Acquadolce di Akwaeke Emezi

Uno dei libri più affascinanti e complessi, non solo a livello di prosa ma soprattutto di contenuti, che abbia letto ultimamente è senza dubbio Acquadolce di Akwaeke Emezi, tradotto per Il Saggiatore da Benedetta Dazzi (come si scopre già dalla copertina del volume – grazie davvero alla casa editrice per aver messo il nome del traduttore in copertina, non è cosa da tutti).

Akwaeke Emezi è di origini nigeriane, ha studiato alla New York University e proprio con Acquadolce, suo romanzo d’esordio, è riuscitə a comparire nella lista dei migliori libri del 2018 secondo il New York Times. Acquadolce è una storia capace di regalare un’esperienza di lettura immersiva, affondando le sue radici nella cultura Igbo delle regioni sudorientali della Nigeria, oltre che nella vita di Emezi – non è un caso che si identifichi come non appartenente a un genere, né maschile né femminile, ma a qualcosa di più.

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Che cosa succede se piazzi un dio nel corpo di una ragazzina? Ada, una giovane nata in Nigeria, viene scelta dalla dea Ala, il cui animale sacro è il pitone, per ospitare gli spiriti della sua terra, gli ogbanje. Ma il rapporto che esiste tra le parti è più intrecciato di quanto possa sembrare. Ada è gli ogbanje e gli ogbanje sono Ada. Così quando la ragazza si trasferisce negli Stati Uniti per studiare, loro sono lì con lei, che la accompagnano passo per passo, dilaniati da due sentimenti opposti, la dedizione verso il loro involucro di carne e la brama di riunirsi alla coorte di fratelli-sorelle, liberi da vincoli terreni.

Cosa sono esattamente gli ogbanje? Leggendo il libro e curiosando qua e là (segnalo un interessante articolo uscito su The Cut) è possibile farsi un’idea molto precisa sulla loro natura. Un ogbanje è uno spirito Igbo malevolo nato in un corpo umano con lo scopo di tormentare la madre dell’ospite fino alla morte del figlio, per poi tornare a infestare il prossimo nascituro e ricominciare il ciclo da capo. Nel contesto di questa tradizione, l’anima umana è normalmente coinvolta in un ciclo di reincarnazione e quando si presenta un ogbanje questi è un intruso, un lascito divino che per necessità non vuole e non deve reincarnarsi, pena la comunione con gli antenati umani della famiglia bersaglio del suo tormento.

Dire che Acquadolce è una storia sulla ricerca della propria identità è un’affermazione condivisibile ma non del tutto corretta. Ada, sin dalla più tenera età, sa istintivamente che gli ogbanje sono parte di lei, che sono lei, ma trova difficile accettarlo. Quello che gli spiriti vogliono è un posto nel mondo, un mondo di carne e sangue che è loro estraneo e inviso. È la ricerca di un equilibrio fra due universi incompatibili che si sovrappongono: riuscire ad accettarsi e ad adattarsi a se stessi.

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Una raffigurazione artistica degli ogbanje

Lo  stile del romanzo e i riferimenti geografici ricordano in qualche misura scrittrici come Chimamanda Ngozi Adichie e Taiye Selasi ma Emezi si spinge ancora oltre e la dimensione spirituale e culturale tracimano letteralmente dalla storia e diventano fulcro del romanzo.

La narrazione è in una dirompente prima persona. Spesso è una prima persona plurale, quella della coorte di spiriti che vive in Ada, altre volte è una prima singolare, quando a parlare è uno spirito specifico che prende il sopravvento sugli altri. Molto più raramente invece è Ada, la loro controparte umana, timida e sottomessa, neutra in un certo senso. Akwaeke Emezi scrive con una prosa asciutta ed evocativa capace di ammaliare letteralmente il lettore, che si rende conto di essere stato incantato solo al termine del romanzo.

Leggere Emezi significa abbandonarsi a una cultura diversa, che ci è pressoché sconosciuta. Leggere Acquadolce significa aprirsi a un mondo sotterraneo che è sempre esistito ma che giace silente sotto la superficie delle cose. Significa morire e rinascere, accolti da una nuova coorte di fratelli-sorelle.

-Davide

3 pensieri su “Acquadolce di Akwaeke Emezi

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