Predicazione 27 gennaio 2019 La preghiera del Padre nostro (Matteo 6:9-13)

Al centro è la preghiera.  Sì, al centro della vita di Gesù era la preghiera.  Il suo intimo rapporto con il Padre.  E quando raccolse attorno a sé una folla di donne e di uomini per insegnare loro a diventare discepoli, al centro del suo lungo discorso, pose la preghiera.  Sì, al centro del sermone sul monte c’è la preghiera.  Perchè la preghiera deve sempre stare al centro.  La preghiera è al centro della tua vita?  È al centro della vita della tua chiesa?

La preghiera al centro!  Ma Gesù non spiega cos’è la preghiera.  Non tiene una lezione sulla preghiera.  Insegna, invece, a pregare.  Ci sono persone che fanno lunghi discorsi sulla preghiera, ma non pregano.  Gesù insegna una preghiera ai suoi discepoli di sole 57 parole (queste sono le parole utilizzate in greco).  Su un foglio elettronico al computer sono solo quattro righi.  Una preghiera semplice, di poche parole, che tutti possono imparare a memoria.  Una preghiera democratica, perché tutti possono pregarla, anche chi non sa né leggere né scrivere.  Possono pregarla un muratore e un avvocato, una maestra e una casalinga.

Tuttavia non è una preghiera superficiale.  Semplice non è sinonimo di superficiale.  La preghiera che Gesù insegna ai suoi discepoli è pura teologia.  Questa è già una parola difficile.  Mettiamola così: Gesù non insegna ai discepoli a farsi una chiacchierata superficiale con Dio, dicendo cose inutili e banali e semmai anche con una quantità di parole esagerata.  Gesù insegna una preghiera breve che tutti possono imparare, ma piena, densa, profonda, che noi dobbiamo conoscere e comprendere.

Un tale andò a trovare un pastore per chiedergli come imparare a pregare.  Solo che non smetteva mai di parlare.  Era andato dal pastore per imparare qualcosa, ma continuava a parlare senza interrompersi.  Ad un certo punto il pastore si alzò e si mise a preparare un tè, mentre l’altro continuava a parlare.  Il pastore cominciò a versare il tè nella tazza del suo visitatore e continuò anche quando il tè cominciò a traboccare dalla tazza piena e riempì il piattino.  Ma il pastore continuò a versare.  Riempito il piattino, il tè iniziò a spargersi sul tavolo.  Ma il pastore non smise di versare.  Alla fine il visitatore non ne poté più e sbottò: Ma non vedere che la tazza è già piena? Appunto, rispose il pastore, e così sei anche tu!  Sei pieno di te stesso e delle tue parole e non c’è posto per imparare a pregare.

La preghiera deve stare al centro della nostra vita.  Ma la nostra vita deve fare spazio alla preghiera.  Al centro deve esserci un vuoto, così che la preghiera può entrare.  E noi dobbiamo avere l’umiltà di imparare a pregare.  Lutero diceva che non basta conoscere il Padre nostro. Se non preghiamo con la fede, la preghiera non è una preghiera.  Spesse volte si prega, ma senza veramente pregare.  La fede è fare spazio per la preghiera dentro il nostro cuore. La fede è accogliere Dio nella nostra vita.  Abbandonarci nelle sue mani.  Affidarci e fidarci di Dio.

E quando siamo finalmente pronti per pregare, Gesù ci dice come dobbiamo rivolgerci a Dio: Padre nostro.  Non dice: Signore, Onnipotente, Onniscente.  Dice Padre.  Perchè un padre non è soltanto chi ti mette al mondo e ti dona la vita, ma è anche chi si prende cura di te e non ti abbandona.  Padre nostro, non mio o tuo.  Nostro.  Se chiamiamo Dio nostro Padre, dobbiamo necessiaramente chiamare ogni essere umano nostra sorella e nostro fratello.  Sotto l’unico Padre non ci sono persone di serie A e di serie B.  Non ci sono clandestini o cittadini.  Ci sono figli e figlie.

Padre nostro.  Gesù ci mette a nostro agio con queste due parole.  Quando sentite il bisogno di pregare, iniziate con queste due semplici parole: Padre nostro.  Vi daranno quella calma, quella serenità necessarie perché la vostra preghiera sia una vera preghiera.

La preghiera al centro della nostra vita.  Una preghiera semplice, che inizia con due parole straordinarie: Padre nostro.  Ma semplice non significa superficiale.  Nelle prime tre richieste del Padre nostro c’è tutta la teologia su Dio: sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno e sia fatta la tua volontà.  Queste tre espressioni dicono magistralmente chi è Dio.  Sia santificato il tuo nome significa che soltanto a Dio va la gloria.  Così disse il riformatore Calvino al cardinale Sadoleto che invece gli chiedeva di riconoscere anche al papa, ai vescovi, alla chiesa la gloria.  No rispose Calvino: Soli Deo gloria!  Solo a Dio la gloria.  Venga il tuo Regno significa che Dio solo è il re, il capo, l’autorità assoluta sulla nostra vita e su ogni creatura.  Non vi sono altri Fuerher dissero alcuni cristiani al tempo di Hitler.  Tu non sei il Fuerher, perché solo Cristo è il nostro Fuerher.  Sia fatta la tua volontà significa che l’unica vera volontà che dobbiamo ricercare non è la nostra, ma quella di Dio.  Solo a Dio la gloria, solo a Dio il comando, solo la sua volontà sia fatta.  Che straordinaria summa di una profonda teologia su Dio!

Ma queste prime parole sono anche una confessione di peccato perché noi ogni giorno non santifichiamo il nome di Dio, non riconosciamo solo a lui la gloria.  Lo diciamo con la bocca, ma non lo facciamo con i fatti.  Ogni giorno noi non riconosciamo Dio come il padre della nostra vita, dei nostri figli, della nostra casa, del nostro lavoro.  Ogni giorno noi non cerchiamo di fare la volontà di Dio, anzi spesso ci opponiamo alla sua volontà.  Seguiamo la nostra e, in modo furbo, a volte diciamo che la nostra volontà è la volontà di Dio.  In queste prime parole in cui Gesù insegna ai suoi discepoli a pregare, non impariamo soltanto chi è Dio, impariamo anche chi siamo noi, nella nostra poca fede e nella nostra tanta infedeltà.

Ecco il senso delle prime parole: Padre santifica tu il tuo nome che noi non riusciamo a santificare, porta tu nel mondo il tuo regno e la tua autorità perché noi ti abbiamo sostituito con altri signori e altri padroni, stabilisci tu la tua volontà, perché noi non siamo in grado di farlo e non lo facciamo.  C’è una radicale richiesta di aiuto: Padre porta la tua giustizia, perché noi non siamo giusti e non ricerchiamo la giustizia.

Con la stessa semplicità con cui Gesù ci ha insegnato chi è Dio, ora ci insegna chi siamo noi.  Alle tre richieste che riguardavano Dio, ora seguono le tre richieste che riguardano noi: dacci il pane quotidiano, rimetti i nostri debiti e liberaci dal male.  Beh, anche questa è grande teologia, care sorelle e cari fratelli.  In poche parole c’è un quadro perfetto della condizione umana.  Per vivere abbiamo bisogno del pane, del minimo indispensabile per nutrirci.  Siamo tutti indebitati, perché un debito è qualcosa che dovevamo fare per qualcuno o dare a qualcuno e non lo abbiamo fatto.  Abbiamo tutti bisogno di essere liberati dal male, perché siamo costantemente esposti a sbagliare, a fare del male a qualcuno, a tradire una nostra promessa.

Dacci oggi il nostro pane di cui abbiamo bisogno Padre.  Qui si dice chiaramente a Dio chi siamo, siamo creature bisognose, ma non si chiede il cielo, si chiede il pane quotidiano.  Il pane sufficiente per l’oggi.  Poi domani bisognerà di nuovo pregare.  Dobbiamo imparare a chiedere nelle nostre preghiere, ma dobbiamo avere l’umiltà di chiedere solo quanto ci basta per vivere una vita dignitosa ed onesta.  Abbiamo bisogno del pane, ma questo significa pure che ci impegniamo davanti a Dio a fare la nostra parte nel raccogliere il grano, nel macinarlo, nell’ impastarlo e nel cucinarlo.  Vogliamo il pane da Dio, ma non bisogna mettersi comodi sul divano ad aspettare che arrivi babbo natale.  Chiedendo a Dio, ma ci impegniamo a fare la nostra parte, il nostro lavoro.  E non solo, stiamo chiedendo a Dio qualcosa che non terremo solo per noi, ma che condivideremo con gli altri.  Dà a noi, non a me soltanto, il pane.  E se sarò io ad averlo, lo condividerò con chi ha bisogno.

Rimettici i debiti Padre, perché siamo sempre debitori.  C’è sempre qualcosa che è mancante nelle nostre relazioni con gli altri.  C’è sempre una parola in meno che dovevamo dire e non abbiamo detto, o una parola in più che non dovevamo dire e abbiamo detto.  C’è sempre un mano che dovevamo porgere e non l’abbiamo fatto.  Un sorriso che potevamo donare e non lo abbiamo donato.  Un aiuto che abbiamo rifiutato.  Per questo motivo Gesù ci insegna che quando chiediamo a Dio di cancellare i nostri debiti, nello stesso tempo ci impegniamo a cancellare i debiti che gli altri hanno verso di Dio.  Quando ci impegniamo a chiedere a Dio misericordia, ci impegniamo ad essere misericordiosi verso gli altri.

Liberaci dal male Padre, perché è continua la tentazione di non fare il bene.  Ogni giorno siamo di fronte a due vie e spesso scegliamo la via sbagliata.  È così.  Noi non siamo peccatori perché abbiamo sbagliato una volta, ma perché continuiamo a sbagliare.  Paolo diceva: non quel che io voglio faccio, ma quel che io non voglio.  Questo è il significato vero del concetto di peccato: noi siamo ogni giorno dei potenziali peccatori e senza la liberazione e la salvezza che ci viene da nostro Padre, per mezzo di Gesù Cristo, non abbiamo alcuna speranza.  Ogni giorno nella nostra preghiera ci deve essere la richiesta radicale: Padre liberami dal male.

Non poteva finire meglio la preghiera che Gesù ci insegna.  Aveva aperto con: Padre nostro, e ora chiude con: Liberaci dal male.  Questa preghiera di Gesù, semplice ma profonda, deve stare al centro della nostra vita.  Deve guidarci quotidianamente nei nostri passi, affinché ogni giorno noi possiamo sapere chi siamo noi e chi è Dio.  Cosa possiamo aspettarci da Dio e cosa dobbiamo noi impegnarci a fare.  Non so se la preghiera è già al centro della tua vita, ma sono certo che da ora in poi lo sarà.  Amen