La solitudine di Schenk

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LETTI SULLA LUNA (2)

 

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Propongo qui la seconda segnalazione di questa rubrica.

Mano a mano proporrò altri libri che ho scelto tra quelli che ho ricevuto e che ho letto.

La rubrica non avrà cadenza regolare ma sarà un piacere per me indicare ogni volta che posso uno spunto, un’occasione di lettura e di dialogo con gli autori.  

Sempre seguendo l’impostazione indicata in questo piccolo vademecum che confermo qui sotto.

L’intento è quello di incuriosire, e magari anche di spingere a compiere il passo ulteriore, piccolo ma significativo: approfondire, leggere altre cose, dire “sì mi piace”, oppure dire “Mugnaini non capisce niente, ha gusti da troglodita”.
Va bene tutto. Purché si metta in moto il meccanismo.
Proporrò alcuni testi e qualche nota, nel senso musicale del termine, qualche breve accordo che possa dare un’impressione, un’atmosfera.
Se poi qualcuno, qualche essere semi-mitologico, volesse compiere anche il passo da gigante (quello alla Polifemo, o alla Armstrong sulla Luna, vera o presunta che sia) di acquistare una copia di uno dei suddetti libri… beh… allora il trionfo sarebbe assoluto e partirebbe la Marcia dell’Aida.

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Il volume stavolta è di dimensioni ridotte. Fa parte della collana di libri “Officina di Poesia” di Michelangelo Coviello, curati con arte e con passione antica, artigianale. Coviello ha già ospitato nella sua Officina autrici ed autori di sicura competenza tecnica, tra cui Biagio Cepollaro, Mariella De Santis, Umberto Fiori, Alberto Mari, Meeten Nasr, Giampiero Neri, ed altre ed altri, tutti abili con gli occhi, con le mani, con l’arte del fare e del sentire, il poiein, quello che davvero produce la civiltà dei gesti concreti che si fanno parola. Coviello li definisce libretti.  Sembreremmo in grado di leggerli in un soffio, in una manciata di minuti. Non è così.

Non è stato così anche per il libro di Paolo Rabissi, La solitudine di Schenk (1).

Ogni parola è legata alle altre in una concatenazione necessaria, come una cordata che sale lungo il versante più arduo di una montagna, quello mai percorso fino in fondo; forse la verità, o magari la giustizia, o semplicemente il tempo, mistero roccioso e tagliente. Una cordata alpinistica o semplicemente una fila di uomini e donne che seguono un itinerario disegnato da altre mani, da altre menti, tra un Nord e un Sud, posti come chiodi alle estremità di un’asse geografico a cui sono conficcati i piedi, le mani, i destini, “lungo la pianura fino all’orizzonte,/ tutto appare deserto, è non conosciuto.”

La solitudine forse è nel cuore del non conoscere che si rispecchia in un non conoscersi; riflessione che acceca in un crescendo annichilente.

Rabissi nel suo libro racconta una storia, forse la Storia. Ma senza pretendere neppure un istante di possedere una chiave, e neppure l’istantanea giusta, l’inquadratura ideale, quella che separa buio e luce, giusto e sbagliato, buoni e cattivi. L’impronta dei versi è profonda ma senza mai scordare che ci si sta muovendo nella sabbia, nella neve e nel fango e che ad ogni passo si rischia di calpestare cadaveri di donne e uomini, oppure la loro carne ancora viva. “Al cambio di turno nei pressi del cancello minore/ la solitudine di Schenk si staglia ogni giorno,/ non è tanto la sua notevole altezza, la magrezza/ ma l’impronta dello sconfitto dalla vita./ -Tu studi la Storia, non ne caverai niente.”.

La descrizione è attenta ma non indulge al patetico. Indica, perché guardare insieme è già un atto di condivisione, un nutrirsi dello stesso sole e della stessa solitudine. Un paradosso vitale, la scommessa più ardua e necessaria. Scoprire che la Storia è sempre altra, sempre altrove, lontana dai discorsi ben calibrati delle tavole rotonde con i fiori freschi e le bottiglie di bibite multicolori. Renderci conto che il conto è sbagliato. Anche nel senso numerico del termine. Che il resto non è stato dato, che niente rientra nei confini della logica aritmetica, di ciò che si può osservare senza dovere inventarsi acrobazie di menzogne e algoritmi da ciarlatani. Accorgerci che, in tal modo, lo sconfitto della vita è chiunque, anche chi ogni giorno può scegliere il gusto dell’acqua  minerale che più gli aggrada.

Questo libro racconta la vita. Uno dei suoi angoli, gli sprazzi di sole, perfino, in mezzo al buio, alla solitudine. La misura breve del testo ha favorito qui una concentrazione che si estende per poi racchiudersi attorno a nuclei tematici che sono funzionali alla vicenda specifica ma in modo spontaneo si estendono a raggiera, come strade, sentieri. Ed è il cammino che conta.

“Sicuramente la memoria ha fissato da tempo/ la mappa dei luoghi, degli incontri./ Bastava solo ridarle occasione,/ questa storia, ma verrebbe da pensare ogni storia, / scritta era scritta da tempo,/ bastava trascrivere il tutto come sotto dettatura.”.

In fondo anche questo libro di Rabissi è una trascrizione, con il valore aggiunto di un testimoniare che non pretende di fornire panacee o di rischiarare tenebre, ma solo di mostrare la via della solitudine e una traiettoria che conduca altrove. IM

 

  1. La solitudine di Schenk fa parte del poemetto Inverno a Colonia dello stesso Rabissi (diviso in tre sezioni, di cui La solitudine di Schenk è la prima) insieme ad altri tre poemetti di prossima pubblicazione.

 

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Qui di seguito una nota sul testo dello stesso Rabissi, da cui si ricava il senso e il clima, non solo dello scritto ma anche del tempo, e dei tempi:

La solitudine di Schenk segna nella mia produzione un passaggio decisivo. Avevamo in animo di cambiare il mondo e mi sto chiedendo come sia successo, ma credo che sia anzitutto un topos della mia generazione nata durante o subito dopo la guerra. Tutto era nato con l’emigrazione. I miei compagni di strada nelle Puglie della mia infanzia e adolescenza salirono al Nord, molti si fermarono nelle fabbriche milanesi, altri andarono in Germania o oltreocano. C’era una richiesta di trasformazione molto prima del ’68. Io stesso sono stato un emigrante, in Germania tra pulizia dei pavimenti e patate da sbucciare cercavo di capire, oggi ne è nato Inverno a Colonia e l’inchiesta continua. Il verso si è fatto, a partire da lì, più lungo e narrativo, negli altri poemetti in corso di pubblicazione ha ormai raggiunto il doppio settenario (ma con accenti diversi). Il fatto è che gli emigranti sono di nuovo qui. Anche loro chiedono un cambiamento. Del ’68 la reazione è riuscita a farne un mostro senza cambiare niente. Oggi la reazione è ancora più mostruosa. Non so se il verso riuscirà a tenere il ritmo, nei miei progetti si sta facendo pressante l’idea di smettere di andare a capo e di continuare a scrivere fino alla fine del rigo e delle righe.   (Paolo Rabissi)

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La solitudine di Schenk 

Per fissare i rinvii della memoria

è utile il disegno di una mappa.

In quel territorio s’intrecciano tuttora

sentimenti e progetti. Più a Nord rispetto

ai due campi, è certo,

turchi, greci, spagnoli, italiani abitano

periferie chiassose dove le risse scoppiano

frequenti.

*

 

A Sud i due campi contigui sono separati

da una fitta rete di ferro.

Gli abitanti del campo a Nord,

per entrare in quello a Sud, devono possedere

un pass, il più delle volte non serve,

i volti infatti sono quasi sempre gli stessi.

Stagionali e avventizi sono rari

ma forse è la memoria che immobilizza

lo scenario.

*

 

Dieter sciancato, rifugiato dall’Est, parla inglese,

è convinto che la libertà assoluta non esiste

“…ma voglio essere libero di scegliere

le mie schiavitù, you see?”.

A est del campo, lasciando correre lo sguardo

lungo la pianura fino all’orizzonte,

tutto appare deserto, è non conosciuto.

*

 

Qualcuno potrebbe dire che qui

l’unica religione è il lavoro.

Sul permesso di lavoro, controfirmato da un

religioso, deve comparire la religione professata.

Con qualche insistenza si riesce infine  a ottenere,

evitando il balzello, la scritta keine religion.

*

 

Tra versi petrarcheschi e ragazze Carla

le indicazioni non abbondavano,

tra erbe e rami fioriti e tic tac di macchina da scrivere

si poteva imboccare un sentiero poco noto,

forse una scorciatoia oppure il contrario.

A Ovest  i bassi casamenti sono depositi

per ricambi di lenzuola, coperte

e qualche altro comfort. Non lesinano

nella distribuzione anzi invitano a una cadenza

settimanale, per non trascurare l’igiene.

*

 

La memoria ha fissato un tempo duraturo,

un inverno inoltrato, un principio d’estate, un sole a tratti,

un verdeggiare fresco e sul piazzale delle passioni

al cambio di turno l’incontro regolare con Schenk

– Wunderschön, ah?

– Wunderbar…

Alla cava vicina lo spettacolo è assicurato, corpi

al sole, trasparenze.

*

 

Dieter passeggia conversevole trascinando il suo piede,

indica due caccia americani che sfrecciano nel cielo,

ricorda la sua fuga nel bagagliaio.

Forse è per questo che frequenta il vicino aerodromo

per alianti. Quando è in alto e il suo apparecchio si sgancia

dice che urla per la libertà e la bellezza.

A leggergli versi in italiano si lascia cullare,

non capisce, gli piace la musica che faccio.

*

 

Sicuramente la memoria ha fissato da tempo

la mappa dei luoghi, degli incontri.

Bastava solo ridarle occasione,

questa storia, ma verrebbe da pensare ogni storia,

scritta era scritta da tempo,

bastava trascrivere il tutto come sotto dettatura.

*

 

Al cambio di turno nei pressi del cancello minore

la solitudine di Schenk si staglia ogni giorno,

non è tanto la sua notevole altezza, la magrezza

ma l’impronta dello sconfitto.

-Tu studi la Storia, non ne caverai niente.

Da tremila anni è bloccata, è sempre la stessa.

Sarai solo anche tu. Ist es besser vergessen,

Ich habe alles vergessen.

Quando esce dal suo casamento nella rientranza

della sua finestra accomoda terra e acqua

nel piccolo vaso dove a volte fiorisce

un fiore rossastro.

*

 

L’entrata è dal Main Gate, situato a Est,

chiedono il pass solo la sera al rientro

da scorribande notturne nei quartieri a Nord,

veri e propri dormitori, attrezzati con qualche verde

e di presidi sanitari dove s’incontrano mogli

e madri turche, italiane, greche, spagnole

con i figlioli vocianti. L’intreccio delle lingue

le fa esplodere tutte in risate concilianti.

L’entrata nel campo è dal Main Gate dove

talvolta sostano due cani pastori tedeschi.

Si tratta solo di una coreografia di qualche

malizia, il conduttore dei cani chiede il saldo

di un debito dimenticato.

*

 

Schenk non commette errori, quando esce

punta diritto verso il sentiero in terra battuta

e lo segue. Non vigila su nulla e per l’habitat

non è possibile distrarsi per alcunché

– il verso è una misura d’uomo, non più in là

di tanto né meno, un equilibrio interiore.

Il suo passo sottile, come una lametta

incide il sentiero in silenzio

– a volte inseguo il pensiero e non trovo

la parola. Se qualcuno è vicino a te puoi

chiederla a lui, la prima che dice.

*

 

(I testi tratti dal libro sono quelli riportati sul bel blog di Gabriele Zani, http://gabrielez.blogspot.it/2011/10/paolo-rabissi-la-solitudine-di-schenk.html )

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Biografia

Nato a Trieste, scrittore di righe e versi, vive a Milano da più di cinquantanni, dopo aver insegnato nelle scuole superiori ha ripreso lavori di ricerca su poesia e operaismo. Ha messo in scena eventi nella libreria Calusca di Primo Moroni, in particolare, con la partecipazione di Joe Fallisi, un atto unico dedicato al rapporto tra Dino Campana e Sibilla Aleramo. Ha pubblicato in versi: nel 2001 “Città alta” per DIALOGOlibri, con nota di Giampiero Neri, nel 2005 “La ruggine, il sale” per Lietocolle, prefazione di Tiziano Rossi, nel 2009 la plaquette “Maschile plurale” per DIALOGOlibri, nel 2010 “I contorni delle cose”, edizioni Stampa, Varese, prefazione di Maurizio Cucchi. Cura il blog http://www.righeeversi.blogspot.it .

2 pensieri riguardo “La solitudine di Schenk

    Carla Piccolo ha detto:
    25 settembre 2016 alle 12:43

    Sempre interessante quello che proponi.Grazie Ivano.

      ivanomugnaini ha risposto:
      25 settembre 2016 alle 17:21

      Grazie a te, Carla. Un saluto, e a presto, Ivano

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