Il triangolo dell’oro nero. L’altra partita della Russia

Lorenzo Vita

Il petrolio russo è al centro della scena mondiale. Dopo il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, sanzioni non certo severe ma comunque incisive, l’oro nero è tornato a essere uno dei nodi strategici dei rapporti tra Russia e Occidente.

Ma il petrolio, forse più del gas, non riguarda solo la guerra diplomatica che si gioca tra il Cremlino e le cancellerie d’Europa e Oltreoceano. Per Mosca, infatti, la questione petrolifera ha una portata che passa anche per i rapporti con gli Stati del Medio Oriente, e in particolare con le monarchie del Golfo. Un mondo ben diverso da quello rappresentato dal blocco euro-atlantico, ma che dal punto di vista economico e strategico identifica un’area decisiva per gli equilibri internazionali. A livello energetico, a livello finanziario, ma anche a livello strategico.

Non è un caso che il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov si sia recato nei Paesi arabi del Golf Persico mentre in Ucraina infuriano ancora le armi. Un tour che, tra le altre cose, è giunta proprio in concomitanza con l’annuncio delle sanzioni dell’Europa al petrolio importato via mare dalla Russia.

Il capo della diplomazia russa è giunto a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, incassando una vittoria diplomatica particolarmente rilevante. Sì, il Golfo ufficialmente non può che condannare l’aggressione. I Paesi facenti parte del Consiglio di cooperazione del Golfo hanno espresso una “posizione unitaria” sulla guerra in Ucraina e sul suo “impatto negativo”. E il ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan, ha ricordato che anche dopo la videoconferenza con il ministro ucraino, Dmitro Kuleba, i capi delle diplomazie del Golfo hanno puntato i riflettori sulla “sicurezza alimentare nei Paesi colpiti e nel mondo”. Ma il Consiglio di cooperazione del Golfo ha soprattutto ufficializzato che, almeno per il momento, non imporrà sanzioni contro Mosca. E, come riportato da Al Arabya, lo stesso Lavrov ha espresso la gratitudine del governo russo verso questi Paesi per “la posizione equilibrata che assumono nei confronti di questo problema nei forum internazionali, rifiutando di aderire alle sanzioni occidentali illegittime e unilaterali che sono state introdotte contro la Russia”.

La presa di posizione non è certo secondaria. Come ricordato da Rosalba Castelletti su Repubblica, il Wall Street Journal aveva addirittura paventato, nei giorni scorsi, “una possibile esclusione di Mosca dal sistema delle quote del consesso allargato dei produttori del petrolio”, e cioè l’Opec+. L’ipotesi del quotidiano Usa appariva più che altro un auspicio, perché avrebbe significato una produzione maggiore da parte dei produttori arabi in modo da poter colmare il vuoto lasciato da un eventuale embargo alla Russia. Ma quello che aspettava o suggeriva il mesa americano, non è arrivato. Non una novità: il blocco dei Paesi del Golfo, ma anche la stessa Opec+, è sempre stato molto restio ad accettare un sistema sanzionatorio di stampo occidentale e soprattutto legato a direttive politiche non rientrassero nei canoni della maggior parte degli Stati produttori di petrolio. E in questo, Vladimir Putin si è certo sentito rassicurato.

Una rassicurazione che nasce non solo dalla tradizione politica dell’Opec e dei Paesi del Golfo, ma anche dai rapporti che in questi anni hanno intrecciato Russia e monarchie dell’area. Rapporti che passano dalla guerra in Siria a quella libica, dai problemi del Sahel fino agli equilibri appunto del petrolio e in particolare del suo prezzo. Le relazioni tra questi governi sono estremamente complesse e articolate, al punto che oggi è difficile trovare delle questioni puramente bilaterali e omogenee. E questo comporta che la sinergia che da Occidente ci si aspetta da parte del Medio Oriente, qui non possa trovare accoglienza per una serie di fattori umani, culturali, economici e strategici che non possono essere scissi.

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