Gli Aghlabidi in Ifriqiyya: la grande moschea di Qayrawan e l’architettura della scuola di Susa

Gli Aghlabidi in Ifriqiyya: la grande moschea di Qayrawan e l’architettura della scuola di Susa

Grande moschea di Kairouan

La Grande moschea di Kairouan si presenta, nell’assetto definitivo, di forma quadrangolare con una lunghezza di m. 135 e una larghezza di m. 75; sorprende però l’ampiezza del cortile che, tenendo conto delle gallerie laterali, occupa quasi i 2/3 della superficie totale. La sala di preghiera, ipostila, è divisa in diciassette navate perpendicolari al muro sud-est, detto il muro qiblī. La navata centrale, leggermente più ampia delle altre (m. 5,75 contro m. 3,40), forma, con il passaggio che costeggia il muro qiblī, una pianta a T; le navate sono suddivise in sette campate che si estendono da E a O, divise in due gruppi di tre dalle linee trasversali delle arcate. Al di là delle porte che segnano l’entrata al santuario, si estende una galleria-nartece di due campate, al centro della quale si erge una cupola a godrons che fa pendant con quella che precede, all’estremità sud della navata centrale, il miḥrāb, nicchia semicircolare che indica il posto dell’imām (colui che guida la preghiera solenne). A destra si alza il minbar, usato soltanto per la grande preghiera del venerdì. Tutte le navate sono scandite da colonnati di marmo, per lo più di materiali antichi, con capitelli greco-romani o bizantini, collegati da archi a ferro di cavallo. La cupola del miḥrāb, su trombe a conchiglia, è sontuosamente ornata e ha all’esterno la forma di una cupola a godrons su tamburo ottagonale a facce concave, impostato su una base quadrata con nicchie ad arcata. Del miḥrāb, che conserva integra la decorazione aghlabide, sono da ricordare soprattutto i pannelli traforati in marmo bianco, il semicatino in legno dipinto con festoni di tralci di vite, gli incavi sull’apertura della nicchia, le mattonelle di maiolica a lustro metallico, che per numero e qualità costituiscono forse la più bella collezione di ceramiche abbasidi conosciuta nel mondo arabo-musulmano. Il minbar è composto di piccoli pannelli di legno duro, intagliati con una ricca decorazione di gusto decisamente orientale, strettamente apparentata con le vestigia conosciute di Baghdad. Il minareto, allo stato attuale, è una torre quadrata, tozza, su tre livelli: l’alta base a tronco di piramide si prolunga in un piano più stretto, con nicchie a ferro di cavallo sormontato da una lanterna con aperture ad arco simili alle precedenti; è concluso da una piccola cupola lavorata a godrons.

Grande moschea di Tunisi (la Zaytūna)

La Grande moschea di Tunisi (la Zaytūna) presenta una pianta molto complessa, ma vi si trovano tutte le caratteristiche della Grande moschea di Kairouan, soprattutto nella sala di preghiera che, però, ha solo tredici navate. Le cupole hanno profilo identico a quelle di Kairouan, ma il tamburo qui è cilindrico ed è rinforzato da pilastri con capitelli sobriamente sagomati; quella del nartece presenta arcate a conci bicolori che fanno pensare alla moschea di Cordova.

Grande moschea di Sfax 

La Grande moschea di Sfax è stata profondamente rimaneggiata nel sec. 11°, ma una parte della sala di preghiera ha apparentemente conservato l’aspetto aghlabide, salvo che nei soffitti. Si è pensato per molto tempo che anche il minareto, restaurato nel sec. 11°, avesse conservato la forma che aveva nel sec. 9°, ma recenti sondaggi eseguiti nelle mura hanno rivelato che i tre livelli che lo rendono simile al minareto di Kairouan sono solo un rivestimento costruito nel sec. 11° che nasconde la struttura aghlabide, di dimensioni molto ridotte.

Grande moschea di Susa (Sousse)

La Grande moschea di Susa appare come un fortino, con contrafforti arrotondati negli angoli, e si distingue dagli edifici religiosi precedentemente descritti per il sistema di volte a tutto sesto nelle navate, tagliate da arcate su pilastri; è infatti un tipo di costruzione che ricorda piuttosto il piccolo oratorio detto ‘masijd Bū Fatata’ e che era stato adottato nelle sale di preghiera dei ribāṭ. La moschea delle Tre Porte a Kairouan costituisce una delle più notevoli testimonianze dei numerosi oratori di quartiere sorti nella città durante il 9° secolo. Fino a un periodo recente si era tenuto conto solo della bellissima facciata, adorna di una decorazione epigrafica cufica, mescolata a una profusione di pampini e di elementi floreali, ma oggi bisogna attribuire grande importanza anche alla sua piccola sala ipostila nella quale sono stati recentemente ritrovati mirabili architravi in legno, scolpiti con una decorazione floreale molto vicina a quella dei pannelli del minbar della Grande moschea.

Architettura civile

Non si possono ricavare grandi informazioni dalle vestigia del Dār al-Imāra, parzialmente recuperate in questi ultimi anni, e al-‘Abbāsīya non ha ancora rivelato nulla del suo passato. A Raqqāda invece si è potuto portare alla luce l’insieme di un palazzo di tipo omayyade, a pianta quadrata, con i lati rafforzati da torri angolari semicircolari e circolari; vi si possono distinguere due stili, uno dei quali evoca piuttosto bene il palazzo omayyade di ‘Anjar (Libano). Costruito interamente con muri di terra rivestiti di stucchi verso l’interno e di intonaco all’esterno, ricorda il famoso palazzo di Ruṣāfa (Siria settentrionale). Raqqāda è però ben lontana dall’aver rivelato tutti i suoi segreti: alcune foto aeree mostrano infatti tutta l’ampiezza dei lavori che restano da compiere sul sito.

I ribāṭ e l’architettura militare

L’architettura militare è testimoniata soprattutto dalle mura delle città e dai conventi fortificati (ribāṭ) della costa; Susa e Sfax hanno conservato i loro baluardi, benché molto rimaneggiati nel corso degli anni. Di Susa si ricorda soprattutto la curiosa torre di vedetta, Khalaf al-Fatā, a due piani, di cui l’inferiore, a forma di tronco di piramide, ricorda il minareto di Kairouan, mentre quello superiore, concluso da una terrazza sorretta da due volte che si intersecano ad angolo retto, è relativamente simile a quelli di Toledo (periodo dei Califfi). I ribāṭ, talora forti bizantini restaurati, proteggevano tutta la costa. Il più celebre è quello di Susa che una lapide di fondazione attribuisce a Ziyādat Allāh, ma che gli studi di Lézine (1956; 1966) tendono a retrodatare alla fine dell’8° secolo. Quanto ai ribāṭ di Monastir, il più antico risale al tempo del governatore Harthama (fine del sec. 8°); è stato però restaurato un altro ribāṭ nella stessa città che sarebbe invece aghlabide. Queste costruzioni sono caratterizzate dalla forma quadrata della cinta di mura merlate, rinforzate agli angoli da grosse torri circolari e sui lati da torri semicilindriche; sono articolate su due piani di camere-celle e, al livello superiore, si trova una sala di preghiera; inoltre, sono dotate di una torre di guardia di forma cilindrica.

Le opere idrauliche di Kairouan e dintorni sono state particolarmente descritte da Solignac (1964); si ricorda il grande bacino di forma apparentemente circolare che, in realtà, è un poligono di quarantotto lati rinforzati da contrafforti, al cui centro di erge ancora un enorme pilastro che un tempo sosteneva un padiglione ‘di piacere’; vi è annesso un piccolo bacino di decantazione a diciassette lati che costituisce il modello di numerose altre costruzioni di questo tipo, conosciute a Kairouan al tempo degli Aghlabidi. A Raqqāda sono da segnalare la grande piscina rettangolare, lunga m. 180, e le curiose cisterne a cielo aperto a forma di fortino. Le cisterne di Kairouan (aggiunte ai grandi bacini), di Susa e di Maharès presentano un tipo particolare di costruzione nel sottosuolo, a navate parallele con volte a botte, intersecate da arcate a tutto sesto su pilastri, secondo un sistema strutturale analogo alle moschee del Sahel.

Susa (Sousse)

Al pari di molte delle città della costa tunisina sorte – o risorte – dopo la conquista araba del Maghreb, la S. islamica deve la sua origine alla presenza di una fortezza (ribāṭ; v.) in cui risiedevano i volontari della guerra santa per difendere la costa dagli attacchi cristiani o nell’attesa delle spedizioni contro gli infedeli. Il ribāṭ di S., ancor oggi conservato (Lézine, 1968), fu edificato durante il governatorato di Yazīd b. Ḥātim, tra il 775 e il 788: si tratterebbe quindi del più antico edificio di questo tipo nel Maghreb. Sotto l’aghlabide Ziyādat Allāh I fu completato, nel 206 a.E./821, con la costruzione, sul bastione sudorientale, di una torre di vedetta (manār) circolare (diametro m 5 ca.), che sovrasta di oltre m 15 la parte rimanente dell’edificio. La fortezza, costruita in muratura di pietra, presenta una pianta quadrata (lato m 39 ca.); otto bastioni, quasi tutti semicircolari, sono posti agli angoli e a metà di ciascuno dei lati esterni.

All’interno, il ribāṭ presenta un cortile quadrangolare, circondato da un porticato a pilastri coperto a volte da cui si accede a una serie di vani che si allineano lungo i muri perimetrali dell’edificio. Lo schema, a eccezione del porticato, sostituito da una terrazza, si ripete al piano superiore, dove tuttavia il lato meridionale è occupato da una sala di preghiera formata da undici navate coperte da volte a botte e perpendicolari al muro della qibla; ogni navata è delimitata da due archi che poggiano su bassi pilastri cruciformi.

Al pari di Sfax, Kairouan e Tunisi, S. visse una vera e propria rinascita in epoca aghlabide: nell’844 una nuova fortezza (qaṣba) sorse in una posizione non lontana dalla costa e sovrastante il primitivo ribāṭ. Pochi anni dopo l’emiro Ziyādat Allāh I (817-838), che fece della città il punto di raccolta e di partenza delle truppe per l’invasione della Sicilia, ordinò la costruzione di una cinta muraria, terminata nell’859, inglobandovi la qaṣba, che ne formò l’angolo sudoccidentale. La qaṣba si trovò così nel punto più elevato della città e fu sormontata da una torre di segnalazione (altezza m 30 ca.), detta Khalaf al-Fatā, costituita da due piani sovrapposti e ancor oggi esistente.

 

Arti applicate

È conservata una quantità notevolissima di ceramiche smaltate che provengono soprattutto da Raqqāda, eseguite con tecniche diverse, fra cui quella della maiolica a lustro metallico, tecnica attestata invero piuttosto raramente, tanto da poter mettere in dubbio che la produzione sia stata locale. Tuttavia, un viaggiatore orientale di passaggio a Tunisi vantava la qualità della maiolica di questa città, che – a suo dire – poteva competere con i più bei prodotti orientali.

Lampadari in bronzo o in ferro, lampade di bronzo, gioielli d’oro e d’argento sono stati trovati a Kairouan insieme con un bel gruppo di legature in cuoio decorato. A Raqqāda numerosi frammenti di vetro o di cristallo inciso testimoniano l’esistenza di un’industria locale di alta qualità. Si è già detto della bellezza delle sculture in legno, e bisogna a questo proposito ricordare l’abilità dei falegnami e dei carpentieri autori degli stupendi soffitti dipinti, studiati da Marçais (1935).

In tutte queste testimonianze del sec. 9° va decisamente sottolineata l’importanza delle influenze orientali: quelle della Siria rimasta fedele all’arte degli Omayyadi e soprattutto quella dell’Iraq degli Abbasidi. Baghdad e Samarra ebbero un ruolo di primo piano nella diffusione di un’arte decorativa eclettica che si collegava tanto all’antichità classica greco-romana, quanto alle tradizioni dell’Asia centrale. Nel complesso la Tunisia degli A. ha di fatto ampiamente attinto al contesto mesopotamico, ma a un esame più attento rivela anche apporti andalusi, su uno sfondo di antiche tradizioni locali. In definitiva può dirsi che si trattò di un’arte che si affermò soprattutto per caratteri propri, perpetuati attraverso i tempi e resistenti alle varie e molteplici influenze straniere.

Bibliograia

Bibliografia

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