di Giovanni Caselli

Bibbiena è definita nei giornali locali “capoluogo di vallata”, probabilmente perché come centro urbano ha, o aveva, tutte le strutture necessarie ad un centro urbano oltre inclusi i necessari servizi pubblici per essere tale. Se il nome è di origini etrusche e probabilmente lo è, ciò non pare corroborato dall’archeologia. Sotto le case e le cantine c’è il “pancone marnoso”, erroneamente chiamato “tufo” cioè terra solida vergine del fondo del lago pliocenico salvata dall’erosione da rocce di calcare sottostanti. Dal nome personale Vilpnei poi latinizzato in Viblena e nel 979 Beblena, quindi nell’XI secolo Biblena. I toponimi e la piccola necropoli etrusca identificata e localizzata sul pendio occidentale della collina di Lonnano che domina il santuario di Santa Maria del Sasso, confermano che un insediamento etrusco in zona vi fosse davvero. Se vi era un tale insediamento questo era sicuramente sul colle detto “Le Monache”, ma il toponimo del colle è Lontrina (di radice etrusca, niente a che vedere con le lontre), dove si è recuperato il manufatto più antico visibile ad oggi. Un architrave scolpito in stile barbarico, datato all’VIII secolo della nostra era. Avendo esaminato i pezzi scultorei nella recente mostra sull’Alto Medioevo Appenninico, tenutasi nel Museo Archeologico, si deduce che Ravenna dominava culturalmente il Casentino, almeno fino allo Spartiacque del Pratomagno dato che tra i pezzi più significativi dell’alto medioevo ve ne sono di provenienti dai contrafforti del Pratomagno casentinese, come ad esempio a Carda. Salutio e Castel Focognano. Il centro etrusco era forse situato sul colle meridionale più basso a sud del centro storico, dove sorge ciò che resta di un monastero femminile benedettino, oggi detto, appunto, “Le Monache”.

Santuario di Santa Maria del Sasso

Il colle, come detto, ha il toponimo di Lontrina e controlla assai bene la viabilità antica, incluso il guado dell’Arno. La Viabilità antica consisteva nella via di fondovalle sulla destra dell’Arno, il Guado della Via della Dogana delle pecore che dalla Romagna superava l’Appennino ai Mandrioli, transitava per il crinale del contrafforte di Poggio Baralla scendendo con esso verso l’Arno che traversava nell’estuario della Vessa, per salire sul Poggio Fallito via Terrossola dove incrociava la strada del fondovalle da Arezzo al Mugello, detta Via delle Pievi. Il Poggio di Lontrina domina il luogo dove l’antico ponte di Bibbiena traversava l’Arno presso il sito delle scomparsa Pieve di Arcèna. Qui un diverticolo della strada romana costeggiava il colle di Bibbiena da est per passare dal Castellare dove si trovava l’antica pieve ravennate di Bibbiena (SS. Ippolito e Cassiano, del VII secolo), continuava per Marena, transitando dalla Villa Romana del Domo, diretta verso Contra, poi traversato l’Archiano a Partina saliva per Freggina e Camaldoli per valicare l’Appennino dal Poggio Seccheta dove le strutture viarie di epoca romana sono evidenti; quindi passando per San Paolo in Alpe raggiungeva Santa Sofia per andare a Ravenna. Qui a Bibbiena i vescovi conti di Arezzo si installarono sul limite naturale del territorio aretino, confrontandosi con il colle fiesolano/fiorentino di Poppi, dall’altra parte della valle segnata dall’Archiano e dal Teggina. I vescovi proteggevano il territorio di Arezzo con la fortezza di Marciano e la torre di Gressa, a sud di questa linea: Bibbiena, Gressa, Marciano, la sponda sinistra dell’Arno era tutta nel territorio aretino, quella destra era contesa. Il casello di Bibbiena, un quadrilatero con quattro potenti torri difensive munite di beccatelli, crebbe presto come centro urbano espandendosi nella direzione di Arezzo con tre borghi di case torri che poi divennero 5 anche lungo la strada romana per l’Appennino e ad ovest su un terrazzo più basso (Via Cappucci). A sud di questo castello di case torri parte in pietra e parte in mattoni crudi e legno, si sviluppò il quartiere povero dei lavoratori con edifici meno sostanziali e stretti vicoli fino alla porta cittadina che guardava verso Arezzo. Sul versante nord vi erano diverse torri oltre alla chiesa fortificata ad est della residenza fortificata del vescovo che proteggevano la Porta Fiorentina con un muro difensivo di due metri di spessore.

Bibbiena, Palazzo Dovizi

Bibbiena del XII secolo fu visitata dal geografo arabo siculo El Idrisi che la descrisse come città “piccola ma popolosa”. Qui abitava Guglielmino degli Ubertini quando ebbe luogo la battaglia di Campaldino. Il Vescovo-Conte fu ucciso dai fiorentini che si accanirono contro la sua Bibbiena, che assaltarono. Si vede chiaramente la breccia nel muro nord della chiesa che fu restaurata con filaretti di pietre di bianco alberese e grigio verdi di arenaria come gli edifici di Damasco ed Aleppo. I fiorentini tennero la città fino a quando arrivò Guido Tarlati di Pietramala, Vescovo di Arezzo, a rivendicare Bibbiena completamente devastata. Il vescovo morì nel 1327 e giunse a Bibbiena il fratello Pier Saccone che col Trattato di Sarzana del 7 marzo 1337, cedette il territorio di Arezzo ai fiorentini ottenendo il possesso assoluto di Bibbiena dove si insediò. Nel 1335 Pier Saccone morì e Bibbiena tornò ai fiorentini. Un certo Mastro Acciaio bibbienese, organizzò allora una congiura contro i Fiorentini assieme ad altri 48 bibbienesi. Questi allora assediarono Bibbiena per quattro mesi quando vi fu la resa nel gennaio 1359, anche questo evento e riscontrabile nel muro sul retro delle chiesa dove si vede la seconda breccia nelle mura a filaretti bianchi e grigioverdi. Nel 1360 i Fiorentini acquistarono dal Vescovo Boso degli Ubertini di Arezzo i diritti su Bibbiena che erano dell’Episcopato di Arezzo e nominarono un podestà che governava a nome della Repubblica. A questo punto i Fiorentini ristrutturarono Bibbiena sostituendo i tetti di paglia con tegole e lastre di pietra e rimisero in piedi alla meglio le torri e le fortificazioni che avevano demolito. Si reinnalzò la torre civica che vediamo ancora oggi in Piazza Tarlati. Le diverse colorazioni delle pietre delle torre indicano le diverse barrocciate di pietrame di recupero impiegato nel reinnalzarla fino ai beccatelli, mentre la torre campanaria è ottocentesca. L’esercito milanese che invase Bibbiena, guidato da Niccolò Piccinino, fu sconfitto nella famosa battaglia di Anghiari il 29 giugno 1440.

Le tribolazioni di Bibbiena non cessarono qui. Bartolomeo d’Alviano, altro cavaliere di ventura, stavolta al servizio di Venezia, marciando da Forlì, lungo la Via Romea Germanica, oltrepassò l’Alpe di Serra con 150 cavalleggeri e ben 800 fanti, occupò Camaldoli e inviò una spedizione a Bibbiena, occupando la cittadina il 15 ottobre 1498. Lo scopo di Venezia era quello di reinsediare a Firenze la famiglia Medici che una sollevazione popolare aveva cacciato nel 1494. Assieme all’Alviano vi erano ora il Duca di Urbino, Giuliano de’ Medici, Carlo Orsini e Astorre Baglioni, con 700 uomini d’arme e 800 fanti. I fiorentini erano capeggiasti dal Conte Rinuccio e da Paolo Vitelli, seguiti dagli abitanti della valle, capeggiati da Don Basilio, monaco camaldolese. Gli invasori si rifugiarono in Bibbiena con Giuliano de’ Medici, Carlo Orsini, l’Alviano, Astorre Baglioni e Piero Marcello, provveditore veneziano con 60 cavalli e 700 fanti. Le truppe veneziane evacuarono Bibbiena il 25 aprile 1499 e i fiorentini ripresero la cittadina e come punizione per aver accolto i partigiani medicei abbatterono tutte le mura e le torri fino alle fondamenta per rendere più difficile una ricostruzione che potesse di nuovo tornare ad essere un pericolo per la Repubblica.

Antica farmacia di Camaldoli

Nel 1545, Cosimo Primo, restaurato il potere mediceo in Toscana, assegnò il territorio di Bibbiena al Vicariato di Poppi portando il confine del Casentino dall’Archiano al Corsalone. Ma una nuova calamità colpì Bibbiena assieme al Casentino tutto: la peste del 1621. La campagna si spopolò e tutti o quasi tutti i villaggi di altura, abbandonati giacquero in rovine, fino a quando giunti i Lorena, presero l’avvio riforme e ricostruzioni in grande stile. Non vi è chiesa o paese non solo nel Casentino, che verso la metà del XVIII secolo, non abbia goduto di radicali restauri, ricostruzioni e modernizzazioni. Per quanto concerne Bibbiena i documenti mostrano che la prima parte del XVIII secolo fu un’epoca d’oro. Tutti i palazzi furono affrescati, ristrutturati abbelliti, modernizzati. Nelle pitture ex voto di S Maria del Sasso, si vedono i costumi della borghesia terriera imitare la moda parigina dell’epoca. Persino la Madonna che compare in diversi dipinti è vestita e acconciata secondo l’ultima moda di Parigi! In contrasto i costumi dei ceti inferiori sono spesso antiquati, decisamente fuori moda.

Con la colonizzazione di Bibbiena da parte di Firenze – poiché di colonizzazione si tratta – Bibbiena si riapre al mondo esterno e gode di un periodo di relativa opulenza. I palazzi hanno la propria cappella, il teatro, o il balcone interno per i musici che intrattenevano la famiglia e gli ospiti in occasioni di gala. Tra gli inizi del ‘700 e il primo Ottocento viene data una veste moderna alla cittadina.

Architrave della porta d’ingresso di Sant’Andrea di Lontrina

Le facciate delle case, con residui di medioevo vengono intonacate, incorniciate, le finestre ornate con architravi decorativi, i sottotetti chiusi con modanature di pietra e di stucco, i portoni abbelliti. Nasce il teatro (oggi Dovizi) condiviso da due palazzi con accesso privato e pubblico sulla srada. Negli arredamenti interni si nota la diffusione di mobili di uno stile “Biedermeier” di imitazione. Alcuni borghesi collezionano dipinti di notevole livello, dal Rinascimentale al Barocco. L’oratorio di San Francesco viene affrescato tra il 1736 e il 1782. Nel 1736 i membri della Compagnia costruiscono la Cantoria e e acquistano l’organo. Nel 1742 il maestro fiorentino Alessandro Menicolfi termina la doratura della Cantoria e del soffitto a cassettoni. Nel 1755 viene ristrutturato l’altare e l’oratorio viene ornato con stucchi, per mano dei maestro Francesco Rusca di Lugano. Nel 1770 il pittore Giuseppe Parenti abbellisce con sue opere le pareti laterali e la navata dell’oratorio. La chiesa acquisisce il suo stile rococò, divenendo un caso più unico che raro nella provincia Toscana. In questo periodo Bibbiena è un brulicare di attività agricole e artigianali. Gli echi di quest’epoca d’oro bibbienese si estenderanno fino ai primi giorni del XX secolo quando i viaggiatori dell’ultimo Grand Tour verranno a Bibbiena ad acquistare “Vasi di Savona”, da farmacia, come possiamo vederne nella farmacia storica di Camaldoli.