migliaia di morti per AIDS? Con quale coraggio si propone la moratoria sugli aborti quando si accettano le migliaia di morti per quel virus? Un laico si pone queste domande , non se un papa paludato e ricoperto d’oro vada alla sapienza a parlare di Socrate e del bene che ci rende veri. Il bene che ci rende veri è scendere fra i poveri, fra il popolo, conoscerlo interpretarne speranze e bisogni e combattere perché diventino cose reali.
ANCHE QUESTA VOLTA IL PEZZO PUBBLICATO DAGLI AMICI DI
MENTE CRITICA : http://www.mentecritica.net
HA AVUTO UNA DIVERSITA’ DI APPREZZAMENTI, ANCHE DURISSIMI CHE RIPORTO A FUTIRA MEMORIA (MIA NATURALMENTE A FINE DI TRERNE INSEGNAMENTO):
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15 Gennaio, 2008 a 17:55
Comandante Nebbia
mmmmh, la mia posizione l’ho espressa qui.
15 Gennaio, 2008 a 18:12
Silent Enigma
a quanto mi risulta ratzi non ha ancora detto niente, alla sapienza.
bisognerebbe aspettare si sentire cosa dice per dargli contro, altrimenti si compie l’errore di giudicare una persona per quello che è e non per quello che dice o fa.
o no?
15 Gennaio, 2008 a 18:43
Fully
parole sagge, Silent
Senonché non avremo neanche l’opportunità di giudicare quello che avrebbe detto, perché non glielo faranno dire.
Col risultato davvero miracoloso che Ratzinger, senza aprire bocca, ha già riconquistato simpatie in quanto “vittima” di un odioso ostracismo.
Complimentoni!
15 Gennaio, 2008 a 18:46
Fully
@voltaire
scusa, tu che porti questo nome a me così caro, non fosti proprio tu, alcuni secoli orsono a dire:
“Non sono d’accordo con quel che dici, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa continuare a dirlo”?
15 Gennaio, 2008 a 19:38
randolph
Sono d’accordo con voi: è sempre una sconfitta quando qualcuno non può esprimere il suo parere. Anche oggi assistiamo ad una sconfitta della ragione.
Tuttavia non possiamo dimenticare che il professor Joseph Ratzinger non ha nulla a che fare con la scienza e la cultura accademica. Si occupa di teologia, religione, è un capo di stato e la suprema autorità della Chiesa Cattolica. Una persona rispettabile, con le sue legittime opinioni, ma non un uomo di scienza. Il motivo per cui avrebbe dovuto parlare all’università è squisitamente politico: a Febbraio a “La Sapienza” si voterà per il rinnovo della carica di rettore, ed una visita del papa è certamente meglio di qualunque manifesto elettorale (chi non ricorda Bondi che parla davanti alla foto del Santo Padre? 😉 ).
Forse il signor Ratzinger ha accettato l’invito anche perché ha intravisto l’occasione di poter tornare su uno dei suoi argomenti preferiti: il rapporto tra scienza e fede. Probabilmente avrebbe esposto nuovamente la tesi secondo cui l’indagine sulle cause prime dell’essere e dell’Universo debba essere lasciata alla teologia (non posso esserne sicuro, naturalmente, ma è stato l’argomento principale della discussa lectio magistralis all’università di Ratisbona). Una tesi che è scientificamente inaccettabile, ne converrete.
Joseph Ratzinger può affrontare queste tesi quando e dove vuole; tuttavia non può evitare di essere accolto da un coro di pernacchie, così come il fanfarone che spara la sua spacconata al bar sotto casa.
Il problema, in fondo, era (e resta) quello dell’opportunità di un monologo del signor Ratzinger in un posto, l’università, che dovrebbe incentivare gli studenti alla critica ed al dibattito. Non certo alla genuflessione ed all’adorazione di un’ipotetica entità in cui è racchiusa tutta la sapienza e tutto il potere.
15 Gennaio, 2008 a 21:25
Marco il buono
Dai commenti sembra quasi che il santo padre non abbia altra occasione per esporre i propri pensieri.
Poverino, certo adesso potrà fare la vittima, agli occhi degli stupidi ovviamente.
Visto che qualcuno ha fatto il parallelismo con il leader iraniano che ha tenuto una lezione in una università americana, ricordo che quell’incontro era aperto a tutti, quindi quando il leader diceva cazzate tutti potevano, come è accaduto, ridergli in faccia.
La lezione del santo padre sarebbe stata a porte chiuse, con la solita giustificazione della sicurezza?
Mi limito a pensare che il centro-destra politico italiano e i critici del documento dei professori universitari in questione non hanno detto una sola parola su questo
P.S. questo commento è dedicato ai giuliani ferrara del caso non ai redattori o ai commentatori di mc.
15 Gennaio, 2008 a 23:04
arouetvolatire
@ Silent . Per esperienza diretta so cosa provocherà l’esplosione di 2 ton di tnt per rischiare di attendere una seconda conferma.
@ Fully . Appunto due secoli or sono e senza la potenza di fuoco (mediatico) di cui ora dispone. Sono ancora pronto a farti dire quello che vuoi sempre che non me lo spari addosso scon un missile intercontinentale
@ Fully. Più che ostracismo, ritirata strategica. Un Papa non può esporsi al fischio dopo avere goduto del “Te deum..”
In genere rispetto quello che dice nella SUA sede, ma non quello che potrebbe sognarsi di dire in u tempio laico. Ho scritto tempio con consapevolezza. Costituzione dell Repubblica articolo 7
15 Gennaio, 2008 a 23:17
ak
Un episodio, quello di oggi, palesemente antidemocratico. Piccolo finchè volete, ma tremendamente significativo e simbolico delle devastanti intenzioni di un laicismo pericoloso e deleterio anche per la cultura laica dello Stato stesso. Rafforza e identifica ancor più e meglio, se ce ne fosse stato bisogno… le affermazioni del Papa su una pericolosa deriva provocata dalla “dittatura laicista e scientista”. C’è in questo momento una Italia profondamente turbata, delusa e incazzata… anche se quì si da la stura per sfogare un anticlericalismo del tutto fuori luogo, sembrerebbe si volesse ignorare che una offesa personale e diretta a tutta la cristianità è stata rivolta al suo rappresentante. Senza contare che un pericoloso precedente si è affermato dentro una scuola che vive di sostegno pubblico (quindi tutti noi paghiamo… anche gli stipendi di coloro che hanno fomentato questo blitz antidemocratico…) e l’inaudito strappo alla libertà di espressione e di opinione, ma ancor più l’incomprensibile abdicare del “mettersi in ascolto”, che dovrebbe essere “insegnato” e non disatteso proprio da quei docenti che sono preposti (e pagati) per questo.
16 Gennaio, 2008 a 1:25
Emanuele
Silent: “a quanto mi risulta ratzi non ha ancora detto niente, alla sapienza.
bisognerebbe aspettare si sentire cosa dice per dargli contro, altrimenti si compie l’errore di giudicare una persona per quello che è e non per quello che dice o fa”
Verissimo. Il problema è che da lui non mi aspetto certo gran cose.
Sono sulle posizioni di Mc espresse nell’altro articolo
16 Gennaio, 2008 a 7:01
Fully
@voltaire.
“Appunto due secoli or sono e senza la potenza di fuoco (mediatico) di cui ora dispone. Sono ancora pronto a farti dire quello che vuoi sempre che non me lo spari addosso con un missile intercontinentale”
Scusa, ma che argomentazione è?
La parola non ha altra potenza di fuoco che l’argomentazione. Se spari sciocchezze mettendole su un missile intercontinentale, sempre sciocchezze sono e sempre pernacchie rimedi. Di esempi ne abbiamo a decine, mi pare.
Ritirata strategica? Si può anche vederla così. Vista così fa sembrare la vicenda meno squallida?
16 Gennaio, 2008 a 8:20
mc
@ak
non esageriamo nel vittimismo e negli aggettivi drammatici. Come al solito, aggiungerei. Si è trattato di 60 professori e di 50 cazzoni che hanno occupato il rettorato.
Bastavano tre carabinieri per sgombrare gli uffici e ridicolizzare la lettera dei professori che, chissà perché, non hanno trovato nulla da dire su Totti.
Ancora una volta si è trattato di semplice mancanza di polso. Parlare di “dittatura laicista e scientista” in Italia è fuorviante e anche leggermente ridicolo.
Se in Italia c’è una “dittatura laicista e scientista”, in Spagna c’è il regno del Maligno.
Qualche cretino ha offerto una vittoria politica al Vaticano su un piatto d’argento. Ora non esagerate, se no vi rendete ridicoli anche voi.
16 Gennaio, 2008 a 10:08
Francesco
@randolph:
il Papa il suo parere lo esprime tutti i giorni in televisione, sui giornali, o dall’alto pulpito del suo balcone a piazza San Pietro. Per una volta, potrebbe anche stare zitto e lasciare che siano gli altri a parlare. Non si tratta di una sconfitta della ragione ma di democrazia. E’ una sconfitta della ragione solo quando a parlare è sempre la stessa persona.
Per il resto sono perfettamente d’accordo con te.
16 Gennaio, 2008 a 11:41
Juan
Anche secondo me è stata una cazzata bella e buona, Ratzinger ne esce come vittima. Molto meglio lasciarlo parlare e contestarlo nel caso, molto probabile, avesse detto qualche vaccata.
@mc
“Se in Italia c’è una “dittatura laicista e scientista”, in Spagna c’è il regno del Maligno.”
clap clap clap.
16 Gennaio, 2008 a 19:41
ak
MC, banalizziamo pure, tanto ormai si fa continuamente… è tutto un videogame, no?
Ma i problemi restano lì inossidabili e spinosi!
Una bella battuta e via! E allora ne faccio una anche io…ma si!
“L’italia si dibatte tra le spire del laicismo imperante, la Spagna si scorna tra vampate infernali… Siamo proprio nella m… fino al collo… Morale: Paese che vai “cacca” che trovi…” ;-))
16 Gennaio, 2008 a 20:28
Fully
@mc
le tue argomentazioni fanno – come spesso – riflettere. Ma stavolta spaventano per le conseguenze logiche che suscitano.
Tu sostieni:
“Non esageriamo nel vittimismo e negli aggettivi drammatici. …. Si è trattato di 60 professori e di 50 cazzoni che hanno occupato il rettorato. Bastavano tre carabinieri per sgombrare gli uffici e ridicolizzare la lettera dei professori…
Ancora una volta si è trattato di semplice mancanza di polso. Parlare di “dittatura laicista e scientista” in Italia è fuorviante e anche leggermente ridicolo”.
A costo del ridicolo mi soffermo a pensare che razza di democrazia è quella che consente allegramente a 67 professori (su 4000) e 50 cazzoni (su 150.000 iscritti) di imporre a tutti gli altri il loro punto di vista, qualunque esso sia.
Ridicolo chiamarla dittatura, ma a me fa paura ugualmente.
16 Gennaio, 2008 a 21:40
arouetvolatire
E’ doloroso, per quanto comprensibile, che nella terra dei guelfi e ghibellini niente sia cambiato. Ma quel che intendo non è che “un Papa parli alla Sapienza” quel che intendo è che sia ritenuto normale che alla Sapienza si inviti a parlare questo papa con le sue pregiudiziali antiscientifiche e iperdogmatiche. Dice qualche colto studioso, ma io sostengo in malafede, che il papa aveva diritto di parlare perché ha sempre e sostenuto la Ragione. Ma quale Ragione? Il conciso “non lineare” è intervenuto più volte su questi temi. Personalmente non sono un anticlericale e nemmeno un laicista (neologismo dei teodem) sono un laico che riconosce e difende i confini. Fully, se non erro, amante di Voltaire cita la famosa posizione…”mi batterò sino alla morte perché tu possa dire…” Anche io sono pronto a farlo e non ho mai scritto un rigo o fatto un pensiero su un prete, figuriamoci un Papa, che dice quello che il “suo credo” gli detta. Dissento quando le proprie idee cozzano contro: il senso comune, la buona creanza ed il luogo ove si pronunciano. Dirò di più: considero provocazione quando quelle idee le si voglia andare a dire in casa altrui. E’ tracotanza, pochezza di alto senso morale, è provocazione. Ma non provocazione tout court, provocazione di chi, appena qualche giorno prima ha pronunciato parole orribili “chi nega la famiglia minaccia la pace”. Si comprende oggi, nella teorizzazione della guerra permanente di Nozick il significato di questo assunto? Non voglio nemmeno prendere in esame quanto ha diffuso la Santa Sede :« il Papa avrebbe detto questo…» perché non ragiono sul senno di poi, anzi non ci credo. Affermo cosa totalmente diversa. Con i precedenti di questo Papa, con la lotta contro il libero Parlamento della Repubblica che viene minacciato [e” ak “ non mi venga minimizzare con un esortato ] io “timeo danàos et dona ferentes”, per cui ti lascio libero di dire quello che tu ritieni opportuno, ma lo dirai nei “tuoi” luoghi deputati al “tuo” credo. Emanuele Severino, nel momento in cui teorizzò il “suo paradiso” (semplifico per non annoiare) fu cacciato dalla “Cattolica” , ma giustamente . Perché la Cattolica non poteva sopportare una sì grande teoria che distruggeva le fondamenta della raigione che la teneva in vita. Tutto qui. Carlo Borromeo, vescovo e santo, firmò (vedi gli archivi a Milano) 150 sentenze per “abbruciamento di streghe”. La Chiesa se lo è fatto santo, ma c’è qualcuno che mi opporrà che era egualmente non era un barbaro ed ignorante assassino? Oggi, nessuno –dopo 400 anni solleva più la questione- ma il fatto resta. Intravedo un germe pericoloso in certi commenti. La giustificazione ideologica di un fatto. Appena tre giorni trascorsi sono state intercettare delle comunicazioni di alcuni dirigenti TyssenKrupp che presso a poco decidevano: “appena si spengono i riflettori sulla cosa licenziamo quelli che sono andati a far denunce per televisioni… per l’incidente sosterremo che è attribuibile a distrazione degli operai” . Io sono convinto che Voltaire non si sarebbe ucciso purchè costoro fossero liberi di fare affermazioni del genere. Come a dire: « In ogni occasione, dal Papa allo spazzino. Est modus in rebus».
16 Gennaio, 2008 a 21:54
Fully
Sperando di dare un contributo al dibattito consapevole (consapevole di cosa si sta parlando) mi permetto di postare il testo dell’intervento che il prof. Joseph Ratzinger (papa Benedetto XVI) avrebbe dovuto pronunciare domani per l’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza
Magnifico Rettore,
Autorità politiche e civili,
Illustri docenti e personale tecnico amministrativo,
cari giovani studenti!
È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della “Sapienza – Università di Roma” in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo.
Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un “nuovo umanesimo per il terzo millennio”.
Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa?
Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università “Sapienza”, l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la “Sapienza” era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.
Ritorno alla mia domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: Qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola “vescovo”–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a “sorvegliante”, già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità.
Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale:
Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi “ragionevole”?
A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione “pubblica”, vede tuttavia nella loro ragione “non pubblica” almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente sconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina.
In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.
Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.
Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: “Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?” (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.
Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università.
È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra “scientia” e “tristitia”: il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.
Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri?
La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.
Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come “arte” che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte
del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio.
Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista.
Ma qui emerge subito la domanda: Come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo.
È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono
risolti. Riguardo a questa “forma ragionevole” egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un “processo di argomentazione sensibile alla verità” (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa
molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico “processo di argomentazione” sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico.
Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla “ragione pubblica”, come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera?
In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta.
Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il “sì” alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta “Facoltà degli artisti”, fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro “senza confusione e senza separazione”. “Senza confusione” vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al “senza confusione” vige anche il “senza separazione”: la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una “comprehensive religious doctrine” nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.
Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università?
Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.
Dal Vaticano, 17 gennaio 2008
BENEDICTUS XVI
16 Gennaio, 2008 a 22:13
Fully
Ho postato questo testo, che a me – umile cultore del Dubbio – sembra di notevole levatura scientifica e filosofica, pur essendo – come è evidente – orientato sulla base della fede di cui il Papa è testimone.
Io credo che ciascuno di noi dovrebbe sforzarsi di leggere senza preconcetti, senza pregiudizi, tentando di arricchire le proprie opinioni con un punto di vista che, appunto perchè altro, può contribuire ad illuminare i piccoli ambiti della nostra conoscenza.
Per questo sono tra coloro che ritengono la mancata lettura di tale discorso un’occasione intellettuale persa, oltreché, come ho già dettom uno scempio per il principio voltairriano della libertà di circolazione delle opinioni.
Non mi soffermo oltre – sarebbe inutile, credo – sulle controdeduzioni di arouetvoltaire alla mia sollecitazione intellettuale, in quanto non spostano la mia tesi secondo la quale non è mai lecito far tacere l’Altro, per quanto oscure e distanti da noi siano le sue tesi, salvo controbatterle con le nostre argomentazioni.
17 Gennaio, 2008 a 7:21
Marco il buono
@Fully, far tacere l’altro? Non ti sembra di esagerare?
Perche nessuno ha detto niente quando il Dalai Lama non è stato ricevuto ne dallo Stato Italiano ne dal Vaticano?
17 Gennaio, 2008 a 8:09
Fully
@mib. No, non mi sembra di esagerare, mi sembra di chiamare le cose col loro nome.
Quanto al mancato ricevimento del Dalai Lama non mi ha fatto ugualmente piacere. Le due cose non sono in concorrenza, per me: in entrambe le situazioni, se non si “ascolta” non si può capire.
17 Gennaio, 2008 a 8:57
daniela tuscano
Giusto Fully, comunque io avevo scritto il mio pensiero qui: http://dimelaltra.blogspot.com/2008/01/sapienza-vietata-ratzinger-vittoria-di.html
Sono due giorni che tento di postarlo, ma mi salta sempre la connessione… Lo fa solo con questo sito. Boh. 😐
17 Gennaio, 2008 a 15:11
Marco il buono
Secondo me si esagera alla grande anche perchè il papa ha mille modi per far sentire tutti i giorni i suoi sproloqui e le sue minacce ai politici italiani, non ti posto i link perchè li conosci bene.
Il Dalai Lama non ha potere economico, giornali, tv, radio e politici genuflessi, il fatto che nessuno abbia rotto le pall* per il Dalai Lama è decisamente sintomatico di qualcosa che forse a qualcuno sfugge.
17 Gennaio, 2008 a 19:29
ak
Il suo pensiero, Marco… non “sproloqui” per favore, altrimenti diamo ragione a quei 67 violenti antidemocratici…
Non “minacce”, Marco, ma “ammonimenti”… il Papa è il responsabile della “moralità e giustizia” di tutto il popolo cristiano, (e i cristiani in Italia sono dappertutto, nei posti al potere e decisionali) non dimenticarlo mai. Altrimenti diamo per scontato che la tua idea che ti sei fatto del Papa e della Chiesa è l’unica giusta e deve diventare “opinione comune”, mentre quelli che la pensano diversamente sono dei poveri decerebrati (genuflessi starebbe per “senza palle”, immagino…)
17 Gennaio, 2008 a 20:26
Marco il buono
@ak, hai mai pensato che esistono persone che non la pensano come te?
Questo è un esempio di sproloquio: (http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_01/papa_benedetto_famiglia_pace_7d5b7a6e-b852-11dc-bd8b-0003ba99c667.shtml)
Le persone sgamate sanno che questa è una minaccia:
(http://www.pupia.tv/modules.php?name=News&desc=full&file=article&sid=459)
Non mi interessa di cosa è responsabile il papa come non mi interessa di cosa è responsabile il dalai lama, non posso dimenticare che i cristiani sono dappertutto, me ne accorgo legge dopo legge, e non mi dimentico neanche che non sono capaci di fare leggi per i non cristiani (http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/politica/scalfari-non-nominate/scalfari-non-nominate/scalfari-non-nominate.html)
Io dico la mia e voi dite la vostra.
17 Gennaio, 2008 a 23:07
ak
Vorrei rispondere a ArouetVoltaire prima che anche lui mi tappi la bocca…
Dice di non essere anticlericale, ma a me sembra invece che vada giù pesante e anche un po’ maldestramente.
quel che intendo è che sia ritenuto normale che alla Sapienza si inviti a parlare questo papa con le sue pregiudiziali antiscientifiche e iperdogmatiche.
Questa è semplicemente una tua opinione, non è una verità condivisa. Il Papa, ad esempio secondo me ha una idea di scienza che è perfettamente in linea col pensiero di Galileo fondatore e padre della Scienza moderna (avendo quest’ultimo, stabilito un “metodo scientifico” ancor mai contestato). In quanto ai dogmi Benedetto XVI non ne ha proclamato nemmeno uno, e poi sono verità indiscutibili per i credenti (quindi tu non c’entri). E’ sicuramente “NORMALISSIMO” che un professore universitario com’è il Papa vada in una Università (pubblica! e su invito!) per augurare un buon anno di studio ai 4500 docenti e a tutto il popolo degli studenti. Chi meglio di lui, successore del fondatore dell’Università, Parroco di Roma, Professore di Filosofia e uomo di vasta cultura sarebbe stato più appropriato per questo compito? Lo dimostra anche il suo discorso che comunque è stato letto in aula magna ieri. Una riflessione articolata, per niente banale, che fa riflettere, stimola interrogativi e tenta di gettare sempre dei ponti più che alzare dei muri.
Dice qualche colto studioso, ma io sostengo in malafede, che il papa aveva diritto di parlare perché ha sempre e sostenuto la Ragione. Ma quale Ragione? Ragione va scritto minuscolo, non stiamo parlando di nessuna dea… Senza tirare in ballo la fede (mala), almeno per una volta quando non c’entra per nulla, direi che non ci vuole una mente gigantesca per capire che anche una persona qualsiasi, se invitata dal rettore, aveva tutti i diritti di dire la sua. Così prima di lui avevano fatto, calciatori, cantanti, attori… a maggior ragione lo può fare il Papa, no?
Dissento quando le proprie idee cozzano contro: il senso comune, la buona creanza ed il luogo ove si pronunciano. Anzitutto bisognava sentire ciò che aveva da dire, e rispettarlo proprio per la dignità di persona (non è più embrione da un pezzo, mi pare…eh,eh,eh…) che non si nega neanche all’ultimo sulla terra! Poi direi che il senso comune ritiene il Papa una degnissima persona e decine di migliaia ogni domenica accorrono per ascoltarlo (questo è il senso comune che io vedo, se tu non lo vedi, ho paura che hai perso un po’ di vista…). E la buona creanza è tutta da imparare dal Papa che è sempre pacato, umile e gentile, nonchè paziente e rispettoso anche delle minoranze. (infatti ha rinunciato alla sua presenza per rispetto dell’opinione dell’1% dei docenti…).
Dirò di più: considero provocazione quando quelle idee le si voglia andare a dire in casa altrui. Provocazione? Non sai che dici!!! In casa altrui in una pubblica Università? Invitato dal Rettore? Mah…
E’ tracotanza, pochezza di alto senso morale, è provocazione. Ma non provocazione tout court, provocazione di chi, appena qualche giorno prima ha pronunciato parole orribili “chi nega la famiglia minaccia la pace”. E meno male che non sei anticlericale, sennò che dicevi? Io in questo passaggio ci trovo una acredine e un risentimento radicato e profondo. Vorrei quasi dire che il centro di tutte le cose negative contro il Papa che hai scritto è perchè lui difende “la famiglia”… Ma si può sapere che cosa vi ha fatto di tanto male la famiglia? Ma siete disadattati, orfani, violentati, stuprati, buttati in strada a sniffare colla da piccoli… non so (esagero naturalmente… ma è per far capire l’esagerazione della tua affermazione…). Bisogna “entrare” dentro il discorso del Papa sulla Famiglia, per capire almeno una minima parte del concetto di “cellula fondante di tutta la società” e dunque responsabile di ogni cosa che succede nel mondo, nel bene e nel male, financo delle orribili guerre che oggi infestano il pianeta. E’ un discorso grande, ma se noi siamo piccoli e non lo capiamo non diciamo scemenze sul Papa per favore.
Con i precedenti di questo Papa, con la lotta contro il libero Parlamento della Repubblica che viene minacciato [e” ak “ non mi venga a minimizzare con un esortato ] No, no… non ti dico che minimizzi, ti dico che stai dando proprio i numeri… “lotta contro il libero Parlamento”? Ma che dici? Quando mai il Papa avrebbe lottato contro il Parlamento? E lo avrebbe minacciato? … Credo che quì si sia esondato e non di poco… Può essere che in certi ambienti ti applaudano anche… ma ti inviterei a dire qualcosa che possa essere anche solo vagamente riconosciuto nella realtà, e non faccia solo parte di un tuo incubo della fase rem…
per cui ti lascio libero di dire quello che tu ritieni opportuno, ma lo dirai nei “tuoi” luoghi deputati al “tuo” credo. E se questa non è “ghettizzazione” dimmi tu cos’è!!! E poi affermi di non sentirti dentro il discorso sulla “dittatura laicista”… bah.
Tutto il resto del commento lo considero retorica laicista facente parte della deprecabile abitudine di ripetere all’esaurimento leggende nere sulla chiesa, per infangarla (e sempre siamo fortunati che non sei anticlericale, grazie…) nonchè sicuramente OT.
17 Gennaio, 2008 a 23:38
ak
Appunto, io non la penso come te e te lo faccio notare. Ma sul cambiare significato alle parole sei bravo, non c’è che dire.
Dei tre link che hai postato i primi due più che sproloqui, mi sembrano articoli di una levatura morale ed etica altissima. Densi di significato e degni di grande meditazione.
Il terzo… eh,eh,eh… quando Scalfari insegna il catechismo alla Binetti fa tenerezza… ottimo materiale per le vignette di Vauro…
17 Gennaio, 2008 a 23:57
arouetvoltaire
@ Marco il buono. Sono lieto che esistano persone e sono sicuro che siano milioni che riescono ad avere un pensiero libero. Le sue note mi hanno allietato una lunga serata di “reinstallaggio” del computer.
@ ak Rimaniamo ciascuno nella propria concezione di vita. Ma potro’ dire che l’invasione della Chiesa nello Stato Italiano è la causa principale di tutto questo? Non occorre essere anticlericali (che m’importa?) per accorgersi che il paese è stufo delle ingerenze nel libero stato italiano da parte di Re e principi di altri stati. Ci siamo conquistati uno stato laico, quella cattolica non è più la religione dello sato italiano, Non credo che CEI e vaticano siano nel ghetto del silenzio se ogni telegiornale pare aprire col Paternoster! Hai capito cosa vogliamo dire? Non venite a frugarci sotto le lenzuola. Di questo si che siamo stufi. Leggi : http://www.nonlineare.org/ e rifletti se un uomo possa pronunciare quelle parole paludato d’oro…Ricominciamo da francesco d’Assisi e poi ne riparliamo. Ciao e senza astio nè rancore
18 Gennaio, 2008 a 0:30
Silent Enigma
mc dice: “Qualche cretino ha offerto una vittoria politica al Vaticano su un piatto d’argento.”
esatto! l’errore metodologico dei contrari alla visita è stato proprio il non considerare questo. O meglio, visto che la lettera di protesta è di novembre, l’errore non sono più certo che sia dei contrari alla visita del papa, ma di incompetenti totali (in questo caso) che prendono decisioni in seno ai collettivi.
è vero, mib, che ratzi ha più di un’occasione al giorno per dire quel che gli gira per la testa: però non puoi dirmi che ogni cosa che dice è sproloquio, anche perché la maggior parte delle volte si rivolge ai cattolici, e questo – ai non cattolici come me – non dovrebbe far battere ciglio.
o no?
18 Gennaio, 2008 a 7:51
ak
Caro ArouetVoltaire, è buffo come neanche nell’ultimo commento ne hai azzeccata una… a cominciare dalla ingerenza della Chiesa nello Stato italiano che invece storicamente è stato l’opposto…
… e a finire con San Francesco che è un Santo proclamato e voluto dalla Chiesa Cattolica. Amato da tutti i credenti e modello eletto di comportamento per tutto il popolo cristiano. Se poi anche i non credenti riflettessero sul motivo per cui San Francesco è divenuto un modello “interessante”, e di quanto lui amasse la Chiesa Cattolica e il Papa, non sarebbe male.
Non ho tempo di farti le pulci frase per frase, ma sicuramente sono d’accordo sulla conclusione: Senza astio ne rancore. Anzi direi di più con amorevole fratellanza. (se vuoi)
18 Gennaio, 2008 a 12:00
arouetvoltaire
Cavolo, ci mancherebbe che i santi li facessero in consiglio d’amministrazione. Davvero la battaglia è persa se i laici e i laicisti (quelli della Treccani, non di Volontè, per carità) siamo rimasti così pochi e non abbiamo un re a guidarci. I re noi li ghigliottiniamo e così quando ci servirebbe un Capo carismatico a guidare una contro crociata coi fiocchi abbiamo invece tanti liberi pensatori che si pestano i calli l’uno con l’altro in nome di un pensiero libero che in effetti non riusciamo a rendere noto solo che a noi stessi. Siamo, in questo paese, i nuovi carbonari. I briganti alla macchia che ogni conquista se la devono sudare con colpi di mano: una volta il divorzio, poi l’interruzione volontaria della gravidanza, oggi una pillola e domani un preservativo. Ma tutto di straforo che gli altri si son fatti furbi e vegliano. E poi con la stampa e la televisione a divulgare tutto, non ti puoi organizzare un DICO in santa pace che subito lo sanno Binetti, Volontè e Casini che lo dicono a Ruini che lo dice… e tu rimani al palo perché tanti pii politici fattisi quattro conti ritengono che “cummannà è meglio che fo…” e i voti vengono anche e soprattutto da lì. Bei tempi, mi viene da dire, quando un Alcide De Gasperi faceva la santa comunione tutti i giorni, ma aveva il coraggio morale di dire No! al pur venerato suo santo Padre. Oggi manca la politica e manca il senso dello Stato. Il Vaticano si scaglia contro Amnesty International che è come Saddam che invade i Kwait. Dove sono le proporzioni? Il senso della misura e l’onestà dei rapporti? Il dialogo. Già il dialogo; quello che molti sedicenti laici affermano sia stato negato alla Sapienza (gli altri ne sono certi e indignati). Ma il dialogo non si fa in questa maniera. Il dialogo è lo scambiare idee alla pari, Non c’è dialogo fra il padrone e il precario, fra lo sfruttatore e lo schiavo. Il dialogo è dignità. Non si dialoga dopo che si è attaccato, condannato, stabilita la soglia invalicabile. Una volta messi i paletti si può fare qualunque discorso o lezione, ma non un dialogo. Vedo molto fariseismo in questo citare la frase di Voltaire. Perché deve valere solo per la Chiesa nel suo magistero? E noi? Morirebbe qualcuno di loro perché una coppia gay realizzasse il suo sogno o i gay sono una categoria che con Voltaire non ha a che fare? Queste sono le domande che pongo a chi legge. Perché ripudiare i mezzi contraccettivi ed accettare le migliaia di morti per AIDS? Con quale coraggio si propone la moratoria sugli aborti quando si accettano le migliaia di morti per quel virus? Un laico si pone queste domande , non se un papa paludato e ricoperto d’oro vada alla sapienza a parlare di Socrate e del bene che ci rende veri. Il bene che ci rende veri è scendere fra i poveri, fra il popolo, conoscerlo interpretarne speranze e bisogni e combattere perché diventino cose reali.
18 Gennaio, 2008 a 12:11
Marco il buono
Per sproloquio intendevo sovraesposizione, in effetti ho sbagliato termine, e me ne scuso con chi si è sentito offeso.
Che si rivolga ai cattolici lo trovo giusto, che i cattolici lo stiano a sentire anche quando dovrebbero, per mandato elettorale, fare leggi anche per i non cattolici ne possiamo parlare.
@Ak, io adoro S. Francesco per la povertà di cui si nutriva.
Quella era la base del suo essere e il punto di partenza del suo agire.
Proprio per questo è stato osteggiato dai gerarchi vaticani del suo tempo, gerarchi che non avrebbero in nessun modo abbandonato i loro averi e la loro potenza economica.
Potenza economica, averi e possedimenti che non hanno la minima intenzione di abbandonare neanche al giorno d’oggi credo.