Nuovi passi : la seconda fase del progetto
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Premessa
Il convegno dell’8 novembre Vi ho chiamato amici ha segnato la conclusione della prima fase del progetto “chiccodisenape”. L’originalità della nostra esperienza non è stato solo nei temi affrontati o nella capacità di organizzare questa importante iniziativa, ma soprattutto nel fatto che 14 gruppi hanno scelto di lavorare insieme, ognuno secondo il suo stile, intorno ad alcune questioni ritenute vitali per l’annuncio del Vangelo.
Le sintesi dei gruppi sono state un prezioso documento su cui i teologi che avevamo interpellato hanno riflettuto: il loro contributo è stato infatti, non solo il frutto del loro autonomo pensiero, ma anche l’esito di un confronto con le idee espresse in quelle sintesi.
Abbiamo quindi pensato di riprendere la nostra ricerca con la stessa metodologia adottata lo scorso anno, assumendo tre tematiche che proprio a conclusione della prima fase sono emerse con evidenza.
Le tracce
I temi che proponiamo alla ricerca partono dagli argomenti affrontati nello scorso convegno e sono:
– “Ricercare le parole per dire Dio oggi” – I segni dei tempi
– “Essere cristiani nel mondo” – Costruire una società fraterna
– “Sperare in una Chiesa di comunione e profezia” – Liturgia e partecipazione dei laici
Per ognuno di essi proponiamo ai gruppi una traccia di riflessione, predisposta dal coordinamento.
A questi tre temi abbiamo inoltre pensato di aggiungerne un quarto:
– La vita e la morte: le nuove tecniche mediche alla luce del disegno di Dio sulla creazione.
Questa tematica è già stata lanciata dalla lettera che alcune settimane fa il gruppo di coordinamento di chiccodisenape ha scritto alla comunità cristiana a partire dalla vicenda di Eluana Englaro per invitare la Chiesa torinese a riprendere il tema della vita e della morte con serenità e intelligenza, riconoscendo la pluralità delle posizioni. Ovviamente i primi destinatari di questo invito sono gli stessi gruppi del chiccodisenape.
Il metodo
Poiché intendiamo confermare il metodo di lavoro della prima fase, ne riproponiamo i punti salienti:
– ogni gruppo può scegliere uno o più temi fra quelli individuati in questo documento, utilizzando possibilmente le tracce riportate. Ciò non toglie che un gruppo possa esprimere delle sue valutazioni su aspetti che non abbiamo qui adeguatamente considerato e che ritiene molto significativi;
– ogni gruppo può scegliere le modalità che ritiene più opportune per svolgere il suo compito;
– poiché lo scopo della nostra iniziativa è anzitutto quello di aprire spazi di dialogo e di confronto, deve esser favorita la massima libertà di espressione, purchè all’interno del tema (o dei temi) che ogni gruppo sceglie;
– ad ogni gruppo chiediamo di mettere per iscritto il frutto della sua discussione, sia in termini di idee condivise, sia evidenziando le diversità di opinioni;
– il comitato di coordinamento provvederà a raccogliere i documenti pervenuti, al fine di avere un quadro complessivo delle questioni discusse, delle posizioni presenti nella comunità ecclesiale, della omogeneità / disomogeneità delle idee, delle proposte evidenziate;
– i risultati di questa riflessione saranno oggetto di una serie di iniziative, destinate a rendere visibile il lavoro fatto e coinvolgendo la comunità ecclesiale, che pensiamo di realizzare nei primi mesi del 2010;
– i componenti del comitato di coordinamento sono disponibili, se richiesti, a partecipare a gruppi per spiegare il significato del progetto che si intende attuare.
I tempi
Abbiamo previsto che questa ricerca si possa sviluppare su un tempo adeguatamente lungo, per consentire a tutti i gruppi (anche quelli che hanno ritmi di incontro più radi) di lavorare senza fretta.
Prevediamo quindi di raccogliere i risultati del lavoro dei gruppi entro il mese di ottobre 2009.
Ciò non toglie, anzi sarebbe molto gradito, che i gruppi i quali siano in grado nei mesi precedenti di produrre del materiale frutto della loro riflessione, lo possano fornire.
A metà percorso (circa fine giugno 2009) prevediamo un incontro con i referenti dei gruppi per analizzare l’andamento del progetto.
La documentazione
Ricordiamo che sono disponibili in rete sul blog www.chiccodisenape.wordpress.com alcuni documenti che riteniamo interessanti per chi voglia approfondire i temi in discussione.
Questa documentazione viene integrata nel tempo, ed è molto gradita la collaborazione di tutti coloro che vorranno inviarci articoli, documenti e riferimenti bibliografici.
Esigenze operative
Chiediamo ad ogni gruppo che intende aderire al progetto di segnalarci su quale o quali temi intende riflettere.
I rapporti saranno preferibilmente tenuti attraverso la posta elettronica.
Riferimenti
Vi segnaliamo infine i nominativi delle persone del gruppo di coordinamento cui potete rivolgervi per ogni esigenza e chiarimento scrivendo a chiccodisenape@gmail.com:
Oreste Aime, Simona Borello, Nino Cavallo, Paolo Chicco, Claudio Ciancio, Giuseppe Elia, Tommaso Giacobbe, Paola Giani, Marco Mazzaglia, Ugo Perone, Enrico Peyretti, Lanfranco Peyretti, Domenico Raimondi, Toni Revelli, Maria Adele Roggero, Ugo Gianni Rosenberg, Fiorenzo e Anna Maria Savio, Stefano Sciuto, Poppi Simonis, Adriana Stancati Momo, Riccardo Torta.
Introduzione biblica
Dall’evangelo secondo Luca (7, 11-23)
11 In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12 Quando fu vicino alla porta della città, ecco veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Vedendola, il Signore fu preso da una grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”. 14 Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Ragazzo, dico a te, alzati!”. 15 Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16 Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: “Un grande profeta è sorto tra noi” e “Dio ha visitato il suo popolo”. 17 Questa fama di lui si diffuse per quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
18 Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19 li mandò a dire al Signore: “Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?”. 20 Venuti da lui, quegli uomini dissero: “Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. 21 In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22 Poi diede loro questa risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona notizia. 23 E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”.
Dal libro del profeta Isaia (42, 1-9)
1 Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
2 Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
3 non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
4 Non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra;
e le isole attendono il suo insegnamento.
5 Così dice il Signore Dio,
che crea i cieli e li dispiega,
distende la terra con ciò che vi nasce,
dà il respiro alla gente che la abita
e l’alito a quanti camminano su di essa:
6 “Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
7 perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.
8 Io sono il Signore: questo è il mio nome;
non cederò la mia gloria ad altri,
né il mio onore agli idoli.
9 I primi fatti, ecco, sono avvenuti
e i nuovi io preannuncio;
prima che spuntino,
ve li faccio sentire”.
Le tre tracce tematiche
“Ricercare le parole per dire Dio oggi”
I segni dei tempi
Come Dio si dice oggi: i segni dei tempi
Se il nostro percorso è iniziato investigando i modi per annunciare l’evangelo del Signore nel mondo contemporaneo, ci troviamo oggi a volerci interrogare piuttosto su come Dio ci parli ancora, nelle pieghe della storia e della nostra esistenza.
Dire Dio oggi è cercare la sua presenza nell’esistenza di ciascuno e negli avvenimenti del mondo.
Ascoltare Dio oggi è cogliere i segni dei tempi.
Chiarimento terminologico
L’espressione “segni dei tempi” è comunemente legata al Concilio Vaticano II, ma in verità le sue origini sono legate al teologo domenicano Marie Dominique Chenu, uno degli studiosi che animarono i dibattiti teologici precedenti al Concilio. Egli vide gli avvenimenti della storia come momenti di “autocomprensione storico-esistenziale dell’uomo contemporaneo” e, allo stesso tempo, come “epifanie dell’azione di Dio nella storia e indicazioni concrete dei suoi disegni sul mondo e sull’uomo”. Egli ritenne che si potessero chiamare “segni dei tempi” i luoghi dove la Parola di Dio – tradotta nel linguaggio e nella cultura del tempo e del luogo in cui viene approfondita – e la Grazia di Dio possono o debbono incarnarsi e nei quali l’uomo vive e valorizza le proprie facoltà e i propri doni.
Per questo “segni dei tempi” è diventata l’espressione per designare il mutato atteggiamento della Chiesa rispetto alla storia: soprattutto nella Gaudium et Spes la Chiesa si è allontanata da una visione negativa della storia e l’ha rivalutata come luogo di salvezza, nel quale Dio indicava il suo disegno sull’uomo. La Chiesa si trovò chiamata ad abitare nel mondo contemporaneo e a lasciarsi coinvolgere dalle speranze e dalle angosce degli uomini. Si ruppe la dicotomia tra la storia della salvezza (dei cristiani) e la storia dell’umanità, tra la Chiesa e il mondo, per ritornare all’unità di una storia di Dio. Questo mutato atteggiamento nei confronti della storia prese le distanze da una spiritualità e da una teologia tese soltanto verso la salvezza della propria anima e mancanti di uno sguardo sociale e comunitario.
Alla scoperta dei “segni dei tempi”
Quali sono, dunque, i luoghi dove avviene l’incontro tra gli uomini che vivono le fatiche della storia e l’azione salvifica di Dio?
Questo l’interrogativo che vogliamo percorrere sino in fondo.
Non si tratta di un cammino semplice: sono diversi gli ostacoli da superare:
– possiamo pensare che non ci sono più segni dei tempi, perché viviamo in un’epoca piena di bruttezze e senza speranza, abbandonata da Dio. Se, invece, fosse la nostra mancata ricerca a non farli emergere?
– possiamo chiamare segni dei tempi quanto si addice al nostro modo di pensare, marcando come “opportune”, “ispirate”, “preferibili”, le interpretazioni vicine al nostro modo di essere. Siamo ancora capaci di sperare nell’azione dello Spirito, che soffia dove vuole, disegnando vie dissonanti rispetto alla mentalità dell’uomo?
– possiamo smettere di chiamare segni dei tempi quello che già quarant’anni fa fu così chiamato – la promozione della donna, la maturazione sociale e politica del mondo del lavoro, l’indipendenza dei popoli (nell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII) – perché se ne è parlato sin troppo fino a farli diventare banali. Sappiamo guardare ad essi con nuovo entusiasmo, cogliendo quanto di nuovo ci è detto oggi?
– possiamo delegare ad altri questa scoperta… alle parrocchie, ai vescovi, ai pontefici, ai politici, agli industriali, ai sindacalisti, ai…. Che potrebbero e non fanno. Che dovrebbero e non scelgono. Che decidono e non ascoltano. Dove ci mettiamo noi in questo processo? Siamo chiamati all’azione oppure accomodati sulle nostre scuse e i nostri pregiudizi?
Lo stile
Ancora altri pericoli potremmo indicare, ma ciascuno saprà riconoscere i suoi e dovrà trovare i modi per superarli per ricercare autenticamente i segni dei tempi.
È un ministero profetico, a cui tutti siamo chiamati.
Come compagno di viaggio scegliamo Giovanni Battista, il più grande fra i nati da donna che si interrogò se fosse nel suo tempo che la Parola e la Grazia di Dio stessero incontrando l’umanità (cfr. Luca 7, 18-20), parafrasando le parole con cui l’evangelista Luca ha descritto la sua vocazione:
– quali sono gli strumenti e gli atteggiamenti per preparare oggi le strade al Signore?
– siamo pronti ad annunciare a tutti, al popolo, la conoscenza della salvezza, superando gli steccati delle differenti appartenenze ecclesiali (e confessionali)? in che modo?
– sappiamo ancora guardare al “sorgere del sole”, valorizzando le esperienze positive invece di limitarci alle sole considerazioni critiche? quali sono questi atteggiamenti da proporre e condividere?
– quali sono i gesti concreti a servizio dei fratelli e delle sorelle per dirigersi sulla via della pace?
– e, infine, quali sono i segni dei tempi che i miei occhi riescono a vedere e a sperare?
“Essere cristiani nel mondo”
Costruire una società fraterna
Profezia di fraternità
Poiché Dio è padre buono di tutti, compito profetico delle chiese cristiane nel cammino del mondo è testimoniare la possibilità della pace, cioè di relazioni giuste e fraterne tra persone, popoli, religioni e civiltà. Allora, ci chiediamo:
– abbiamo e curiamo la consapevolezza di questo compito nella nostra fede personale e nella coscienza ecclesiale?
– come chiese, vigiliamo attenti a riconoscere i conflitti nel mondo perché siano mantenuti costruttivi e non degenerino in violenze?
– i modi propri alla responsabilità della chiesa per agire su queste situazioni sono solo magisteriali, dall’alto, o consistono anzitutto nella partecipazione e costruzione dal basso, impegno di noi tutti?
In questo compito cristiano nel mondo, noi abbiamo fiducia, perché Dio, che è padre buono di tutti, ci impegna e ci aiuta a riconoscere ogni persona, sempre e comunque da lui amata, come degna di rispetto e ascolto, di pazienza e perdono. Egli ci educa alla stima di ogni valore civile e spirituale che contribuisce alla crescita dell’umanità. Ci chiediamo:
– la fede e la preghiera personale ci conducono a questo impegno?
– le nostre liturgie ci aprono e ci educano alla fraternità universale?
Fraternità nella chiesa.
Affinché la chiesa dia questa testimonianza, occorre che anzitutto al suo interno sia regola evangelica la piena fraternità, il rispetto dei diritti umani di tutti, l’esclusione di ogni forma di sopraffazione ed esclusione, la correzione fraterna, la regola del perdono senza fine. Chiediamoci:
– abbiamo forme e regole riconosciute perché sia sempre rispettata questa giustizia nelle nostre comunità?
– come possiamo agire nei casi in cui non è abbastanza rispettata?
– sappiamo vivere differenze, conflitti, tensioni dentro la chiesa, senza eludere chiarezza, valori evangelici e libertà personali, mantenendo un clima di fraternità, di ascolto, di giustizia, vincendo ogni malanimo e discredito?
– abbiamo luoghi e strumenti per il giusto libero fraterno dibattito, evitando che, lasciato nell’ombra e nella separazione, esso degeneri?
Il compito di una profezia di fraternità implica anche giudizi, nella verità senza timore, sui mali, gli egoismi, le violenze di tanti comportamenti e politiche; ma implica altrettanto la ricerca attenta di esempi positivi, di punti d’appoggio reali, di movimenti validi in tutte le società umane. Dunque, dobbiamo chiederci:
– ci limitiamo a giudizi amari e senza speranza, o sappiamo anche riconoscere realtà promettenti (segni dei tempi) che ci impegnano a svilupparle?
Fraternità e socialità
La fraternità non esclude affatto dibattiti e conflitti nella società, per fini giusti, e dunque affronta le differenze con chiarezza e verità, con animo e metodi costruttivi e non distruttivi, rifiutando ogni forma di violenza (materiale, strutturale, morale, culturale). Perciò, ci chiediamo:
– impariamo dalle esperienze di riconciliazione nella verità e nella giustizia, a considerare con fiducia e a praticare questi metodi? (Per fare un solo esempio: il processo “Verità e Riconciliazione”, a forte animazione religiosa, che ha fatto uscire il Sudafrica da uno dei più terribili razzismi).
– la gestione attivamente nonviolenta dei conflitti sociali è animata in noi cristiani da amore reale verso tutti, privilegiando i poveri e le vittime, favorendo regole di convivenza che limitino i poteri di fatto e permettano la partecipazione effettiva di tutti alla costruzione della società? (cfr l’art. 3 della Costituzione italiana).
– sentiamo, come cristiani, l’intima animazione evangelica della nostra responsabilità civica e la viviamo in quanto cittadini, senza presunzione né sufficienza, senza imposizioni integralistiche, in collaborazione con altri diversamente ispirati nella ricerca della giustizia?
– per contribuire ad una società umana di fratelli, di soci, non di rivali o nemici, noi cristiani sapremo dimostrare che siamo liberi non per imporci ma per essere giusti e buoni? Sapremo rispettare la libertà di tutti, anche degli avversari, nel dibattito sociale?
– nella pedagogia delle nostre chiese abbiamo e curiamo questo senso della libertà altrui e della nostra libertà?
Incontro dei popoli
È in corso un grandioso fenomeno di incontro dei popoli e delle civiltà, attraverso tutti i vecchi confini, con nuove opportunità ma anche con problemi e difficoltà di comprensione e convivenza, fino a forme di rifiuto e di razzismo. Come cristiani sappiamo che il disegno di Dio è di amore per l’intera e varia famiglia umana, che Lui chiama su diverse e simili strade di culture, costumi, religioni, civiltà.
– noi prendiamo atto di questo segno dei tempi e cerchiamo di dominare i nostri istinti di chiusura e pregiudizio?
– nelle nostre chiese cerchiamo di conoscere con onestà e discernimento le altre culture e religioni?
– abbiamo modi e momenti per incontrare, rispettare, ascoltare le persone di altra cultura che vivono tra noi? Conosciamo i loro bisogni e difficoltà?
– cerchiamo come cittadini di immettere nel sentimento politico generale non germi dello “scontro di civiltà”, ma mentalità e regole di pluralismo e di pace giusta?
“Sperare in una Chiesa di comunione e profezia”
Liturgia e partecipazione dei laici
Durante il convegno è stata sottolineata l’importanza della liturgia come luogo in cui la Chiesa manifesta ed esercita il suo impegno di conversione, anzi la stessa opera di redenzione nel suo farsi un solo corpo in Cristo e con Cristo.
Riflettere sulla liturgia è probabilmente un modo efficace per ripensare e approfondire la partecipazione responsabile dei laici alla vita della Chiesa in una forma meno verticistica e più comunitaria.
Il Concilio nella Costituzione sulla sacra liturgia aveva insistito sulla partecipazione attiva dei laici alla liturgia osservando che i fedeli vi devono prendere parte «consapevolmente, attivamente e fruttuosamente» (11), che devono essere «formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia» (14). Che la riforma liturgica deve far sì che il popolo cristiano «possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria» (21), che «i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori» (48). Brevemente poi veniva toccato un aspetto rilevante quando si richiedeva che i riti «siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (34). La questione è rilevante se pensiamo alla difficoltà di percepire il significato dei simboli. Capita sovente che il celebrante debba spendere molte parole per spiegare preventivamente i gesti che andrà a compiere. Ma un simbolo che deve essere spiegato è già diventato insignificante e la sua esecuzione appare come una messinscena, che, dopo la spiegazione, è ormai inutile. Nonostante la riforma e l’uso dell’italiano, il solco che separa i fedeli dall’azione liturgica non si è colmato e non può certo essere colmato (anzi sarà allargato) dai tentativi di risacralizzazione che i vertici della Chiesa stanno tentando, così come non è stato colmato dai tentativi di modernizzarla, di renderla più vicina alla quotidianità. Questi secondi tentativi (che spesso finiscono nella sciatteria e nella banalizzazione) denunciano una lontananza dalla comprensione e dalla partecipazione liturgica non inferiore, anche se opposta, a quella prodotta della risacralizzazione misterica. Nella liturgia dovrebbe invece trasparire il senso della presenza del divino nella vita, e, poiché si tratta del divino, non vi deve essere banalizzazione o sciatteria, e poiché d’altra parte il divino cristiano è nella vita (in quanto divino incarnato), esso devo trasparire non attraverso artificiose suggestioni e toni misterici ma appunto attraverso un più intenso pulsare della vita spirituale.
Riguardo alle concrete forme di partecipazione alla liturgia la costituzione conciliare parla de «le acclamazioni dei fedeli, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio» (30). Queste forme, come si sa, sono per lo più praticate, e tuttavia non sono state in molti casi sufficienti a rivitalizzare la liturgia. Sembra perciò necessario un profondo ripensamento comunitario – anzitutto nelle parrocchie – che prenda in esame anche l’insufficienze di quelle forme di partecipazione. Ma è verosimile che, così come per dire Dio oggi, anche per la liturgia non basti aggiornare linguaggio e gesti non basti trovare formule più moderne. Ci si chiede allora:
– come rafforzare i vincoli di unità e di comunione nella preghiera, nell’ascolto della Parola e nel servizio fra i membri delle comunità ecclesiali? Il punto di partenza non dovrà essere una riscoperta dell’eucarestia come fonte di una chiesa sinodale e comunitaria?
– come vivere allo stesso tempo con semplicità e profonda partecipazione l’azione liturgica senza ricerca di stravaganze, senza forzature, ma nella consapevolezza della serietà e della profondità inesauribile di ciò che si va facendo? Non si dovrà ad esempio ad esempio sfruttare meglio le potenzialità creative del Messale del 1970 disattese dall’uso sciatto o canonico fatto nelle comunità?
– quali modalità adottare per preparare comunitariamente le liturgie?
– è possibile preparare comunitariamente anche le omelie con l’impegno di rendere la Parola di Dio viva e parlante nelle situazioni e nelle condizioni in cui viviamo?
– si ritiene opportuno e possibile ripensare e ridiscutere in unione col presbitero ma con ampia e libera partecipazione la liturgia e la prassi sacramentale cercando di riscoprirne il senso e renderlo parlante per noi oggi?
Il quarto percorso:
La vita e la morte
le nuove tecniche mediche alla luce del disegno di Dio sulla creazione
la lettera alla comunità cristiana di Torino (22/02/2009)
1. Dopo la morte di Eluana Englaro ritroviamoci tutti nella pietà. Chi prega si unisca nella preghiera; chi ha sfruttato questo caso doloroso, si penta. Cessi un attivismo frenetico che si serve di vicende drammatiche per far prevalere principi e ideologie, o anche solo interessi di parte.
Diamo spazio alla riflessione responsabile e fiducia alla coscienza.
Nessuno, neppure la chiesa, maestra di vita, dispone di risposte certe in casi delicati come questo, dove il confine tra accanimento terapeutico e difesa della vita è controverso. Più competenze e più voci debbono es-sere prese in considerazione, tutti – credenti, laici e presbiteri, e non credenti – devono essere ascoltati con rispetto, e la parola dei pastori deve aprire alla speranza, incoraggiare la misericordia, sostenere il travaglio delle coscienze.
La comunità cristiana torinese, che contiene al suo interno, in presbiteri e laici, tesori di esperienza e di dedizione, susciti un processo serio e impegnativo di riflessione sulle nuove tecniche alla luce del disegno di Dio sulla creazione, riflessione che non si arresti a una concezione biologistica della vita, estranea alla Bibbia e alla tradizione cristiana.
2. La difesa della vita, per noi cristiani, impone di proteggere, anche nelle leggi, nella politica, nell’economia, prima di tutti le schiere dei più poveri, oppressi, esclusi, discriminati, scacciati, perché essi sono le immagini più dirette di Cristo stesso, che si identifica nel ferito sulla via, come nel samaritano che se ne prende cura. Alta e forte si faccia sentire la voce dei credenti contro chi, strumentalizzando le insicurezze, diffonde un clima di intolleranza e di discriminazione e contro chi accresce il proprio benessere costruendo armi e diffondendo guerre.
3. È compito precipuo dei laici operare responsabilmente in tutte le questioni che per loro natura non investono direttamente il contenuto di fede, ma la sua interpretazione e applicazione pratica. Per questa via, pur nella possibile pluralità delle opzioni, non è messa a rischio l’unità della chiesa, che tocca ai pastori custodire, sollecitando un approfondimento della riflessione e promuovendo uno spirito di riconoscimento reciproco tra le parti. La gerarchia deve evitare di intervenire nella discussione politica, pretendendo o fingendo di rappresentare i cattolici. Nelle questioni politiche i credenti si rappresentano da soli e alla gerarchia spetta l’alto compito di custodire e richiamare i limiti, oltre i quali il Vangelo è esplicitamente e chiaramente tradito.
4. La chiesa cattolica non disperda ma ritrovi, ravvivi e attui la grande grazia del Concilio Vaticano II, come suo attuale criterio storico di unità, perché chiudersi o resistere allo Spirito santo è il più grave dei peccati, e accoglierlo fa trovare la via di Cristo nel tempo storico che viviamo. Il Concilio ha guardato al mondo e al suo moderno sviluppo non per condannarlo, ma per cogliervi i segni dei tempi, ha fatto affidamento alla coscienza come atto di fiducia nella libertà e nella responsabilità e non come cedimento al relativismo. Non si retroceda su ciò che solennemente ha costituito l’impegno della chiesa riunita in Concilio.
5. La chiesa cattolica si guardi dal divenire parte tra parti, potere tra i poteri.
In tempi simili a questi nostri, cristiani di viva fede trovarono in alcune poche parole, «pregare e operare per la giustizia», la forza e la via giusta per resistere a potenze idolatriche, senza servirle, ma imparando a «osare la pace per fede».
6. Se noi cristiani non annunciamo con parole e fatti il vangelo del Regno di Dio, cioè la notizia che si può già ora vivere di fraternità, senza minaccia e paura, senza ossessioni interiori, non schiavi della legge, ma liberi nell’amore che realizza la legge, e se ci limitiamo ad imporre in modo autoritario pesi che non sappiamo portare, è come se il Salvatore non fosse venuto e il nostro compito resta inadempiuto. Perciò, in questi problemi del nostro tempo ne va del Vangelo stesso.
[…] Progetto2009 […]
Sono una lettrice arrivata casualmente sul vostro sito e che ogni tanto ritorna per prendere spunti di riflessione.
Visto l’impegno e la serietà dei contributi proposti vi ringrazio di quanto ci offrite e vi auguro buon lavoro
Giuliana Gallina