Recovery bond, quali sono le differenze con gli Eurobond e perché Germania e Olanda potrebbero digerirli

Carlotta Scozzari

La cancelliera tedesca Angela Merkel e il primo ministro olandese Mark Rutte, marzo 2019, Bruxelles – Sean Gallup/Getty Images

In vista del Consiglio europeo del 23 aprile, si sta ragionando sull’introduzione di un cosiddetto Recovery fund dalla potenza di 1.000-1.500 miliardi di euro che potrebbe aiutare i paesi in maggiore difficoltà, tipo l’Italia e la Spagna, a far fronte all’emergenza dettata dalla pandemia del Covid-19 da coronavirus. Ma cosa avrebbe questo Recovery fund, con annessi Recovery bond, di diverso dagli Eurobond, visti come fumo negli occhi dai paesi del nord dell’area dell’euro, a partire dalla Germania di Angela Merkel e dall’Olanda di Mark Rutte? E perché mai Merkel e Rutte dovrebbero accettare i Recovery bond?

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il suo corrispettivo olandese Mark Rutte, Roma, 15 gennaio 2020 – ANDREAS SOLARO/AFP via Getty Images

Al centro della questione c’è la mole di debito dei paesi del sud Europa, a cominciare da quello italiano che nel 2019 ha superato i 2.400 miliardi di euro. In pratica, con gli Eurobond, di cui si parla ormai da anni, grosso modo dalla crisi dello spread di inizio anni Dieci, si dovrebbe assistere a una mutualizzazione dei debiti esistenti degli Stati membri dell’Eurozona. In altri termini, un soggetto o ente sovranazionale, emettendo titoli di debito comuni, gli Eurobond appunto, raccoglierebbe dei fondi tra i paesi dell’area dell’euro. Dopodiché, in una delle interpretazioni più comuni degli Eurobond (non c’è uno schema univoco, non essendo mai nati), impiegherebbe queste risorse per comprare titoli di debito di un singolo paese, per esempio Btp nel caso dell’Italia. Così, un eventuale default di uno Stato membro andrebbe a gravare sulle spalle di tutti gli altri.

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