Il terroir di Pernand-Vergelesses

di Armando Castagno

Il testo che segue è tratto dal volume “Borgogna – le vigne della Côte d’Or”, di Armando Castagno, in uscita nel mese di novembre 2017. La riproduzione è riservata.

A poco più di tre chilometri da Aloxe-Corton, in direzione delle Hautes-Côtes, si apre una vasta combe, in fondo alla quale, di traverso, si trova il piccolo villaggio di Pernand-Vergelesses, trecento abitanti scarsi. Questo paesino silenzioso e scosceso, che a sua volta fa da spartitraffico tra due altre combes laterali, ha caratteri peculiari, il più notevole dei quali è la sua posizione, occultata dietro la collina di Corton e invisibile al viaggiatore che la costeggi lungo la D974. La situazione di terroir, unica in Borgogna, porta tre conseguenze.

La prima è il fatto che i turisti non mettano quasi mai piede a Pernand; e infatti, a parte un piccolo ristorante, nel villaggio non c’è un esercizio commerciale che sia uno. L’attrazione principale resta dunque – Domaines a parte – la chiesa, dedicata a Saint-Germain, eretta a fine Duecento in forme ibride romano-bizantine, sostenuta da 13 contrafforti e fiancheggiata da un campanile a tegole verniciate ricostruito nel 1859. Appare oggi più interessante l’interno, la cui unica navata a volte ogivali è ricca di opere scultoree del tardo cinquecento e tombe più antiche, rispetto a un esterno compromesso dai restauri nelle forme, nell’integrità e nella coerenza di stile.

La seconda conseguenza è di carattere meteorologico: l’ubicazione delle vigne e del paese stesso, stretto in una serie di canali naturali, porta le vigne di Pernand ad essere talora martoriate dalla grandine convogliata dalle combes, talaltra da gelate impietose, perché l’aria fredda, in assenza di vento, tende a ristagnare, e il sole che provveda a disgelare qui si vede poco, e di sguincio. Non è raro, purtroppo, registrare l’improvvisa mancanza dal listino annuale delle aziende locali di vini bianchi del comune, non prodotti – o prodotti in quantità ridotte – per le varie catastrofi climatiche occorse ahinoi in media due anni ogni tre, negli ultimi tempi. Ci sono rimaste impresse, per fare un esempio, le parole di Jean-Charles Le Bault de la Morinière (Domaine Bonneau du Martray), quando raccontava di aver calcolato la perdita dell’equivalente di 16.000 bottiglie di Corton-Charlemagne in 120 secondi (sic), all’abbattersi sul fronte collinare di Pernand della grandinata del 28 giugno 2014.

La terza conseguenza è una certa difficoltà nello studio del territorio: la struttura a Y del fondovalle divide la zona in tre settori, e soprattutto – la cosa ha un’importanza straordinaria, in Borgogna – traccia il profilo di un comune in cui ci sono vigneti con tutte le esposizioni possibili, salvo quella verso nord.
Il suffisso “Vergelesses”, un tempo utilizzato per giochi di parole promozionali – si pronuncia come “verre je laisse”, “lascio il bicchiere vuoto”; si intende, perché il vino è buono – è stato aggiunto al nome storico del paese nel 1922: è così chiamata la zona meridionale del comune, dove si trovano i due Premier Cru ritenuti da sempre i migliori (Les Vergelesses e Île des Vergelesses). In realtà, forse, la fama di Pernand-Vergelesses non è legata oggi né all’uno, né all’altro, bensì alla stupenda parcella di Grand Cru che si trova in alto lungo l’ultimo lembo vitato della collina di Corton. Ne riparleremo.

Superando i tornanti che conducono in paese, si penetra in una delle zone più nascoste e sconosciute della Côte d’Or: strapiombi sassosi incombono sul visitatore, percorsi da filari di vite che più che “messe a dimora” sembrano “inerpicate” sulle dorsali. Qui, il dilavamento dopo i fenomeni temporaleschi più violenti è un problema di rilevante importanza; sono stati tirati su diversi muri negli ultimi anni per contenere la perdita di suolo lavorabile, che tende a precipitare verso la strada, lasciando talvolta scoperti, nella parte alta della collina, affioramenti di roccia madre.

Se la parte meridionale del comune, quella al confine con Savigny-lès-Beaune, è da tempo immemorabile consacrata al rosso, la zona angusta, ombrosa e impervia posta dietro il paese appare terra da bianchi se ve n’è una in Borgogna. Il Pinot qui tende a restare “corto” di maturazione, e infatti ce n’è poco. Dal luogo nascono invece bianchi da Chardonnay dimensionati ma precisi, vien da dire “nordici”, con enfasi sui caratteri salini e acidi; resistono ormai pochi impianti in cui ci sia del Pinot Bianco, pur tradizionale in zona; ma questa seconda uva, ove presente, non muta i destini del vino, anzi, semmai, ne sottolinea il tratto più arcigno.

I Pernand Blanc sono vini di persistenza e lunghezza, piuttosto che esempi di apertura aromatica o ampiezza di profumi. Sono angolosi da giovani, è vero, ma anche i prodotti di ambizione più contenuta risultano longevi e capaci di trasformazioni sorprendenti; entro i sei o sette anni dalla vendemmia non fanno, in genere, che migliorare, arricchendo un bouquet floreale, agrumato e quasi “marino” con accenni e sfumature speziate e fragranti, e una mineralità incisiva – gli anglosassoni usano spesso il termine “flinty” per i bianchi di Pernand, traducibile con “pietroso” (da flint, selce). I rossi, invece, vivono di un maggiore equilibrio sin dalla giovane età; hanno profumi semplici ma precisi, classici, gradevoli, e un impianto gustativo che non ci è mai accaduto di trovare né crudo né troppo astringente, salvo alcuni esempi in effetti rustici, facenti parte però di “gamme” aziendali rustiche nella loro interezza, qualunque l’origine dei vini.

Il territorio può essere suddiviso in cinque aree. La prima, arrivando da sud, cioè da Beaune o da Savigny, si trova ai due lati della strada che punta su Pernand: una dorsale piantata quasi tutta a Pinot Nero, dove nascono i rossi più importanti del comune dai climats detti Les Vergelesses, Île des Vergelesses, Les Fichots, Creux de la Net e En Caradeux. La seconda è poco prima del paese, sulla destra della stessa strada, e per guardarla bisogna alzare gli occhi: è la parte della collina di Corton inclusa nel territorio comunale, e ha nome “En Charlemagne”. Questa vasta parcella guarda ovest, o in un punto persino nord-ovest, ed è una delle più tardive della Côte. Salvo una sola eccezione, non ospita che uva bianca per la produzione del Corton-Charlemagne.

Per giungere alle restanti tre aree occorre superare il paese puntando a nord. Se lo si fa in direzione nord-ovest, lungo la strada che va a Echevronne, ci si imbatte in un panorama tanto bello quanto insolito, al punto che non sembra di essere neppure in Côte d’Or. Due ripidi fronti di collina bordano la strada con esposizioni opposte; l’area è classificata “Villages” ed è a lieve prevalenza di Chardonnay. Se invece lo si fa in direzione nord-est, si incontra prima la collina di Frétille, con le sue buone parcelle da bianco (il Sous Frètille con i suoi tre sous-climats Les Plantes des Champs et Combottes, Les Quartiers e La Morande), e infine l’antica zona di Bully, con quattro o cinque buone vigne atte sia al bianco sia al rosso. L’esposizione più frequente in queste due ultime aree vitate è quella a sud. In totale, Pernand schiera 68,90 ettari di territorio classificato “Premier Cru” e 135,20 di “Villages”; la percentuale di uva bianca, che solo venti anni fa non toccava il 20%, è ormai quasi arrivata al pareggio nei confronti della rossa, ed è facile prevederne il futuro sorpasso.

L’ultima nota dell’introduzione riguarda i prezzi dei vini, sempre rimasti sobri, anche dopo che in anni recenti si è provveduto a promuovere alcune vigne dal rango di semplici “Villages” a quello di “Premier Cru”, limitatamente al vino bianco. Affronteremo nel dettaglio queste variazioni legislative trattando delle vicende dei singoli Premier Cru, che sono al momento in cui scriviamo nel numero di otto.

I GRANDS CRUS

Abbiamo affrontato il Grand Cru “Corton” nel capitolo precedente. Trattiamo qui dei due residui Grands Crus che insistono sulla stessa collina, entrambi riferiti al solo vino bianco: il celeberrimo Corton-Charlemagne e l’invece semisconosciuto – e del resto caduto da anni in quasi totale disuso – “Charlemagne”, tout court.

Charlemagne (Aloxe-Corton e Pernand-Vergelesses, ha 62,94)
Denominazione Grand Cru dalla storia tormentata e ormai quasi del tutto abbandonata perché priva di senso e originalità. Fu concessa nel 1937 a parziale risarcimento per l’espropriazione ai danni del comune di Pernand-Vergelesses della denominazione “Corton-Charlemagne”, seguìta a una causa vinta in primo grado dalla municipalità di Aloxe-Corton, la quale, su quattro parcelle, ebbe anche lei la possibilità di fruire della nuova AOC. Dal 1942, peraltro, la prestigiosa AOC Corton-Charlemagne tornò a essere estesa anche a Pernand-Vergelesses, e quindi la AOC Charlemagne perse di significato, coincidendo con aree storiche del Corton-Charlemagne; tuttavia nessuno pensò mai ad abolirla, ed è oggi ancora in piedi, come un fantasma del passato. Dei suoi 62,94 ettari, 45,68 pertengono al comune di Aloxe-Corton e i rimanenti 17,26 a quello di Pernand-Vergelesses.

La AOC riguardava e riguarda, per la precisione, i seguenti cinque sous-climats della collina: Le Corton, Les Pougets, Les Languettes e Le Charlemagne nel comune di Aloxe; En Charlemagne in quello di Pernand.

Orbene, ciascuna delle cinque parcelle appartiene sia alla AOC Charlemagne sia alla AOC Corton-Charlemagne (e anche alla AOC Corton, a dire il vero) per la sua interezza, e la rivendicazione dell’una o dell’altra denominazione da parte di un produttore che vi realizzi del bianco, è del tutto discrezionale; la seconda denominazione, Corton-Charlemagne, ne comprende tuttavia anche molte altre, mentre la prima si limita a queste sole cinque pezze di vigneto. Come il Corton-Charlemagne, anche lo Charlemagne può esistere solo nella versione bianca. Grado minimo naturale delle uve (12%), grado massimo per l’idoneità (14,5%) e resa massima all’ettaro (54 ettolitri) sono identici tra le due AOC.
Per lungo tempo hanno prodotto uno “Charlemagne” etichettato come tale almeno il Domaine Chandon de Briailles e la Maison Louis Jadot; a oggi, la sola azienda che rivendichi la denominazione ci risulta essere il Domaine de la Vougeraie. Sull’etichetta – come in quelle di Chandon e Jadot di qualche anno fa – c’è infatti scritto semplicemente “Charlemagne”, con in calce la dizione “appellation d’origine contrôlée”, e non specificandosi quale ci si deve attenere a quanto riportato sopra: Charlemagne. Su quasi tutti i siti – ma non, ad esempio, quello di Berry Bros. & Rudd – che lo vendono o lo pubblicizzano, questo vino del Domaine de la Vougeraie risulta descritto come “Corton-Charlemagne”, ma come di tutta evidenza la dizione è inesatta.

Il carattere dello Charlemagne è infine indistinguibile in partenza da quello di un Corton-Charlemagne: delle cinque parcelle di cui consta, almeno due sono piuttosto calde (Pougets e Languettes), una equilibrata (Le Corton) e due fresche (Le Charlemagne e soprattutto En Charlemagne). Avrebbe forse avuto senso limitare la denominazione, se proprio non la si voleva abolire, a questi ultimi due sous-climats, anche per ragioni storiche e toponomastiche.

Corton-Charlemagne (Ladoix-Serrigny, Aloxe-Corton e Pernand-Vergelesses, ha 71,91)

Una delle più importanti denominazioni di origine del mondo per il vino bianco, cui è dedicata in esclusiva, la AOC Corton-Charlemagne ha sviluppo amplissimo, aggirando la collina di Corton con esposizioni a est, a sud, a ovest, e come accennato finanche a nord-ovest. Le parcelle più ripide, prossime al limitare del bosco che sovrasta la “Montagne de Corton”, presentano pendenza del 22-23%. I suoi quasi 72 ettari sono divisi su nove sous-climats, tutti posti nella parte più alta della collina: i cinque appena citati a proposito dello Charlemagne (Le Corton, Les Languettes, Les Pougets e Le Charlemagne ad Aloxe, più En Charlemagne, unico a Pernand), più altri quattro. Di questi, tre sono nel comune di Ladoix-Serrigny (Les Hautes Mourottes, Les Basses Mourottes, e 3,20 ettari su 8,57 di Le Rognet et Corton) e uno ad Aloxe (Les Renardes, per 2,89 ettari su 14,35). Conseguenza di tutto questo è che possono passare due settimane di tempo tra la vendemmia più precoce – in genere al Les Pougets – e quella più tardiva (quella dell’En Charlemagne, sola parcella Grand Cru in Borgogna a guardare verso il sole che tramonta) entro la denominazione in oggetto.

La storia della AOC appare enigmatica, ma di certo è molto risalente; una popolare sebbene infantile leggenda narra come queste terre, vitate a Pinot Noir o comunque a uve rosse, fossero proprietà di Carlo Magno in persona, il quale, per non macchiarsi la reale barba bianca, e volendo continuare a bearsi del nettare prodotto sulle sue colline, ne determinò su consiglio della sua giovane sposa, la riconversione a uva bianca, e quindi a vino bianco. In verità, Carlo Magno di vino si occupò poco o nulla nella vita, il suo rapporto con la Borgogna non ebbe mai questo carattere familiare e amichevole, si sposò quando aveva già alienato le terre di Corton da 19 anni, e quel che più conta, probabilmente non portava la barba. Tuttavia, pare proprio che nel 775 egli avesse lasciato ai monaci di Saint-Andoche-de-Saulieu un appezzamento di un ettaro e mezzo giusto in queste lande. Cosa ci fosse piantato non è dato sapere; vigneti sulla collina preesistevano di certo al sovrano (prima citazione anno 696 d.C.), ma la loro posizione è impossibile da determinare. In ogni modo, sulle etichette dei vari Corton-Charlemagne reperibili sul mercato si trovano ai nostri giorni disegni di stemmi, monaci, case, coppe, volti, grappoli, monogrammi, chiese, vigne, edicole votive, ma su nessuna a noi nota, curiosamente, figura l’effige del monarca citato nel nome del vino: una circostanza che, leggenda o verità che sia il ruolo di Carlo Magno nella vicenda del vino locale, troviamo inesplicabile.

Quel che è peraltro sicuro è che le zone oggi adibite al Corton-Charlemagne abbiano avuto anche altri proprietari illustri. Per secoli, titolari di queste vigne furono grandi istituzioni religiose e monastiche, come il capitolo della cattedrale di Autun, oppure, più avanti, i duchi di Borgogna e la corte reale francese. Nelle vendite all’asta seguite alle confische rivoluzionarie del 1791-1793, per strano che possa sembrare, nessuna di queste parcelle oggi così ambite scatenò tuttavia gli appetiti speculativi della ricca borghesia parigina o digionese, e la proprietà passò dalla nobiltà e dal clero alla piccola classe di imprenditori e commercianti locali, quasi sempre gente di Ladoix o di Beaune. Unica, ma notevole eccezione, la nobile famiglia Le Bault, i discendenti cioè di quel Nicolas Rolin che aveva avuto il merito, molti anni prima (1443), di fondare gli Hospices de Beaune.

Da molti viene ritenuto certo che l’avvento dello Chardonnay sulla collina di Corton, e di conseguenza la presa di coscienza del valore del climat, sia da datare alla fine dell’Ottocento, e da attribuire alla rivoluzionaria idea di un Latour, appartenente alla famiglia di celebri négociants. A sostegno della tesi, si fa notare come sui trattati ottocenteschi i vini bianchi di Corton risultino in qualche modo sottovalutati: forse – si azzarda – perché ottenuti da Aligoté, da Pinot Grigio (Pinot Beurot) o da Pinot Bianco. Va tuttavia sottolineato come quest’ultima uva sia stata confusa con lo Chardonnay, in Borgogna come altrove, per secoli, tanto da far nascere il sospetto che lo Chardonnay allo “Charlemagne” ci fosse eccome; e come l’Abate Courtepée, già nel 1778, avesse lasciato testimonianza scritta e inequivoca dell’antica tradizione del bianco nelle zone alte della collina di Corton. E per la verità, a leggere bene la classificazione di Jules Lavalle (1855), si trova che parcelle come l’En Charlemagne (“1ère cuvée”) e il Le Charlemagne (“Hors-Ligne”) fossero in realtà considerate eccome alla stregua di altri vigneti borgognoni da bianco di grande valore: ha la stessa valutazione del Bâtard-Montrachet, del Meursault-Charmes e del Meursault-Genevrières.

Per l’analisi delle nove parcelle del Corton-Charlemagne rimandiamo alla trattazione del capitolo precedente; tutte e nove, infatti, in tutto o in parte, sono ricomprese anche nella AOC Corton. Sul vino, invece, l’approfondimento è necessario, perché i suoi caratteri fondanti lo distinguono in maniera netta dal Corton Blanc, cioè dal bianco prodotto lungo i fianchi della stessa collina, ma ad altitudini inferiori. Le parcelle del Corton-Charlemagne regalano un bianco meno tenero, anzi talvolta rude nella micidiale potenza sapida e acida del suo gusto, oltre che nel profumo più affilato, fresco, talvolta balsamico, mai sguaiato, spesso caratterizzato da originali quanto sottili vibrazioni floreali, agrumate e speziate. È vino austero nei primi anni, ma capace di evoluzioni stupefacenti sui 10/15 e persino sui 20 e oltre, quando compaiono tipiche note di tartufo bianco e miele leggero. Splendida sintesi del concetto di “vin de terroir”, il Corton-Charlemagne è prodotto da numerose ottime aziende, tanto che definire i reference standards è operazione soggettiva. Tuttavia, citeremo le versioni, molto ricercate e qualcuna costosissima e rara come un diamante, che in questi anni ci sono sembrate le più costanti e fedeli nel tracciare nel vino un racconto territoriale attendibile, tenendo ferme le premesse di vigore minerale e purezza aromatica sopra accennate.

Producono un Corton-Charlemagne con uve – di proprietà o acquistate – della parcella “En Charlemagne” di Pernand-Vergelesses i Domaines Méo-Camuzet, Simon Bize, Georges Roumier, Dubreuil-Fontaine. Con uve della parcella “Le Charlemagne” di Aloxe-Corton, tra gli altri, i Domaines Coche-Dury, Michel Mallard, Henri Boillot, Buisson-Charles, Génot-Boulanger, Vincent Girardin, des Croix, Bruno Clair, Camille Giroud. Con un blend delle due parcelle ora citate i Domaines Bonneau du Martray, de la Vougeraie, Rollin Père et Fils, Rapet Père et Fils, Ponsot, Dublère. Dal sous-climat “Le Corton”, di Aloxe-Corton, i Domaines Bouchard Père et Fils, Jacques Prieur e Follin-Arbelet. Dal terroir “Les Languettes”, sempre ad Aloxe-Corton, i Domaines D’Ardhuy (“La Vigne Dieu”, antico nome del Languettes) e Roulot; dalla parcella “Les Rognet et Corton” il Domaine Chevalier Père et Fils; dalla parte alta del “Renardes” il Domaine Chandon de Briailles; dal solo “Pougets” i Domaines de Montille e Patrick Javillier.
Utilizzano assemblaggi di uve da queste e altre parcelle, infine, i Domaines Pierre-Yves Colin-Morey, Maurice Chapuis, Morey-Coffinet e diversi altri.

I PREMIER CRU

A parte la zona Grand Cru della collina di Corton pertinente al comune di Pernand-Vergelesses (corrispondente al sous-climat “En Charlemagne”, più volte nominato), vi sono due aree considerate di pregio entro i confini comunali. In queste due aree sono state individuate otto climats classificati Premier Cru, ma con un importante distinguo da fare.

La prima area, ubicata lungo i bordi della strada Dipartimentale 18 che proviene da Beaune, conta cinque Premier Cru, piantati essenzialmente a Pinot Noir, ma che la legge considera atti a un Premier Cru anche nel caso vi si produca un Pernand-Vergelesses bianco; il caso è minoritario, ma non sporadico. La seconda area, un assembramento di vigneti ripidissimi che salgono dai 322 ai 373 metri sulla collina posta subito a est del centro abitato, ha subìto in anni recenti una revisione legislativa. Nel 2000, infatti, sono state promosse da “Villages” a Premier Cru alcune pezze di territorio per complessivi 12 ettari circa; ma il testo varato dall’INAO, in realtà, ha accordato la promozione solo al vino bianco che da queste parcelle venga ottenuto, mentre il rosso continua ad avere l’inquadramento di sempre, cioè quello di un Pernand-Vergelesses “Villages”. Le parcelle promosse sono tre: Clos Berthet, Village de Pernand e Sous Frétille, climat quest’ultimo diviso in quattro lieux-dits (il Sous Frétille propriamente detto, Les Plantes des Champs et Combottes, Les Quartiers e La Morand), rivendicabili in etichetta che solo lo si voglia al posto di “Sous Frétille”, qualora le uve ne provengano integralmente.

Sous Frétille (ha 10,25)
È un luogo splendido, incontaminato. Dal centro storico di Pernand si sale lungo la Rue de Frétille per pervenire in cima alla collina che domina il villaggio, tra alberi secolari e muretti in pietra a secco, in una pace surreale. Oltre dieci ettari di vigneto, in alcuni punti un autentico strapiombo, sono stati promossi a Premier Cru nel caso vi si coltivi lo Chardonnay. Salendo sui tornanti di questo piccolo rilievo, si comprende il perché: il fianco della collina scopre accanto alla strada sezioni di terreno in cui le radici degli alberi si fanno strada tra argille brune e ciottoli calcarei. Il luogo è umido e fresco, né l’esposizione verso sud-est basta a renderlo accogliente abbastanza per il Pinot Noir, che vi fatica a maturare. Il bianco, invece, può essere davvero sorprendente: ampio e respirabile, solcato talvolta da suggestioni resinose e boschive, ha la tipica droiture dei bianchi della zona anche al sorso, freschissimo e spinto sugli accenti sapidi. Come accennato nell’introduzione ai Premier Cru comunali, le quattro parcelle di pregio di questo versante possono tutte dare vita a un Pernand-Vergelesses Blanc Premier Cru “Sous Frétille”, anche in assemblaggio tra loro; è comunque garantita alle aziende che lo desiderino la possibilità di riportare il nome del singolo lieu-dit di eventuale provenienza delle uve nell’etichetta del vino. I produttori che realizzano il Premier Cru sono almeno 20, e tra essi meritano una citazione Rapet Père et Fils, Dugat-Py, Clos de la Chapelle, Dubreuil-Fontaine, Pavelot, Pierre Marey, Comte Sénard, Rollin, Delarche, Doudet-Naudin e Pierre-Yves Colin-Morey, nonché maisons di lusso come Antonin Guyon, Lucien Le Moine e Deux Montille.

Clos Berthet (ha 1,21)
Ripido vigneto a picco sul paese antico, e oggi monopolio del Domaine Dubreuil-Fontaine. La vasta maggioranza della parcella, circa un ettaro, è piantata a Chardonnay, e regala quindi oltre cinquemila bottiglie all’anno di Premier Cru, a differenza della zona a Pinot Noir, le cui piante di circa 30 anni restano atte soltanto a un Pernand Rouge categoria “Villages”. Il bianco è un vino tonico, materico, di discreta finezza salina. I millesimi caldi lo caricano in genere di note mature quando non proprio esotiche, e per solito ne lasciano esposta la traccia dell’elévage in legno. Il Clos Berthet bianco appare assai più a proprio agio in millesimi classici o persino freschi, quando sfoggia aromi e trama gustativa di superiore finezza e tempra. Il rosso è invece quasi sempre semplice, goloso, tutto sul frutto, senza spigoli tannici e leggero nel colore; ha un potenziale evolutivo limitato, ma è uno dei Pernand più gradevoli e pronti qualora approcciato entro il terzo o quarto anno dalla vendemmia.

Village de Pernand (o Clos du Village, ha 0,57)
Rettangolino di poco più di mezzo ettaro giusto dietro la chiesa di San Germano, riquadrato da mura, esposto a sud-ovest e monopolio del Domaine Rapet Père et Fils, che battezza il vino che ne ottiene “Le Clos du Village”. Una piccola parte, tuttora classificata “Villages” e posta al bordo della Rue du Paulant, è utilizzata come giardino. Rispetto al “Sous Frétille” cambiano l’altitudine, qui inferiore (294-307 metri slm), e la pendenza, non superiore al 5%, ma non la composizione geologica, che trova sotto un mezzo metro scarso di argille color ocra il blocco di calcare duro del Giurassico. Come le altre parcelle dell’area, il Clos du Village è atto a fornire un Premier Cru solo per il vino bianco, e del resto l’intero climat è piantato da tempo immemorabile a Chardonnay. L’esito finale, nel succoso vino di Rapet, è esemplare, in piena linea con i caratteri storici del bianco di questa specifica zona: bella maturità del frutto, ricchezza e incisività sia dal lato acido che da quello sapido, declinazione della potenza più che del dettaglio.

En Caradeux (ha 14,38)
Uscendo da Pernand in direzione sud, puntando cioè verso Beaune, si incontra sulla destra un fronte di vigneto stretto e lungo, che dai 260-270 metri del bordo strada sale fino ai 338-342. La collina è sormontata da un fittissimo bosco, detto il Bois de Noël. La metà bassa di questo rettangolo – cioè fino ai 305 metri circa – è classificata Premier Cru, e rappresenta uno dei punti di maggiore eleganza e più virtuoso equilibrio nel quadro delle vigne di questo comune. Il suolo è ricoperto di sassi; la pendenza, molto accentuata; un ennesimo terroir da bianco, insomma, salvo che nella parte più bassa del centro del climat, dove appaiono evidentissimi inserti ferruginosi che colorano di un rosso insolitamente acceso le argille di superficie.

Il nome del vigneto, Caradeux, presenta qualche problema di decifrazione. Dagli specialisti locali si è ipotizzata la derivazione da *kal/kar, una radice nientemeno che pre-indoeuropea per “pietra”, oppure persino la corruzione del termine “char à bœufs”, carro trainato da buoi, il che non sarebbe privo di senso visto che la strada che delimita la vigna scende a Beaune, il centro urbano e agricolo più importante della Côte. Ma a noi appare assai più pregnante la derivazione di “Caradeux” dal latino “carduetum”, campo di cardi, pianta infestante (chardon in francese moderno) comunissima in Côte d’Or tanto che ne hanno preso nome con certezza un vigneto chiamato Les Chardannes a Chambolle-Musigny e uno di nome Les Chardonnereux a pochi chilometri di distanza da questo di Pernand, in comune di Beaune.

En Caradeux, ora che i cardi sono stati estirpati, è come detto un climat di notevole valore, ed è il secondo Premier Cru per estensione nel comune dopo Les Vergelesses. Eppure, le proprietà sono ampie e le etichette, di conseguenza, poche. Rivendicano “in bianco” il Caradeux una manciata di Domaines, tra i quali la maggioranza sono négociants dei dintorni, come le maisons Champy, che ha acquisito la parcella del Domaine Laleure-Piot, Chanson (come “Les Caradeux”) e Louis Latour; fini e classici anche i bianchi dei Domaines Rapet Père et Fils e Pavelot. A quel che ci consta, vengono prodotti oggi solo due rossi da questo vigneto. Uno è quello, piuttosto denso ma floreale e profumato, di Rémi Poisot (Poisot Père et Fils). L’altro, ottenuto dal riquadro meridionale del climat, ancora per oltre tre quarti delimitato da un muretto di pietra grigia, è il potente “Clos de la Croix de Pierre” di Louis Jadot; la parcella, tutta in area Premier Cru, faceva parte del patrimonio originario della celebre maison di Beaune, ed è in proprietà. Dalla parte alta del Clos, classificata però “Villages”, Jadot trae inoltre un vino bianco che mostra uno spiccato carattere minerale nonostante la giovane età delle piante.

Creux de la Net (ha 3,81)
Il termine “creux”, molto comune in Côte d’Or ricorrendo in nove lieux-dits diversi, ha relazione stretta dal lato etimologico con “carrière”, cava di pietra; qui si riferisce al luogo pieno di sassi che è ancora oggi. Pressoché impossibile chiarire invece con certezza ai tempi nostri cosa nasconda la parola “net”. La parcella, che segna il limite comunale con Savigny-Lès-Beaune con il suo lato sud, ha come il Caradeux un colore di superficie variabile da un punto all’altro; nella parte sommitale prevalgono argille chiare, con forte presenza di scheletro; in basso, tornano le vene ferruginose già viste nel cru limitrofo. Nessun Domaine dei più celebrati della zona produce oggi un Pernand-Vergelesses Creux de la Net: le etichette disponibili sono quelle delle maisons Aegerter (un bianco dalla parte alta, delicato e salino) e Champy, e dei Domaines Cornu-Camus, Denis Père et Fils e Roger Jaffelin. A parte la prima, le altre sono etichette di rosso, che riesce più o meno a tutti carnoso di struttura, spigoloso nel tannino e austero nel bouquet. Tutti fattori che, considerati insieme, spiegano la scarsa popolarità di cui gode questo cru.

Les Fichots (ha 11,23)
Una faglia di almeno due metri separa il Fichots dalle vigne di pari categoria poste al suo confine ovest, ovvero En Caradeux e Ile des Vergelesses. Il luogo è ampio e quasi piatto (248-260 metri slm), luminoso; siamo alla base della collina di Corton, tanto che la distanza dal sous-climat “Le Charlemagne” dal confine orientale del Fichots è misurabile in passi – tra i due vigneti c’è solo l’intercapedine della filiforme parcella “villages” denominata “Les Combes”, vedi capitolo su Aloxe-Corton.
Il nome di questo vigneto deriva, per unanime parere degli studiosi, da una antica famiglia che ne fu proprietaria in epoche lontane; il cognome, con diverse varianti (come Fichet) è in effetti ancora oggi piuttosto diffuso in Borgogna. Non viene invece considerata la possibile origine da “ficetum”, piantagione di fichi, neppure alla luce del fatto che la cuspide del Fichots si chiama da almeno nove secoli “Les Noirets”, da noyer, albero di noce, e che a duecento metri sussiste il cru detto “Les Citernes”, da “citretum”, piantagione di cedri. Ciò che è sicuro è che Fichots è da secoli considerato vigneto da rosso, il quale vi riesce soave, morbido e concentrato, senza asperità tanniche, e per la verità, almeno stando alla nostra esperienza, senza complessità particolari che screzino la generosa dotazione di aromi fruttati (mirtillo, ribes nero, cassis) del suo bouquet; tuttavia, nei casi migliori, il vino ha una profondità rimarchevole. Le versioni che ci sembrano più didattiche del cru sono quelle dei Domaines Rollin, Doudet-Naudin, Nicolas Rossignol e Follin-Arbelet, nonché quella assai promettente del nuovissimo, locale Domaine del giovane Jean-Baptiste Boudier.

Île des Vergelesses (ha 9,41)
Dall’incrocio che segna il limite sud dell’En Caradeux, in prossimità di una croce di pietra bianca, inizia il lunghissimo vigneto detto “Île des Vergelesses”, che accompagna chi percorra la D18 verso Beaune per circa 880 metri. E’ un cru lungo, dunque, ma stretto – al massimo 170 metri nel suo punto più largo – e le due strade che lo costeggiano assecondandone il profilo lo isolano (dal che “Île”, isola) dalle vigne entro le quali è incassato, il Vergelesses di Savigny a ovest e il Vergelesses di Pernand a est. Si sale dai 262 ai 289 metri lungo una pendenza severa. Lungo tutto lo sviluppo della linea basale corre un muretto a secco di pietra bianchissima, diroccato in più punti e aggredito dai rovi, ma sostanzialmente continuo; in esso si aprono varchi, segnati da tabelle in marmo con l’indicazione del Domaine fiero proprietario della parcella corrispondente.

Si tratta forse della migliore vigna del comune per il vino rosso: profumi classici ed eleganti di violetta e mirtillo sono sovente accompagnati da soffi mentolati e speziati, in un insieme che comunica raffinatezza; il sorso, sempre scandito da tannini ben presenti e talvolta rigidi in gioventù, è sostanzioso, espressivo, lunghissimo nella persistenza dai toni minerali a tinte scure. Le potenzialità di questo cru in materia di longevità sono anch’esse rilevanti e, diremmo, proverbiali, almeno localmente: nostri ripetuti assaggi di bottiglie ultraventennali non hanno del resto mai messo a nudo indizi di cedimento. Producono l’Île des Vergelesses ottimi Domaines quali Chandon de Briailles, Jean-Jacques Girard, Pavelot, Rollin, Rapet, Thénard e Dubreuil-Fontaine, ma anche maisons de négoce come Louis Latour, Champy (Domaine Laleure-Piot in etichetta) e Louis Jadot. Considerando il ragionevole prezzo medio dei vini citati, ci sentiamo di raccomandare i rossi da questo climat come acquisti tra i più “intelligenti” dell’intera zona attorno alla collina di Corton.

Les Vergelesses (ha 18,06)
Il più vasto Premier Cru di Pernand-Vergelesses, nonché il più celebre, tanto da essere stato scelto all’unanimità nel 1922 come suffisso per il nome del paese. Al catasto, il nome esatto è “Les Basses Vergelesses”. Il termine “basses” può tuttavia venire eliso, e lo è di fatto da tutti i Domaines che lo vinificano, nessuno escluso, anche perché fornirebbe del vigneto un’idea peggiorativa, quando invece si tratta solo della necessaria distinzione rispetto all’Île des Vergelesses, il cui nome esatto è “Île des Hautes Vergelesses”. Dal punto di vista del terroir, possono rilevarsi alcune notazioni interessanti che lo riguardano. Il vigneto, esposto a pieno est, ha un’altitudine massima di 267 metri e una minima di 241, in corrispondenza della depressione del “Boutières” e del “Vercots”. Rispetto agli altri vigneti Premier Cru del sud comunale, è il più ricco di argilla, il più caldo e il più meridionale; non è infrequente vedere inerbiti gli spazi tra i filari, allo scopo di frenare una vigoria produttiva che risulterebbe esiziale per la finezza del Pinot Nero, qui protagonista assoluto. Le matrici di terreno sono almeno due, e il rispettivo riflesso nel vino che ne scaturisce abbastanza semplice da individuare; si suol distinguere il Vergelesses dalla parte nord, al confine con il Fichots, molto più fine e minerale, da quello del confine sud, che un suolo ricco in ossidi di ferro distilla in rossi più robusti e muscolari, e in particolare assai più severi dal lato tannico. Sono esempi del “primo tipo” i Vergelesses di Denis Père et Fils, Chandon de Briailles e Rapet Père et Fils, del “secondo tipo” quelli di Rollin, della Maison Champy e di Chanson Père et Fils. Altri produttori di questo vino un po’ rustico ma generoso e “gastronomico” sono Pavelot, Remoissenet, Antonin Guyon, Jean-Jacques Girard e Mongeard-Mugneret.

LE MIGLIORI PARCELLE “VILLAGES”

Un carattere varietale e aromatico spiccato, note semplici ma appetitose di frutta rossa succosa, fiori e spezie leggere, una notevole e imprevedibile tempra gustativa con tannini piuttosto rigidi e persistenza infusa di salinità. Questo il ritratto aneddotico – e quasi sempre veritiero – dei Pernand-Vergelesses rossi di categoria “Villages”, ma il discorso vale in verità anche per i bianchi, una volta sostituiti la frutta rossa succosa con gli agrumi, e i tannini rigidi con la sorta di corrente acida che li percorre. La geografia delle vigne che possono produrli è peraltro diversa rispetto a quella che concerne i Premier Cru comunali, e spiega questa maggiore durezza. Infatti, a parte due sole eccezioni (Les Boutières, a sud, e Les Noirets, una strisciolina di vigneto sotto l’En Charlemagne), tutte le vigne di Pernand atte alla categoria “Villages” si trovano attorno al paese antico, lungo fianchi ripidi e sassosi di collina, in luoghi quasi sempre angusti, ventosi e freddi.

Les Boutières (ha 12,98) è come detto la più notevole eccezione; fa parte del grande triangolo di climats in cui trovano posto anche Basses Vergelesses e Les Fichots, e il suo vino assomiglia nei profumi ai due citati; non se ne spiegherebbe la diversa e peggiore classificazione legislativa, se non per una ruvidità tannica che gli sottrae piacevolezza, almeno nei primi anni, e che va ascritta alla sovrabbondanza di argilla compatta, qui spessa oltre un metro.
Les Belles Filles (ha 20,36), che in realtà si chiamerebbe “Sous le Bois de Noël et Belles Filles” – non chiedete a noi cosa andassero a fare le belle figliole tra le frasche del Bois de Noël, anche se un sospetto l’abbiamo – è il proseguimento a nord-ovest del Caradeux, ma è terroir completamente diverso per esposizione e clima, più freddi. Il rosso sortisce tra i più lievi di Pernand sia nel colore sia nel bouquet, e profuma di fiori rosa e rabarbaro. Il bianco è di caratura superiore, ed è un ottimo punto d’equilibrio in ambito comunale: vive sul crinale tra un’espressione come trasognata di frutta bianca e fiori dolci e un rabbioso graffio di sapidità.

Sur Herbeux (ha 7,39) è l’ultima vigna di Pernand procedendo a nord-est verso le Hautes-Côtes de Nuits, con un comune-chiave del cui territorio, Magny-Lès-Villers, confina. È una zona di rossi succosi, dal frutto nitido e asprigno e dalle nuances quasi affumicate, e di bianchi rigidi e minerali, dai netti toni di agrume giallo (limone, pompelmo) e iodio; li rende un po’ meno taglienti, in annata favorevole, l’esposizione della collina, che guarda a sud. Il vino del luogo ha una fama piuttosto solida tra i vignerons locali nonostante sia rarissimo da vedere in etichetta: viene quasi sempre utilizzato per assemblaggi. Esiti e reputazione molto simili si hanno nelle vigne limitrofe, degne anch’esse di una menzione finale – Sous Les Cloux, di circa 6,70 ettari, Devant Les Cloux, di 9,27 ettari, e il Clos de Bully. Quest’ultimo vigneto, che assomma 3,11 ettari dei quali sono oggi piantati poco più della metà, è forse poco noto ai nostri giorni, ma ha avuto in passato una certa notorietà. Si tratta senza mezzi termini di una delle vigne più antiche dell’intera Borgogna, come risulta da una cronaca del 1158 che ne documenta come appena avvenuto il primo impianto, opera dei monaci dell’Abbazia di Maizières. Produce una versione “filologica” di questa sorta di “sorso di storia” la Maison Champy di Beaune, a sua volta il più antico négociant borgognone.

2 commenti to “Il terroir di Pernand-Vergelesses”

  1. Madonna mi metti la fregola….dai con sta uscita del libro….,,,

  2. E’ un piacere leggere questi stringati pezzi di Armando. C’ho messo un paio di settimane ma la colpa è mia. che sono lenta :-)

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