Pagine d’autore

Lo scrittore Alfredo Panzini a Badia Tedalda

Badia Tedalda ha quel fascino particolare dei territori che nei secoli sono stati crocevia di passaggio e di incontri. Terra di confine, incastonata nel cuore più segreto dell’Alta Valmarecchia, vi confluiscono e si fondono atmosfere, colori, idee, usi e caratteri diversi che la rendono unica e irripetibile. Ha la concretezza e il rigore della Toscana a cui appartiene geograficamente e amministrativamente, ma si intuisce anche lo squisito senso dell’ospitalità e della simpatia romagnola a cui si aggiunge l’equilibrio marchigiano. Come la vicina Umbria mostra in tutto il suo splendore una natura incontaminata e verde. Conosci Badia Tedalda e non la dimentichi più. È ciò che è successo all’illustre letterato e scrittore  Alfredo Panzini,  che sul finire dell’800, partì da Rimini con la sua bicicletta (nuovo mezzo di locomozione dell’epoca1) per raggiungere La Verna.

Con lui, un compagno di viaggio, l’amico ingegnere Pasini, esperto ciclista.  Partono un mattino dalla riva del mare per inoltrarsi nella Valmarecchia, una valle delle più storiche e pittoresche che io mi conosca, scriverà Panzini nel suo diario di viaggio2. Avanzano nel favoloso Montefeltro. A Mercatino Marecchia (Novafeltria dal 1942), sostano per la notte. Non è ancora l’alba e il mattiniero Pasini è già pronto per ripartire. Panzini si affaccia alla finestra della locanda e, ammirato, scorge nel cielo sopra il Maiolo, la stella di Venere di una dolcezza senza nome. Di nuovo in bicicletta giungono in prossimità di Pennabilli dove la strada si interrompe (i lavori stradali che la congiungeranno alla Toscana sono all’opera. Verranno ultimati nel 1924). C’è un crocevia e una colonna che indica Via per la Toscana. È solo l’inizio del nuovo tronco stradale  a cui stanno lavorando alcuni uomini. Panzini avanza tra le paludi del fiume e del confluente suo, il Messa accompagnato dal saluto e l’incitamento a proseguire degli operai. L’antica strada di Badia Tedalda, corre fra i monti quasi piana… la ghiaia non è calcata da ruote, il paesaggio è silvestre; qualche mulino in fondo al fiume, viandante nessuno. Poi la via si fa più ardua e sale a giravolte. Incontrano un uomo con un ragazzo, entrambi con fare guardingo e un sacco sulle spalle. Conoscono le scorciatoie, mentre i due ciclisti tentano di avanzare, quando la via lo permette, in bicicletta. Ma non si  perdono di vista, perché finiscono sempre per incontrarsi di nuovo. L’uomo, che è un contrabbandiere, perde a poco a poco la sua diffidenza nei confronti dei due e ben presto si stabilisce fra di loro una certa confidenza tanto che lo sconosciuto si lascia andare e narra aneddoti fra il faceto e il boccaccesco della sua vita avventurosa e fuori dalle regole. Arrivano al Ranco, mulino selvaggio in fondo al fiume… sotto mormorava il filo d’acqua del Marecchia e i dossi dei monti si elevavano verdi nel sole. Dopo aver consumato una formidabile colazione di uova e prosciutto, proseguono il viaggio e dopo due ore giungono a Badia Tedalda, melanconica, erta, sotto le roveri. Mezzogiorno sonava tra quel verde. Entrano in un’osteria per rifocillarsi dopo la lunga salita e qui, più che altrove, lo scrittore rimane affascinato dalla gentilezza dell’atto e della voce… la pulizia della dimora e delle vesti di una fanciulla maremmana, bruna, gagliarda, linda, in una cucina bianca con molti lucidi rami,  piatti e fiori, lini odorosi di lavanda, che rimesta la polenta nel paiolo. Incantato, ne osserva i gesti, misurati e attenti: al termine della cottura, la ragazza versa la polenta su un tagliere, la taglia a fette e sopra vi spargea un intingolo di funghi porcini e prunoli che mai profumo di cucina di re fu più squisito. Quindi levato un formaggio pecorino, bianco e grasso, cominciò a grattugiarlo e a cospargere la vivanda. Forse per la bontà di quel cibo genuino, forse per il senso di ristoro dopo il faticoso percorso in bicicletta, forse per entrambe le cause, l’animo dello scrittore vibra di emozione e scrive: … la giovanetta era bellissima, la favella pura, le movenze avevano una grazia naturale piena di dignità, ma il profumo di quella polenta fumante e negra di funghi fu superiore ad ogni seduzione. Finito il pranzo, i due ciclisti riprendono il viaggio in direzione di Pieve S. Stefano.

Sono talmente sazi che il pensiero di salire per raggiungere il valico li preoccupa, ma l’aria dell’Appennino presso il crinale vibra che è una delizia… È un’ascensione verso l’alto. Da Badia Tedalda all’Alpe di Viamaggio sono sette chilometri di ascesa splendente di sole, di vento, di solitudine, di verdi monti. La bellezza del paesaggio avvince l’animo dello scrittore, ma il ricordo della signorilità dell’incontro fatto a Badia rimane a lungo nella sua mente: un simile segno di educazione e decoro lo aveva incontrato raramente: “La polenta e i funghi furono digeriti, non così il tuo accento e la tua figura giovanetta, che nella gentilezza dell’atto e della voce, nella pulizia della dimora e delle vesti segnavi attraverso il deserto dell’Appennino il passaggio ad una regione italica ben diversa …”. Era in Toscana, terra di antica cultura e Badia Tedalda costituiva una perla racchiusa nel verde dell’Appennino. È trascorso più di un secolo.  Altri hanno vissuto e scritto di un’esperienza assai simile nel territorio badiale, segno inequivocabile di una civiltà che si è trasmessa e radicata di generazione in generazione. Questa terra ha della montagna tutto il fascino e le difficoltà. Per secoli ha costretto la sua gente per sopravvivere alla transumanza annuale nelle maremme. Lontana dal frastuono dei grandi centri abitati, nel suo naturale isolamento, ha però saputo conservare un’identità e dei valori che altrove si vanno sempre più affievolendo nella fretta che consuma i giorni e i rapporti fra le persone. Valori semplici, ma che offrono la misura della grandezza dell’animo umano: il calore dell’accoglienza, il rispetto e la gentilezza verso “l’altro”, l’ordine e il decoro di sé e del proprio ambiente di vita. Valori che, aggiunti alla bellezza del luogo, lo esaltano ed è facile comprendere perché il passaggio da Badia Tedalda di Alfredo Panzini, uomo sensibile e raffinato, abbia rappresentato un’indimenticabile emozione.

Marta Bonaccini

1 – La storica bicicletta di Panzini (1863-1939) è oggi custodita a Bellaria nella residenza estiva dello scrittore, la Casa Rossa, divenuta una casa-museo curata dall’Accademia Panziniana di Bellaria Igea Marina.

2 – I brani riportati in corsivo  sono tratti da : Alfredo Panzini,  I primi e gli ultimi viaggi di un povero letterato, Boni ed., Bologna 2002, pp. 29-41. Lo scrittore e critico letterario, attualmente un po’ dimenticato, fu a suo tempo famoso. Notevole la sua produzione libraria tra cui:  La lanterna di Diogene, Il padrone sono me, Io cerco moglie, Piccole storie del mondo grande, Il bacio di Lesbia, Sigismondo Malatesta, Il libro dei morti, il diavolo nella mia libreria, ecc.

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