Avengers – Infinity War: Lasciate ogni speranza voi che… spoiler
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La misura della corsa senza fiato rappresentata da 2 ore e 40’ di Avengers: Infinity War è nella scena iniziale che raccontiamo avvisandovi degli spoiler. Mentre ancora ci stiamo sistemando nella poltrona, guardando con sguardo truce quello dietro di noi che continua a scalciare la nostra poltroncina che pare Cristiano Ronaldo, quello accanto che non spegne il cellulare e chi, con il faro del telefono acceso, cerca il proprio posto, pronti e via l’astronave asgardiana che avevamo lasciato alla fine di Thor: Ragnarok mentre ascoltava i Led Zeppelin è stata attaccata e distrutta da Thanos, il popolo di Odino sterminato, i suoi figli, adottivi e naturali, prigionieri, Hulk malmenato ed entrato in crisi di autostima. Il messaggio è chiaro: Infinity War sarà un massacro.
Siamo nello spazio, in media res, dove un’astronave ha abbordato e sopraffatto l’altra e si mietono anime e catturano prigionieri, evocando un’altra grande apertura, quando un piccolo battello diplomatico fu intercettato da un incrociatore imperiale e uno dei più grandi cattivi della storia del cinema fece il suo ingresso al suono di fanfare. Iniziamo e Anthony e Joe Russo mostrano solo l’esito dell’attacco – Thor (Chris Hemsworth) e Loki (Tom Hiddleston) incatenati e ricattati da Thanos (Josh Brolin) – appoggiandosi agli altri fratelli e cugini di primo e secondo grado del Marvel Cinematic Universe, come se fosse il seguito diretto di uno di loro, in una sorta di bingewatching in cui semplicemente passare da un episodio all’altro. E dopo 10 anni e 18 film, anche Feige, Stan Lee e i fratelli Russo hanno finalmente capito che senza un cattivo coi controcazzi e una sacca scrutale sulla faccia non si va da nessuna parte: Avengers 3 ha un grande villain, rebel with a cause, crudele, ma perché ha un piano superiore. Un progetto che parla al nostro tempo: l’universo è malato di troppa gente, c’è fila per comprare le caramelle gommose, bisogna dare una bella botta alla sovrappopolazione. Thanos vuole le pietre dell’infinito per uccidere metà degli esseri viventi e restituire equilibrio alla vita.
In media res scrivevamo: Avengers: Infinity War è il film più lungo della saga Marvel ma non c’è tempo da perdere: corriamo forte tra duelli, scazzottate, battaglie stellari, viaggi intergalattici, flashback, collera divina, fuoco e zolfo che piovono dai cieli, fiumi e oceani che bollono, sacrifici umani, cani e gatti che vivono insieme! Masse isteriche! Nani stellari e Peter Dinklage che compare a sorpresa come è altrettanto sorprendente la mano sicura con cui i fratelli Russo dirigono il circo tra New York, Wakanda, Titano, luoghi imprecisati nella nostra galassia, battaglia di terra, botte da orbi stile Bud Spencer e Terrence Hill, navi stellari in fiamme al largo dei bastioni di Orione. Tutto ha una sua filosofia, un filo rosso che cuce la storia di ciascun personaggio e si esprime fin dentro le scene di azione. Nel braccio di ferro tra Captain America e Thanos, visibile anche in uno dei trailer di Infinity War, lo scontro tra un uomo e un’entità superiore pressoché onnipotente, tra il cuore e la forza di volontà di Steve Rogers contro la ferrea e spietata determinazione di Thanos sono dentro ogni singola piega del viso del supereroe e nello stupore del titano che non riesce a schiacciare un “semplice” uomo con la forza delle sue pietre dell’infinito. Trascinando noi e secoli di tragedie greche dentro quella stretta tra mani che si odiano.
Ciò esaltato dal perfetto equilibrio, degno ancora la volta del manuale Cencelli di Kevin Feige, in cui tutti i personaggi dell’universo Marvel hanno il loro momento di gloria, l’attimo che giustifica 18 film in dieci anni attraversati tra alti e bassi, in cui, in una perfetta verticalizzazione dell’immaginario visivo e verbale di ogni carattere, in una linea di dialogo, dentro uno sguardo, nella linea d’aria tracciata da un gesto, nel rettangolo espressivo di un’inquadratura riescono a giungere al centro del significato, della motivazione, di un’essenzialità da cinematografia alta.
Contrariamente a quanto accaduto nei precedenti film Marvel diretti dai Russo (Winter Soldier, Ant-Man e Civil War) le scene d’azione non hanno solo proprie emozioni, ma una chiarezza espressiva e una cura che faticavamo a riconoscere ai due fratellini. Insomma, l’azione è tostissima, è un continuo spaccare culi e gli Avengers le danno e soprattutto le prendono forte come mai prima d’ora, anche gli scagnozzi di Thanos non pettinano certo le bambole ma staccano loro la testa e le impalano, c’è sofferenza e dolore, ma anche una prepotente anima da commedia, come sempre nei cinecomic Marvel, così che la durata monstre a cui accennavamo vola via veloce come i corvi che attraversano Westeros in un batter di ciglia. È troppo? Non so… Mi risulta difficile pensare a una fine del mondo che non sia essere sotto 5-0 in una semifinale Champions League, ma non penso che avrei così tanta voglia di scherzare o sparare battute che manco da Jimmy Fallon quando mezzo universo sta per diventare cenere. Ognuno ha i suoi punti di rottura, il mio è stato il “trombamico” e l’Hulk in crisi di identità, la prima l’ho trovata una leggerezza eccessiva, la seconda una scorciatoia facile facile.
Sono difetti piccoli, a mio modo di vedere e per come amo il cinema di questo genere. Finalmente l’espressione “Il migliore Marvel di sempre” ha la sua perfetta declinazione e le chiacchiere fatte in passato su come e perché un film d’azione possa aspirare a premi e riconoscimenti de “l’altro cinema”, quello dei Maestri per dire, qui forse trova il perfetto gesto di sconfinamento. Come Logan lo scorso anno e più di Wonder Woman, Avengers: Infinity War merita di stare al tavolo dei grandi senza dover chinare la testa.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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