Intervista: RuinThrone

I RuinThrone sono una band romana che suona un potente power metal che molto deve ai migliori Blind Guardian di metà anni ’90 e in parte – almeno per alcune soluzioni chitarristiche – ai mai abbastanza compianti Nevermore. Eppure il secondo disco in studio dal titolo The Unconscious Mind Of Arda suona incredibilmente personale in quanto il gruppo capitolino ha saputo creare un sound proprio che non rinnega le influenze ma guarda avanti verso scelte stilistiche diverse e azzeccate. Il risultato è un cd ricco di spunti interessanti che per nove canzoni (più intro e intermezzo) accompagna l’ascoltatore nella magica Terra di Mezzo dove si possono incontrare personaggi come Ent e Tom Bombadil, ma anche villain come Nazgul e Gothmod. Un lavoro quindi che necessita del meritato approfondimento, e quale migliore occasione di un’intervista a pochi giorni dall’atteso release party?

Il release party dal nome FANTASY FEST IN MIDDLE-EARTH sarà giovedì 6 aprile presso Stazione Birra di Roma, dove oltre ai RuinThrone si esibiranno i Draconicon e dal pomeriggio sarà possibile aggirarsi tra gli stand di illustratori, artigiani e artisti vari sempre a tema tolkieniano; ci sarò anche io e parlerò sul palco del legame Tolkien-Rock/Metal!

Dato che siete ospiti di queste pagine per la prima volta, iniziamo con la classica presentazione della band.

Ciao a voi e a tutti i lettori! Grazie per averci dato questo spazio, ci fa sempre piacere condividere le nostre idee e riflessioni. Siamo una band formata nel 2009 e abbiamo prodotto un primo album nel 2013, sempre a tema fantasy ma non un concept. Per il secondo album abbiamo pensato di approfondire la produzione tolkieniana e svilupparne un concept album. Nasciamo grazie ai classici annunci online su qualche sito losco di musicisti scambisti, dove si barattava, chessò, un bassista per un batterista, un cantante per un tastierista e così via! Scherzi a parte, Adriano Strinati fondò la band insieme a Haedus e Alessandro Finocchiaro. Aveva questa sala prove in una villetta vicino Riano, in campagna, in mezzo al verde. Non potevamo che virare sul power metal.

Nel 2013 avete esordito con il disco Urban Ubris e dieci anni più tardi è il turno del secondo full-length The Unconscious Mind Of Arda. Come mai questa lunga attesa e quali sono le differenze tra i due lavori?

Tra il 2013 e il 2023 cosa abbiamo fatto? Siamo andati a letto presto, per citare Robert De Niro in C’era una volta in America. Abbiamo subìto vari cambi di line-up, gente che esce, gente che entra, l’hanno rasata al suolo questa merda di band! Risposta seria: il discorso è che volevamo innanzitutto rendere onore alla composizione dei pezzi che ci ha davvero appassionato e quindi, senza avere dietro etichette o produttori abbiamo svolto a mio parere un lavoro meticoloso e quindi lento. Poi ci hanno rallentato vari cambi di line-up come ti dicevo. La fase di età 24/30 è stata molto impegnativa per tutti, chi si è laureato chi ha iniziato a lavorare lontano, chi è stato estradato dagli Stati Uniti… oops forse, questo non dovevo dirlo. Dopo questa Cambogia siamo riusciti a darci una calmata e a trovare una relativa stabilità e questo ci ha permesso di concentrarci meglio e proficuamente sul nuovo album.

Domanda forse scomoda: parlando di voi leggo spesso “i Blind Guardian italiani…”: dopo un po’ di tempo questa definizione inizia a darvi fastidio perché pensate di avere qualcosa di personale da dire, oppure vi fa piacere perché i Blind Guardian sono tra i gruppi più importanti e famosi del power metal?

Questo disco nacque con una presa di coscienza semplice e diretta: volevamo fare un disco che avremmo ascoltato volentieri, che contenesse la musica che ci piaceva e che ci ha da sempre affascinato. I Blind Guardian degli esordi fino a Imaginations From The Other Side per noi hanno rappresentato una divergenza dal power metal classico che purtroppo ha avuto poco seguito. Il nostro intento, perciò, fu di proseguire gli insegnamenti di quella “scuola”, contaminando quegli elementi con l’espressione della nostra personalità. Ci fa enorme piacere il paragone quando è inteso come “rappresentanti del genere Blind Guardian”, ci dispiace quando invece il paragone è fatto per pigrizia mentale del critico di turno e lo si usa in senso dispregiativo.

Ho letto anche paragoni con i Wind Rose: cosa ne pensate della band toscana e vi sentite parte di una scena italiana? Quali sono i gruppi tricolori che maggiormente apprezzate?

I Wind Rose credo che al momento siano un riferimento per chi vuole iniziare a fare power metal in Italia. Ammiriamo il fatto di essere riusciti a ricavarsi una identità coerente e a raggiungere traguardi che penso abbiano reso orgogliosa tutta la scena. Per quanto riguarda noi, purtroppo per far parte della scena italiana “ne dobbiamo ancora mangiare di panini” come si dice da queste parti, ci manca ancora un po’ di esperienza e dobbiamo accelerare la nostra produzione, però la voglia e le idee ci sono, quindi chissà. In Italia ci sono tantissimi gruppi metal importanti e mi sembra che anche all’estero se ne stiano accorgendo. I primi che mi vengono in mente sono i Nanowar of Steel che essendo capitolini come noi conoscevamo da tempo e siamo contenti che tutta la loro ironia intelligente abbia superato le Alpi. Poi mi vengono in mente gli Shores of Null che hanno un impatto visivo e musicale notevole, anche loro hanno saputo emergere grazie ad aspetti peculiari che hanno saputo valorizzare. Conosci meglio di me altre decine di band italiane con uno spessore artistico notevole, quindi ci fermiamo qui anche per non correre il rischio di essere stucchevoli; diciamo che qualsiasi band che abbia messo in gioco la propria identità e personalità, svelando aspetti reconditi di sé, la riteniamo artisticamente valida e interessante.

Ascoltando l’album si sente subito l’importanza che hanno per voi band come Blind Guardian e Nevermore, ma viene fuori anche la vostra personalità e sorprende la capacità che avete di scrivere pezzi di power metal diretto o con trame intrecciate e meno prevedibili. Come nascono le vostre canzoni, c’è un metodo che “funziona” oppure ogni composizione ha storia a sé?

Penso che il nostro approccio compositivo sia indipendente dal contesto, intimista e riflessivo. Non ci interessa adeguarci a quello che ci si aspetterebbe da una band “power metal”, seguiamo la scia emotiva che ci guida attraverso immagini che emergono spontaneamente e poi gli diamo forma con gli accordi per avere una struttura. In parallelo si muove la locomotiva della narrazione attraverso il testo e via via si compone il resto del puzzle aggiungendo strumenti, togliendo orchestrazioni, litigando eccetera.

Parliamo del nuovo album The Unconscious Mind Of Arda: a voi la parola per descrivere testi e musica.

Questo lavoro per noi rappresenta il tributo che dovevamo alla musica che ci ha influenzato e che sentivamo rappresentarci maggiormente. Credevamo che la complessità musicale e strutturale dei nostri pezzi si sarebbe potuta legare efficacemente al legendarium tolkieniano. Inoltre, ci consentiva di avere un terreno in comune con gli ascoltatori, permettendoci di esprimere il nostro messaggio su più livelli. La capacità dello scrittore di rendere la complessità dei personaggi attraverso un’attenta e coerente ricostruzione degli eventi e legami precedenti era un buon inizio per creare un ponte con gli aspetti psichici umani che ci interessava approfondire. Ci piace perderci nel fantasy, ma che abbia un buon ancoraggio con aspetti umanistici che ci stanno a cuore. Ogni testo, perciò, ha un significato a sé ben preciso, eppure non siamo stati troppo diretti e ci piace l’idea che poi l’ascoltatore ci associ ciò che voglia. Il titolo dell’album è la chiave di lettura delle canzoni contenute, racchiude la parola Unconscious che è quindi un invito a proiettare durante l’ascolto dei brani, i propri vissuti più profondi, permettendo, grazie al contesto fantasy un processo di reificazione. 

Nel disco trovano spazio anche i “cattivi” del monto tolkieniano come Morgoth, il Re Stregone di Angmar e Gothmog. Come mai questo interesse per i “villain”?

Se i nostri brani sono un processo che ci ha permesso di concretizzare aspetti della nostra psiche, i villain sono la manifestazione di tutti i contenuti censurati abitualmente e che nella società tentiamo di gestire. Il fantasy ci permette di esprimere in maniera epica questo concetto e laddove nella vita di tutti i giorni, quel vissuto socialmente disprezzabile si fa piccolo piccolo dentro di noi e spesso diventa subcosciente, ecco che in queste composizioni la fa da padrone e viene addirittura esaltato come ad esempio Gothmog che ci immaginiamo provi una enorme invidia verso la città di Gondolin e quindi voglia distruggerla; allegoricamente rappresenta la nostra autodistruzione nel momento in cui raggiungiamo qualcosa di positivo ma nel profondo non pensiamo di meritarcelo. In futuro daremo ancora più spazio ai lati oscuri, pensiamo sia un argomento affascinante e meno esplorato rispetto alla esaltazione capitalistica del vincente, del giovane bello e buono ellenico.

In The Eldest troviamo Tom Bombadil al centro dell’attenzione, un personaggio unico nel mondo di Tolkien, purtroppo “poco conosciuto” al di fuori dei lettori dei libri. Cosa vi affascina del buon Tom?

Adoravamo il fatto che lo stesso Tolkien sapesse dare spiegazioni fumose al riguardo, disse che non sapeva spiegarsi perché avesse sentito l’esigenza di scrivere di lui ne Il Signore Degli Anelli ma era convinto che dovesse esserci immancabilmente. Ecco, questo genere di ragionamento ci ha incuriosito, evidentemente nell’autore si muovevano altre forze che non fossero quelle propriamente razionali e logiche. Abbiamo perciò cercato di trasmettere questi aspetti misteriosi del personaggio all’ascoltatore. Ci siamo concentrati sul suo essere etereo, presente nella storia ma allo stesso tempo non incidendo direttamente sul suo svolgimento. Personalmente ci vedo un invito a ricordarsi che, anche nei momenti in cui dentro di noi ci sono forze contrastanti e conflittuali, dovremmo preservare e trovare ristoro nelle piccole cose semplici e quotidiane, negli affetti, nella natura, in ciò che finora abbiamo costruito. In quel terreno siamo noi i padroni e non ci possono assoggettare altre forze esterne (l’Anello per Tom Bombadil).

La musica ha la capacità di aiutare e salvare le persone nei momenti difficili. Credo che più o meno tutti abbiamo vissuto queste situazioni e ne siamo usciti fuori anche grazie alla nostra musica preferita. Nell’ultimo brano Where You Belong vi rivolgete direttamente all’ascoltatore incitandolo a resistere e a reagire se sta passando un brutto momento. Trovo tutto questo molto bello e anche piuttosto raro in un disco musicale. Immagino avrete qualcosa da dire riguardo questa canzone.

Pezzo dopo pezzo abbiamo scoperto noi stessi che i messaggi inseriti nei brani fossero tutti diretti in qualche modo a sostenere e dare forza all’ascoltatore. Perciò abbiamo pensato di comporre un pezzo che rendesse esplicito questo aspetto e che fosse perciò diretto e chiaro, a differenza degli altri brani che parlano attraverso una “rappresentazione” simbolica. Haedus, il cantante e scrittore dei testi, ha questo stile di scrittura, tratta argomenti spesso malinconici e riflessivi, esistenzialisti in diversi casi per poi reagire con lo stile aggressivo vocale che lo contraddistingue. Questa tricotomia malinconia/rabbia/potenza la troviamo significativa e perfettamente coerente con il contenuto della nostra musica che non è pensata per svagare ma per supportare.

Per la copertina vi siete rivoli a ZenCaos Creative, in passato al lavoro per Spellblast, Darksky e Chronosfear. Come è nata la collaborazione e avete dato indicazioni all’artista per la realizzazione della copertina?

Ci siamo arrivati per conoscenze indirette, abbiamo visto altri loro lavori e abbiamo pensato, a ragione, che potessero essere adatti a rappresentare quello che avevamo in mente. La cover è stata scelta e creata con grande cura, Roberta Cavalleri ha compiuto un lavoro egregio concretizzando le nostre fantasie. Rappresenta un Ent che sta attraversando i Monti Azzurri (Ered Luin): è solitario, ha alle spalle e davanti a sé un paesaggio impervio. Procede inesorabile, lentamente come gli si addice. Ne ha viste molte e ancora dovrà affrontarne. L’attimo catturato è di profonda riflessione, un confronto con sé stesso. Come il resto dell’album, anche questo è un tassello del messaggio generale. Ci piacerebbe che l’ascoltatore proiettasse i propri contenuti su questa immagine e ci riflettesse sopra. Inoltre teniamo a menzionare anche Aleister Hunt che si è occupato del restyling del logo e delle rifiniture cromatiche della copertina.

Farete le cose in grande stile per il release party: avete lo spazio per raccontare quel che succederà il 6 aprile e invitare i lettori all’evento.

Volevamo fare qualcosa di speciale per il nostro release party, è un’occasione unica e abbiamo pensato di creare un vero e proprio evento fantasy. Ci saranno artigiani, scrittori, artisti, cosplayer, pittori e performer. Tutti uniti dalla passione per Tolkien. Dal canto nostro, insieme ai Draconicon, abbiamo improntato uno show che lega aspetti visivi a quelli musicali, creando una scenografia per l’occasione e contenuti multimediali. La location è Stazione Birra, un locale che colpisce per la sua struttura e ampiezza. Raggiungeteci più che potete e condividete con noi la vostra passione per il metal, Tolkien e il fantasy!

Vi lasciamo con un simpatico saluto in lingua nera: Thór-lush-shabarlak!

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