Edmondo De Amicis “Amore e ginnastica”, presentazione

Dalla quarta di copertina dell’edizione Einaudi 1971

Pubblicato quasi clandestinamente nel 1892, Amore e ginnastica è un racconto ricco di humour, malizia e acutezza psicologica: un libro sorprendente, che giunge a ribaltare completamente l’immagine dello scrittore zuccheroso, didascalico, moraleggiante, che è stata cristallizzata da Cuore. Quello stesso mondo scolastico, appare qui come un campo di forze contrastanti, diviso tra gli slanci ideali delle missioni civili e i piccoli segreti degli individui. De Amicis racconta infatti i retroscena di una passione collettiva per una maestra di ginnastica, la Pedani, bellezza femminile atletica e dominatrice, da Brunilde wagneriana o gigantessa baudelairiana. Tra i suoi spasimanti spiccano un ex seminarista, “dotato di una forte sensualità contenuta” e uno studente che va per le spicce e appena può allunga le mani. Piú in ombra, il rapporto della Pedani con un’altra donna, femmineamente vibratile quanto lei è risolutamente maschia: la Zibelli, con cui convive in un ménage abitativo di nubili.

Un solo tema – osserva Italo Calvino – sembra stare a cuore all’autore: la corrente di energia femminile che domina tutto il racconto. Si capisce allora la visione che “deve aver attratto il capitan cortese Edmondo De Amicis verso il mondo della scuola: questo sterminato harem senza sultano, questa agguerrita falange di donne che muove all’assalto, che dilaga dalle aule e dalle palestre come un nugolo di Minerve armate dalla mente di Giove”.

Dalla Nota introduttiva di Italo Calvino

[…] Come un dramma classico , il racconto serba una rigorosa unità di luogo, si svolge tutto per le scale d’una casa residenziale della vecchia Torino, e nelle stanze di tre o quattro appartamenti. E quando alla fine ne usciamo, non è per andare in palestra, ma a un convegno nazionale di maestri elementari, nelle gloriose sale del Palazzo Carignano ( bella pagina del De Amicis giornalista, d’altronde).

Più che “Amore e ginnastica” il titolo potrebbe essere “Eros e ideologia”. Dove il vissuto, il sensibile, è tutto dalla parte dell’eros.

Come inizia

Al canto di via dei Mercanti il segretario fece una profonda scappellata all’ingegner Ginoni, che gli rispose col suo solito: – Buon giorno, segretario amato!- poi infilò via San Francesco d’Assisi per rientrare in casa. Mancavano venti minuti alle nove: era quasi certo d’incontrar per le scale chi desiderava. A dieci passi dal portone intoppò sul marciapiedi il baffuto maestro di ginnastica Fassi, che leggeva delle prove di stampa: questi si soffermò, e mostrandogli i fogli, disse che stava scorrendo le bozze d’un articolo sulla sbarra fissa della maestra Pedani, scritto per il «Nuovo Agone», giornale di ginnastica, del quale egli era uno dei principali redattori. – È giusto, – soggiunse, – quello che dice. Non ci ho da dare che qualche ritocco, qua e là. Ah! È veramente una maestra di ginnastica. Non dico per scrivere: ciascuno ha le sue facoltà. E poi, nella ginnastica, come scienza, il cervello d’una donna non sfonda, si sa. Ma come esecutrice, non ce n’è un’altra. Già, madre natura l’ha fabbricata per quello: le ha dato le proporzioni schelettoniche più perfette che io abbia mai viste, una cassa toracica che è una maraviglia. L’osservavo giusto ieri nella rotazione del busto, che faceva per esperimento. Ha la flessibilità d’una bambina di dieci anni. E mi vengano a dire i signori estetici che la ginnastica sforma il bel sesso! Quella maneggia i manubri come un uomo, e ha il più bel braccio di donna, se lo vedesse nudo, che si sia mai visto sotto il sole. La riverisco. Cosí egli troncava bruscamente ogni discorso per imitare il celebre Baumann, il grande ginnasiarca, com’egli lo chiamava; che era il suo Dio. Il segretario rimase pensieroso. Quel feroce maestro Fassi, senza saperlo, lo andava tormentando da un pezzo con tutti quei ragguagli descrittivi delle forze e delle bellezze della maestra, a cui egli già troppo pensava. Ora quelle due immagini del busto roteante e del braccio nudo gli crebbero l’agitazione con la quale s’avviava sempre verso la scala, quando sperava d’incontrarvi la sua vicina. Salí i primi scalini a passi lenti e leggeri, con l’orecchio teso, e quando fu sul primo pianerottolo, udendo sopra uno stropiccio di piedi, si sentí salire il sangue alle guance. Erano la maestra Pedani e la maestra Zibelli che scendevano insieme, come di solito, per andare alla scuola. Egli riconobbe la voce di contralto della prima. Quando si trovaron di fronte, a metà della seconda branca di scala, il segretario si fermò, levandosi il cappello, e invece di guardar la Pedani, vinto dalla timidezza, guardò, come faceva sempre, la sua compagna; la quale, anche questa volta, credette d’esser lei la cagione del suo turbamento, e lo incoraggiò con un sorriso amorevole. E tennero uno dei soliti dialoghetti stupidi di quelle occasioni. – Cosí presto vanno alla scuola? – balbettò lui. – Non è tanto presto, – rispose con voce dolce la maestra Zibelli; – sono a momenti le otto e tre quarti.