Il presidenzialismo della discordia

LUCA MONTICELLI

Un semipresidenzialismo alla francese: è questa la riforma costituzionale a cui pensa Fratelli d’Italia. Al Partito democratico che l’accusa di voler sfasciare il sistema, Giorgia Meloni risponde in modo sferzante: «Anni e anni al governo senza vincere un’elezione: per questo alla sinistra fa così paura il presidenzialismo. Noi, invece, non temiamo il giudizio degli italiani e vogliamo restituire forza alla volontà popolare». L’aspirante candidata premier del centrodestra rinfaccia al Pd di aver cambiato idea perché adesso ha paura di perdere. In un colloquio con il Corriere della sera, Meloni sostiene che prima Massimo D’Alema nel 1997, da presidente della commissione Bicamerale, era favorevole a una riforma in senso semipresidenziale. Poi nel 2013, quando a Palazzo Chigi c’era Enrico Letta, tutto il centrosinistra si schierò su quel modello, arrivando in tempi più recenti all’endorsement di Matteo Renzi per l’elezione diretta del presidente della Repubblica.

Meloni si dice disponibile a cercare il dialogo con il Pd anche in una nuova Bicamerale, sottolineando però che non c’è in previsione alcuna spartizione delle cariche istituzionali nel centrodestra. La leader di Fratelli d’Italia assicura che un’eventuale riforma non entrerebbe in vigore nella legislatura che inizierà dopo il voto del 25 settembre, ma in quella successiva, come accaduto con il taglio dei parlamentari. Una precisazione indirizzata a Enrico Letta che, intervistato da La Stampa, aveva giudicato la richiesta di dimissioni di Sergio Mattarella invocata da Silvio Berlusconi, proprio come un’autocandidatura al Colle da parte del Cavaliere. Ma senza un’intesa in Parlamento, se il Pd vorrà promuovere un referendum, allora saranno gli italiani a decidere sul presidenzialismo, è il ragionamento di Meloni. Uno dei suoi fedelissimi, il capogruppo al Senato Luca Ciriani, spiega perché introdurre il presidenzialismo nel nostro Paese sia democratico: «Assegna più potere ai cittadini e lo toglie ai partiti, inoltre garantisce esecutivi più stabili, fattore che serve moltissimo all’Italia, dove in media durano 18 mesi». Concetto che non sembra convincere il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky. Ieri, su questo giornale, il professore ha affermato che «in Italia il presidenzialismo rischia di fondarsi sull’odio».

Critiche a Meloni, che ha tirato in ballo l’assemblea costituente, arrivano da Federico Fornaro di Articolo 1: «Non è vero che Salvemini e Saragat si sono schierati a favore del presidenzialismo. Calamandrei lo fece per bilanciare il potere dei partiti, ma la sua cultura era lontana anni luce dall’idea della destra dell’uomo forte solo al comando».

Per il deputato M5S Mario Perantoni «il presidenzialismo è improponibile, lo voleva Licio Gelli per abbattere la democrazia». Punge Osvaldo Napoli di Azione: «I padri costituenti presidenzialisti erano antifascisti».

Ma il fronte del centrodestra non è così compatto. Che l’elezione diretta del capo dello Stato sia la soluzione per i mali del sistema italiano è una tesi vista con scetticismo da Giovanni Toti, governatore della Liguria alleato della coalizione di Meloni, Salvini e Berlusconi con la lista centrista dei moderati. «Bisogna costruire un modello istituzionale che funzioni – sottolinea – ma non sarà l’elezione diretta del presidente della Repubblica a cambiare l’efficienza dello Stato, deve essere una riforma di sistema». Freddo pure Matteo Salvini che parla di «Repubblica presidenziale e federale come indice di serietà e modernità», però preferisce concentrarsi sugli sbarchi, le bollette e le pensioni, «le riforme arriveranno».

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