O ANCHE: VI RICORDATE ANCORA DEL VECCHIO GUY?
L’unica passione della mia vita è stata la paura
(Thomas Hobbes)
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Voglio premettere a qualunque altra considerazione alcune note preliminari che, spero, aiuteranno una corretta comprensione di ciò che segue; e cioè:
- Ho firmato il primo appello di Beppre Grillo l’8 settembre 2007 e il secondo venerdì scorso 25 aprile in Piazza San Carlo a Torino;
- Non sono un giornalista. Ho collaborato e collaboro con alcune riviste e webzine dal carattere assolutamente indipendente. Nella mia vita ho pubblicato un solo articolo di carattere politico rintracciabile a questo indirizzo
- Non ho mai avuto a che fare, e non ho tuttora a che fare, con nessuna delle istituzioni e delle aziende criticate dal movimento di Grillo. Non sono tesserato a nessun partito, non faccio parte di nessun ordine professionale;
- Ho ventidue anni e mi sto laureando alla triennale di lettere all’Università di Torino.
Detto questo posso cominciare ad esporre quanto segue.
L’enorme polemica mediatica che aveva seguito il primo V-Day (settembre 2007) aveva posto sul piatto della discussione politica una serie di interessanti argomenti riguardanti lo stato di salute delle istituzioni, i principi fondanti della nostra democrazia, la partecipazione giovanile negli affari della cosa pubblica. L’establishment politico aveva attaccato il movimento dei “grillini” segnandolo con il marchio infame dell’“antipolitica”, mentre (quella che dovrebbe essere) l’élite culturale aveva dimostrato una volta di più la propria insussistenza ontologica guardandosi bene dall’esprimere un’opinione chiara e seria a riguardo. Il dibattito era finito (come al solito) nelle mani di Bruno Vespa, relegato agli slogan dei nostri telegiornali sensazionalistici, e i pochi intellettuali che avevano veramente qualcosa da dire (per esempio Giovanni Sartori) semplicemente non erano stati presi in considerazione. Nonostante tutto questo (sempre posto che esista davvero un nonostante tutto questo) la discussione aveva in sè vari nuclei di interesse che sarebbe il caso di riprendere, oggi, a pochi giorni dal secondo V-Day tenutosi a Torino lo scorso 25 aprile.
L’argomento che mi interessa di più discutere è ciò che i media, con una formula facile, hanno definito “antipolitica”. Comincio subito con il dire che il termine non soltanto arreca in sè ambiguità (cosa vuole dire esattamente “antipolitica”?), ma soprattutto palesa un’arroganza della casta politico-culturale piuttosto preoccupante: dire che Grillo fa “antipolitica” significa, stando ai fatti, dire che la politica è solo e soltanto quella fatta dai partiti. Ad un primo sguardo, questo sembrerebbe l’atteggiamento di un bambino egoista che possiede una palla e dice agli altri bambini: “la palla è mia, o giochiamo come voglio io oppure non giochiamo”. Ma nasconde di più. Una definzione ampia e accurata del termine “politca” è fornita da wikipedia italia:
la politica è quell’attività umana, che si esplica in una collettività, il cui fine ultimo – da attuarsi mediante la conquista e il mantenimento del potere – è incidere sulla distribuzione delle risorse materiali e immateriali, perseguendo l’interesse di un soggetto, sia esso un individuo o un gruppo (fonte)
Esistono in effetti altri significati del termine “politica”, più inerenti alle forme di governo istituzionale e all’attività delle camere – ad ogni modo nessuno dei politici e dei giornalisti che ha parlato di “antipolitica” si è curato di fare le dovute distinzioni. Ne consegue che dire, come è stato detto, che la politica è dominio esclusivo dei partiti significa esprimere a gran voce (e con compiacimento) lo scollamento sempre maggiore tra l’istituzione e la base popolare che ne legittima l’esistenza: è l’atto (lessicalmente) estremo della partitocrazia che, per autoconservarsi, si arroga il diritto di decidere cosa sia e cosa non sia l’impegno politico. Tutto questo non è infantile – è un errore che i nostri governanti non possono permettersi di fare.
Appurato questo punto, e spogliato il concetto della sua sovrastruttura lessicale, il nucleo del problema rimane; per comodità, potremmo esporlo in questa forma interrogativa: quello che Grillo cerca di fare, con il suo movimento e il suo impegno, è di dare nuova vita alla nostra democrazia malata? Sta lavorando per migliorare un sistema democratico, il nostro, corroso da anni di partitocrazia selvaggia, devastato da clientelismi e infiltrazioni mafiose, pervaso dalle spinte centripete di poteri economici e parastatali – o sta facendo qualcosa di più, e di diverso? In questo caso, che cosa esattamente sta facendo Beppe Grillo? Cos’è esattamente un V-Day?
La questione è complessa e cercherò di affrontarla nella maniera che mi è più congeniale – cioè attaccandola dai lati. Pochi anni fa è uscito un film di grandissimo interesse sociologico, anche, ma non solo, per l’ampia distribuzione a cui era fin da subito destinato: V for Vendetta di James McTeigue. Senza entrare nello specifico della trama e tralasciando completamente qualunque considerazione di tipo artistico, è d’obbligo ricordare che V for Vendetta era un film che si basava su uno dei costrutti tipici di ciò che gli storici chiamano “antimodernismo”, e cioè il rifiuto della democrazia parlamentare. Dato che mi sto occupando (insieme ad un caro amico, il professor Mario Gamba) della stesura di un lavoro che ha come tema proprio l’antimodernismo, un film come questo non poteva lasciarmi indifferente, soprattutto per una serie di aspetti che cercherò di approfondire in questo articolo.
Naturalmente trattare in questa sede di cosa si intenda con il termine “antimodernismo” sarebbe troppo lungo; rimando per approfondimenti ad un qualsiasi dizionario di politica. Quello di cui mi interessa parlare, comunque, è la scena finale del film in questione (chi sa di cosa sto parlando la ricorderà certamente, gli altri possono trovarla qui): mi riferisco all’esplosione del parlamento inglese per mano del protagonista, un vendicatore mascherato che si fa portavoce del malessere generale della popolazione nei confronti di un sistema politico corrotto e autoritario che ricorda da vicino i grandi totalitarismi del Novecento. Ora, il parlamento inglese che esplode fa pensare a chiunque sia dotato di una seppurminima coscienza storica ad un grande precedente (peraltro esplicitamente citato nel film), ovvero l’attentato dinamitardo (fallito) di Guy Fawkes alla House of Lords nel 1605. La storia del “vecchio Guy” è, almeno nei suoi tratti essenziali, rintracciabile qui, o in maniera più approfondita qui.
I fatti essenziali per il nostro discorso, comunque, possono essere riassunti in 4 punti:
- Guy Fawkes era un cattolico. In effetti era un estremista cattolico che considerava pura la propria anima e pura la propria religione – e in nome di questa purezza aveva deciso bene di far saltare il parlamento, non riuscendo, probabilmente, a far saltare anche il re;
- Guy Fawkes aveva deciso di far saltare il parlamento perchè si opponeva ad una complessa manovra di modernizzazione e laicizzazione dello stato inglese; in questo senso la sua “congiura delle polveri” aveva un chiaro e spiccato senso antimodernista;
- L’esperienza di Guy Fawkes ha avuto parecchia fortuna nella storia culturale e artistica occidentale. In un periodo di enorme sfiducia nel sistema democratico parlamentare (gli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale) T. S. Eliot gli dedicherà l’epigrafe a The hollow men, un’epigrafe che recita letteralmente così: A penny for the Old Guy;
- La ripresa dell’esperienza di Fawkes in un film destinato ad un larghissimo pubblico come V for Vendetta non può che significare, se già non l’avessimo capito, che il mondo contemporaneo vive un sentimento di fastidio e di sfiducia nei confronti delle istituzioni democratiche molto simile (per certi versi troppo simile) a quello che attraversava l’Europa nel ventennio nero degli anni 20 e 30 del Novecento.
Bene, potrebbe obiettare qualcuno, e cosa c’entra tutto questo con Beppe Grillo e con il V-Day? Quale legame intercorre tra un kolossal hollywoodiano, un dinamitardo cattolico del ‘600, e le nuove forme della politica extraparlamentare italiana?
La connessione si pone ad un livello innanzitutto visuale, di immagini: il logo con cui è stato pubblicizzato V for Vendetta (una V rosso sangue in campo nero) assomoglia molto al logo scelto da Beppe Grillo e dal suo staff per presentare il secondo V-Day; gli assomiglia così tanto che spesso, su siti e riviste, i sostenitori di Grillo hanno compiuto la sovrapposizione che era implicita nelle scelte “ufficiali” del movimento “grillino”. Ecco qui di seguito a che cosa esattamente mi riferisco:
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Ora, chiunque può capire che un certo tipo di scelte a livello comunicativo non sono casuali e anzi veicolano più profondi significati. Dunque la domanda che viene a porsi diventa: cosa intende dirci Beppe Grillo scegliendo di comunicarci V for Vendetta, e, per traslato, Guy Fawkes? Ci sta dicendo: “lottiamo insieme per una democrazia migliore”, oppure ci sta dicendo: “siamo stufi delle istituzioni (e quindi necessariamente anche della democrazia, visto che di questo si parla in Italia, seppure con molte doversoe eccezioni) punto e basta”? Oppure ci sta dicendo entrambe le cose, con un procedimento ambiguo e forse, questa volta, non del tutto conscio e intenzionale? Se è vero che il gesto del nostro “vecchio Guy” non potrebbe in nessun modo essere inteso come un atto specificamente “antidemocratico” (la democrazia inglese del ‘600 aveva poco a che vedere con la democrazia come la conosciamo nel 2008), è anche indubbio che la rilettura operata da McTeigue in V for Vendetta finiva con l’assumere, e volontariamente, esattamente questo significato. E Beppe Grillo, non citando direttamente Guy Fawkes ma il film di McTeigue, non può in nessuna maniera sottrarsi al peso di questa intenzionalità: le immagini, esattamente come le parole, sono molto importanti – e vengono sempre usate con un preciso scopo e una precisa volontà comunicativa.
È in questo senso che il discorso su quella che impropriamente (peggio: malevolmente) viene detta “antipolitica” torna in primo piano. Ora, sappiamo o dovremmo sapere tutti che le “eccezioni” di cui parlavo sopra riguardo alla democrazia italiana non sono cose da poco. Come l’Unione Europea ricorda spesso, ed evidentemente invano, l’Italia sta alla democrazia come quei soggetti che la psicanalisi definisce “borderline” stanno al benessere mentale: la situazione non è ancora esplosa (andiamo a votare regolarmente) ma potrebbe farlo da un momento all’altro; la facciata regge, ma i sintomi si aggravano di giorno in giorno. Mi sembra dunque chiaro che nell’analizzare la situazione del movimento “grillino” sia necessario distinguere due piani: uno, che mi appare come decisamente positivo, in cui un grosso movimento popolare e de-ideologizzato si sta muovendo per ricordare alla democrazia italiana il suo stato di malessere, e si sta attivando, con strumenti democratici (il 25 aprile si raccoglievano firme per un referendum) per modificare in senso positivo la situazione esistente; e uno, più oscuro e strisciante, che ha molto più a che vedere con i significati reconditi di quella V rossa in campo nero, e che, a mio avviso, rappresenta un grosso rischio non soltanto per i sostenitori di Beppe Grillo, ma, in ultima analisi, per tutto il Paese.
Quello che voglio dire è che l’ambiguità (o meglio la polivalenza semantica) delle strategie comunicative di Grillo rischiano di produrre, se non hanno già prodotto, un pericoloso effetto collaterale. Dire che la casta politica è corrotta, senza mediazioni nè distinzioni, sortisce certamente l’effetto di radunare un malessere più che legittimo e di veicolarne le potenzialità in azione politica; ma ha il difetto (a mio parere imperdonabile) di non porre dei limiti all’azione stessa. Sappiamo tutti che la situazione politica mondiale è instabile, sappiamo che spinte centripete e veramente “antidemocratiche” arrivano da ogni parte: gli opposti estremi di sinistra e destra (dalle frange estreme della sinistra “autonoma” fino ai neonazisti), il terrorismo nazionale e quello internazionale; per restare nel giardino di casa basti pensare ai leghisti che minacciano (l’hanno rifatto pochi giorni fa) di “imbracciare i fucili”, oppure all’opinione comune di chi ha votato Berlusconi secondo la quale un mafioso (nello specifico Mangano) che non parla in carcere è da considerarsi un eroe e non, come da dizionario, un omertoso. Tutto questo ha un nome: rifiuto per le istituzioni democratiche. La scena finale di V for Vendetta ha un nome – lo stesso. Lo stesso nome, e lo stesso sentimento, sono quelli (e chiunque affronti il passato storico di questo continente senza pregiudizi ideologici sarà concorde nell’ammetterlo) che hanno trascinato l’Europa verso il caos delle guerre mondiali, verso il fascismo, verso Auschwitz e verso i gulag.
Ora (e sia chiaro) non voglio assolutamente dire che Beppe Grillo è un fascista (come pure è stato detto) nè che sta lanciando al Paese un messaggio antidemocratico – se pensassi questo non avrei firmato entrambi i suoi appelli. Quello che voglio dire è che un messaggio come quello che Beppe Grillo sta comunicando ora alla moltitudine di italiani giustamente esasperati può diventare, se non lo si tiene sotto stretto controllo, molto pericoloso. Perchè parlare ad una massa (e quella del 25 aprile in Piazza San Carlo era una massa) è molto complesso, e sappiamo bene (la storia lo insegna) che uno stesso messaggio lanciato ad una massa viene interpretato da alcuni in maniera positiva e propositiva, da altri (anche se si trattasse di una minoranza) in maniera radicalmente distruttiva. Avevano torto le BR ad esprimere il malessere di migliaia di giovani schiacciati dall’economia neoliberista e da un sistema politico che li aveva scordati? No. Ma avevano ragione le BR quando uccidevano giornalisti innocenti che avevano come unica colpa quella di raccontare la verità? Di nuovo no. Un discorso simile potrebbe essere fatto tanto per il fascismo quanto per il marxismo-leninismo, tanto per la questione israeliana quanto per il terrorismo internazionale – è esattamente la scollatura che nasce tra mezzi e fini, tra Idea e Realtà – ed è esattamente quello che voglio dire.
Beppe Grillo, in questo momento, ha nelle sue mani una grandissima responsabilità – ed è necessario che ne sia conscio. Con il suo movimento potrebbe davvero, forse, cambiare le sorti di questo Paese che ancora una volta sembra sprofondare nel qualunquismo, nella connivenza mafiosa, nell’illegalità endemica del suo sistema mediatico e dei suoi meccanismi clientelari. Ma deve fare molta attenzione al fatto che la massa è formata di esseri umani, e gli esseri umani a volte fanno cose strane. La pretesa della purezza (loro sono corrotti, noi noi; loro sono antidemocratici, noi no; loro sbagliano, noi abbiamo ragione) è sempre stato, nel corso dei secoli, l’inizio della distruzione, dell’intolleranza, della violenza – pensate un po’, a questo punto, al vecchio Guy Fawkes. Nell’insoddifazione generale, nella violenza repressa di un mondo stremato da paure inesistenti (se non mi voti torna Bin Laden) e da modelli irraggiungibili (l’imperativo categorico è young cool and sexy), nel nichilismo di una popolazione “disempowered” perchè si sente impotetnte (e di conseguenza rischia di diventare violenta alla sola promessa del potere) e che è stata impotente, in effetti, per quindici anni, davanti a Falcone e Borsellino, a Travaglio e Biagi cacciati dalla Tv, alla legge Gasparri (ma anche alla truffa dell’11 settembre, a Giuliani ammazzato a Genova, davanti al lavoro precario e al capitalismo selvaggio) in questa situazione, insomma, il messaggio di V for Vendetta, il parlamento che esplode, può assumere significati nefasti.
A tutti noi (e non solo a Beppe Grillo) il compito di far sì che la democrazia cambi – senza esplodere – e risorga nuova e, finalmente, più democratica.
Gianluca Didino
orgone5@gmail.com
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