Francis Turatello, nato ladro

Tutto-il-resto-è-noia-coverIndossava pellicce, girava in Rolls-Royce e al collo portava una svastica d’oro tempestata di diamanti, Francis Turatello re di Milano, anche se era un ragazzo di provincia. Al trono c’era arrivato grazie ai sequestri, alle bische clandestine, al cinismo, all’arroganza che lo aveva portato da «Ciccio banana» – per via del ciuffo che piegava sulla fronte – a «faccia d’angelo», boss della capitale lombarda. Erano gli anni Settanta, Milano non era ancora «livida e sprofondata», ma un’occasione da prendere al volo, e lui l’aveva capito. C’erano la nebbia, il grigio della periferia e i quartieri operai da dimenticare. Francis voleva lasciare in fretta provincia e puzza della strada, mettersi dritto e vivere bene, non importa come. «C’è chi nasce per fare lo sbirro, chi lo scienziato, chi per fare Madre Teresa di Calcutta. Io sono nato ladro», diceva Renato Vallanzasca, primo storico rivale di Francis Turatello, poi inseparabile amico. Dopo la pace, gli chiese di essere il suo testimone di nozze a Rebibbia, e lo Zio di Milano, in tight, gli fece questo regalo. Francis Turatello era immagine e voglia di stupire. Uomo grosso, faccia da ragazzino, passione per gli abiti di lusso e grandi idee di conquista. Inseguiva il buon gusto e la Milano bene, andava a cena al Derby di via Monterosa, e aveva il figlio sulla copertina di «Tutto il resto è noia» di Franco Califano. Nato ad Asiago, nel Vicentino, arrivò in città con la madre Luigia, stabilendosi in via Brocchi, zona Lambrate. Figlio illegittimo di Frank Coppola, boss siciliano negli Stati Uniti, che mai lo poté riconoscere, però ne apprezzò le gesta. La sua normalità, passata per l’ago e la stoffa: voleva fare il sarto, durò pochissimo. Il lato oscuro dell’esistenza cominciò nel quartiere, con una banda di ragazzini, devastando i negozi di chi non si adeguava al pizzo. Mise in fila rapine, arresti per furti e detenzioni di armi. Poi passò alla prostituzione, arrivò a trenta ragazze, che erano un bel po’ di soldi da reinvestire. La sua fu una carriera malavitosa veloce, non priva di qualche scivolone. Un furto in trasferta finito male, nei primi di agosto del ’66, nel Belgio delle miniere. Chissà, forse aveva associato all’emigrazione un concetto di facile fortuna. Assaltò la Kredietbank di Bruxelles, lo arrestarono. Sei anni, poi diventati la metà con il riconoscimento dell’infermità mentale, lo stesso motivo gli regalò un biglietto di sola andata per casa, dove c’era Lia Zennari, sua compagna di sentimenti e di malavita, destinata a una brutta fine: morirà in un agguato nel ’78. Lui sarà il primo sospettato. Pochi anni dopo ci riprovò, e questa volta, complice l’esperienza estera, venne fuori un capolavoro. Rapina al furgone della Stefer a Roma, bottino: centocinquanta milioni di lire, fuga e vacanze a Gstaad in Svizzera con la fidanzata, mentre il resto della banda venne arrestato. Era il 1971. Tre anni dopo, agli inizi del ’74, in carcere a Mantova, sequestra due detenuti, motivo: protestare contro le lungaggini del suo procedimento per la rapina al furgone. Sì, quella venuta a meraviglia. Trasferito a San Vittore, alla fine dello stesso anno, guida una rivolta di duecento detenuti per la riforma dei codici. Resta per tre giorni sui tetti del carcere. Quando gli viene concessa la libertà provvisoria si scatena. In quegli anni il gioco d’azzardo annodava ricca borghesia e malavita, le bische non erano solo roulette e fiche ma anche droga, champagne e belle donne. Il suo quartier generale stava in Corso Sempione, con diramazioni in via Panizza, via Savona, piazzale Loreto. Milano era una Las Vegas con la nebbia. C’era solo una bisca non controllata dallo Zio, stava nel quartiere Brera e gli rubava la clientela migliore. Nonostante lui fosse entrato e con una bomba a mano avesse chiamato «banco» al tavolo verde, loro si ostinavano a starci. Anzi il Brera Bridge sembrava non voler mollare il punto strategico e si attrezzò per contrastare le minacce del boss. Blindò le porte, selezionò la clientela, fece controllare la zona, mettendo insieme un efficace sistema di difesa, durato fino alla sera del 28 novembre 1976, quando, da casa Francis_TuratelloTuratello in via Garofano, partì l’assalto. L’ultimo. Con lui, due fuoriclasse del genere: Angelino Epaminonda detto il Tebano, uomo delle famiglie catanesi al Nord, e il bandito sardo Graziano Mesina. Apripista fu Giorgio Camerano, un habitué del posto, rapito e costretto a fare da esca. Lui citofonò, quelli aprirono, loro entrarono. Il mito nacque. Ecco come raccontò l’impresa ai giudici il Tebano: «Abbiamo ripulito tutti i tavoli. C’era Mesina come impazzito, perché voleva portare via anche le pellicce, e Turatello gli ha detto no». Il bandito sardo non poteva capire che quella era una abile mossa di marketing armato, non una semplice rapina. E poi Francis non stava solo svuotando le tasche di quei ricconi ma stava anche costruendo il suo personaggio. Messi in fila i clienti, dopo averli rimproverati per la frequentazione della bisca, e per non aver scelto il circolo «Amici della pittura» in corso Sempione, disse al Tebano: «Perquisiscili, se trovi qualcuno che non ha versato tutto lo uccidiamo». Uno, due, tre, zac, c’è un tizio che ha un orologio in tasca, ma il Tebano non lo dice e passa oltre. Quando quella bizzarra rapina, durata quattro ore, termina, il Tebano confessa, e lui sorridendo lo stupisce: «Lo sapevo che c’erano dei furbi, per questo ho scelto te, se mandavo Mesina mi toccava fare una strage». La banda abbandona la bisca ma prima «faccia d’angelo» si premura di lasciare i soldi per i taxi alle signore con corredo di bigliettino da visita. Il giorno dopo, Milano è sua. Durerà poco. Sette anni di reclusione gli costerà quella serata di gloria. Il giudice istruttore Guglielmo Muntoni scriverà: «Lo scopo dell’impresa non fu realizzare profitto, si limitarono a rubare il denaro contante e non i gioielli e le pellicce, Turatello voleva riaffermare il proprio dominio sul gioco d’azzardo, convogliare i clienti presso le sue bische e rilevare il Brera Bridge in un secondo tempo». Proprio quello che succederà, il locale chiuderà e sarà riaperto sotto la sua guida. Un anno dopo il boss viene arrestato nel centro di Milano. Torna in galera, non uscirà più. La sua vita finirà nell’agosto del 1981, carcere di Nuoro, assassinato brutalmente. Sgarro o regolamento di conti, lo accoltellarono in diversi. Il suo boia a Badu ’e Carros fu Pasquale Barra, detto «’o animale», il sicario legato a Raffaele Cutolo, che si accanì sul cadavere. Ma in quel carcere c’era anche Alberto Franceschini, fondatore delle Brigate Rosse, che racconterà uno strano episodio: «Non avevo mai avuto con lui rapporti particolarmente affettuosi, ci limitavamo a osservarci e controllarci reciprocamente, a distanza… Turatello era inquieto, turbato, mi girava intorno con l’aria di chi voleva fare amicizia. E un giorno mi disse: io vi ho salvato la vita. E mi raccontò che il suo avvocato, tale Formisano, un esponente del Msi a suo dire legato ai servizi segreti, era andato da lui e gli aveva proposto di organizzare in carcere dei nuclei di picciotti per assassinare quei brigatisti rossi che erano nella lista dei detenuti da liberare in cambio di Moro… mi sono rifiutato, perché, anche se sono di destra, voi siete dei bravi ragazzi e non farò mai una cosa del genere. All’inizio pensai che la sua fosse una smargiassata, che volesse farmi sentire in debito per creare un rapporto di dipendenza… Ma alcuni anni dopo la storia è venuta fuori attraverso i racconti dai pentiti di mafia: Tanino Costa, uno dei boss di Messina, disse ai giudici le stesse cose che Turatello aveva confidato a me… Venti giorni dopo, venne massacrato in modo orrendo». Si chiuse male la storia di Francis che volò sopra Milano e finì divorato nel cortile di un carcere, senza riuscire a consumare il suo ultimo pasto.

[2005]

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1 thoughts on “Francis Turatello, nato ladro

  1. […] per capire il bandito bisogna ascoltare chi “lavorava” con lui a Milano negli anni settanta di Francis Turatello re della città e delle bische da svaligiare. Con lui, c’era un altro fuoriclasse nel genere: […]

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