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Un romanzo d’annata nella mitica collana “I Libri Pocket” (Longanesi).

La scheda di Uruk:

584. Lo zingaro maledetto (The Romany Curse, 1971) di Suzanne Somers (Dorothy Daniels) [5 ottobre 1976] Traduzione di Giorgio Cuzzelli

La trama:

I romanzi di Horace Walpole (Il castello d’Otranto, Pocket Longanesi n. 488) e di Clara Reeve, insieme a Il Monaco di Lewis (Pocket Longanesi n. 350), inaugurarono un nuovo genere nella narrativa tradizionale: quello del romanzo nero, dove le passioni sono spesso avvolte da leggende che la superstizione o la coincidenza rendono credibili.
Cime tempestose della Brönte e Rebecca, la prima moglie di Daphne Dy Maurier, che ispirarono film famosi, entrambi interpretati da Sir Laurence Olivier, alimentarono in tutto il mondo negli anni Trenta questa vena narrativa.
Suzanne Somers la riprende in una serie di opere chiamate oggi «Nuovo Gotico». Lo zingaro maledetto comparve nel 1971; da allora è stato ristampato dieci volte nei paesi anglosassoni. Protagonista è Adela Barron, che, rimasta orfana, si reca insieme alla madre da New York in Florida, per vendere la casa dove suo padre era vissuto da ragazzo. Vicino al grande edificio padronale sono accampati degli zingari, che circondano subito la ragazza di un’atmosfera minacciosa. Neppure l’amore di un giovane medico riesce a liberarla dalle sue paure e dall’angoscia causata dalla sparizione della madre e dal pressante corteggiamento di un capo degli zingari, Hadari. Inoltre, a questo punto, Adela scopre che anche suo padre era stato capo di quella tribù di nomadi…

L’incipit:

A tratti il viaggio mi era parso interminabile, benché i corridoi nelle carrozze mi consentissero di percorrere passeggiando tutto il treno, modernissimo, da cima a fondo, rendendo così meno monotono il passare delle ore. Mia madre e io eravamo comodamente sistemate in una carrozza pullman, ma anche qui la fuliggine e la polvere penetravano attraverso i finestrini. Inoltre, per colpa di un anziano signore pieno di fisime, la stufa a carbone, al centro della carrozza, era ancora accesa nonostante il caldo che faceva fuori e che sarebbe aumentato man mano che c’inoltravamo nella Florida.
Ero ancora tutta eccitata per via del viaggio e della prospettiva di trascorrere qualche settimana nel profondo Sud. Tanto per cominciare, sarebbe stato qualcosa di diverso dalla solita vita a New York. Inoltre, il fatto di allontanarmi dalla nostra casa a Chelsea Park mi avrebbe reso più facile sopportare il dolore per la morte di mio padre, avvenuta poche settimane prima.
Scostai una ciocca di capelli pieni di fuliggine e feci a mia madre, per la quarta volta almeno da quando avevamo lasciato New York, la seguente domanda: «Raccontami del castello. È veramente un castello… con tanto di fossato, torrioni e torri merlate?»
«No, cara», rispose la mamma. «Lo chiamano castello, ma in realtà assomiglia ben poco ai castelli del medioevo. Credo che lo chiamino castello solo perché è così grande. Ci sono ventotto camere, pensa! Si trova vicino alla riva di un bellissimo fiume. Ai miei tempi c’erano degli agrumeti che ci fornivano limoni e arance. Avevamo persino una pianta di pompelmi.»
«Non ho mai visto una pianta di limoni o di arance», osservai.
«Be’, ora le vedrai.»

L.

– Altri Longanesi dell’epoca: