Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Una nota su Pinocchio

1 Commento

> di Pietro Piro*

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L’individualità è un prodotto del potere.
Ciò che occorre è “de-individualizzarsi”,
con la moltiplicazione e la dislocazione,
in combinazioni diverse.

M. Foucault, Introduzione alla vita non-fascista

Bisogna rendere ancor più oppressiva l’oppressione reale con aggiungervi la consapevolezza dell’oppressione, ancor più vergognosa la vergogna, dandole pubblicità.

K. Marx, Introduzione alla filosofia del diritto di Hegel

I. Come andò che maestro Ciliegia, falegname, trovò un pezzo di legno lo ferì con un ascia perché piangeva e rideva come un bambino.

Ancora una nota su Pinocchio o meglio: desiderare il desiderio è legittimo?
L’argomento è spiacevole e noi siamo sempre desiderosi di nascondere il dolore al dolore. Ma adesso sono costretto ad accennare e quindi a ferire il feribile.
Pinocchio dice: «Non mi picchiar tanto forte!», è la sua prima parola nel mondo. Il suo primo vagito invoca pietà e rispetto. Bisognerebbe riflettere su questo aspetto. Pinocchio è segnato.
L’ascia che gli vuole dare una forma è tutta la realtà che lo vuole mutilare, gli vuole frantumare il rizoma, lo vuole ingabbiare in uno schema prefissato.

II. La storia di Pinocchio o dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro.

Geppetto ha un piano per Pinocchio, un’aspettativa: «Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?».
Tuttavia, il suo sogno non può che essere deluso: «Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! Ecco dunque il figlio prediletto, il desiderio che deve salvare il padre che non vuole essere ingabbiato, non vuole essere usato».
Pinocchio è un pezzo che può servire, un legno che può diventare utensile. Ma Pinocchio ride e sbeffeggia, canta e balla. Scappa di casa e subito diventa gioia e rumoroso frastuono che attrae e distoglie dal quotidiano: «la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, che correva come un barbero, si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva, da non poterselo figurare».
La gente malvagia e traditrice ama Pinocchio perché è un legno che balla e che canta. Generalmente con il legno si fanno le bare e i tavoli, le sedie e i tetti. Non ilari pupazzi snodabili e saltellati. Pinocchio anima la terra e la feconda di sorrisi. Ma non ha scampo Pinocchio, perché sulla sua strada c’è la divisa dell’ordine costituito: «Il carabiniere, senza punto smuoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri), e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi».
Appena nato è già delinquente, fuggitivo, deviante. Ecco tutta la parabola di Pinocchio: la vita vuole vivere e non vuole essere mortificata. Vi sembra troppo semplice? Un discorso troppo riduttivo?

III. Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatte negli assassini.

Allora voi credete che Pinocchio sia una storia scritta per essere letta? Una favola per conciliare il molle sonno di un bambino? Ma voi avete mai voluto desiderare la strada e tracciare la linea di fuga? Conoscete la gioia del margine?
Non sono arrabbiato con Collodi perché ha scritto un racconto terrificante, un libro di persuasione occulta. «Quello che accadde dopo, è una storia cosí strana da non potersi quasi credere». Si è una storia strana ma che ripete un’ossessione primaria, un vortice originario che cortocircuita ancora e poi ancora. Collodi ha introiettato l’oppressione,[1] è diventato una voce della legge del più forte.
Lo ripeto, la questione è la seguente: il desiderio può essere desiderato senza interferenze, senza castrazione reale e simbolica?
La domanda è rivolta direttamente a chi mi legge ed è chiaro ormai che Pinocchio non è che un pretesto per discutere sulla possibilità di criticare il potere. Voi pensavate che avrei argomentato su cavilli letterari, di vicende di stile. Ma qui è in gioco la libertà, l’amore, il rispetto. Per questo Pinocchio mi perseguita.[2]
Perché nella sua redenzione c’è tutta la storia dell’oppressione, della passione necrofila per la morte. Pinocchio è innocente o no? Non è neanche nato, non ha ancora una morale ma sa che deve fuggire, deve farsi nomade, deve attraversare.
Voi cosa gli dite? Fate come il grillo parlante? Quel minaccioso essere che vive nel buio e che dice: «Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente». Da dove parli grillo? Da quale abisso di paura nasce la tua minaccia? Pinocchio cosa vuole? Si fa presto a rispondere: «mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo».
Pazzia di Pinocchio, scandalo per i giudei lavoratori e per follia per i gentili moralizzatori. Pedagogia nera.[3] Ne avete mai sentito parlare? Educare i bambini attraverso il terrore, con la minaccia del dolore o con quella ancora più sottile dell’amore comprato assumendo un comportamento conforme alle regole. Pinocchio non voleva lavorare. Era un irresponsabile, un delinquente, un nullafacente. Che cosa è diventato? Un bravo bambino, un onesto lavoratore. Ma attraverso quali mezzi? La tortura, la paura, la violenza, la minaccia, la degradazione a bestia da soma. E poi?
«I ragazzi che assistono amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grande affetto, anche se non possono esser citati come modelli d’ubbidienza e di buona condotta. Metti giudizio per l’avvenire, e sarai felice».

IV. Finalmente Pinocchio cessa d’essere un burattino e diventa un ragazzo. Felice?

Ma Pinocchio alla fine della storia era felice? Chi può saperlo? Quello che sappiamo di certo e che noi – come Pinocchio – dobbiamo accettare le norme dei babbi, dei maestri, degli sbirri, dei grilli e delle fatine.
Non riusciamo proprio ad accettare il consiglio di M. Foucault quando ci invita a: «Preferire ciò che è positivo e molteplice, la differenza all’uniformità, i flussi all’unità, le disposizioni mobili ai sistemi. Credere che ciò che è produttivo è nomadico e non sedentario».[4]
Mi pare invece che siamo impantanati nelle «vecchie categorizzazioni del Negativo (legge, limite, castrazione, carenza, lacuna), per troppo tempo sacralizzate dal pensiero occidentale come forma di potere e accesso alla realtà».
Credo che ci sia accaduto un fatto terribile e silenzioso allo stesso tempo. La paura ci ha fatto introiettare l’oppressione e non riusciamo a parlare «il linguaggio della liberazione».
Non posso che condividere la profonda analisi di L. Boff e M. Hathaway quando scrivono: «La maggior parte dell’umanità deve convivere ogni giorno con pericoli molto concreti. Il mancato soddisfacimento dei bisogni primari, la vulnerabilità a malattie potenzialmente mortali e la minaccia della violenza (sia essa domestica, sociale o politica) rendono la sicurezza una condizione perennemente irraggiungibile. L’esito scontato di questo stato di cose è la paura, la quale sottrae potere alle persone perché le immobilizza e inibisce così l’azione trasformatrice. Certamente la paura che caratterizza l’oppressione interiorizzata è il prodotto dell’impotenza e dell’oppressione strutturali; eppure e da essa distinta. In un cero senso, è l’impronta psicologica lasciata da una lunga storia di soggiogazione e violenza».[5]
Ora vi chiedo di fare una valutazione molto concreta: La storia di Pinocchio serviva a creare quel clima pedagogico di minaccia che contribuisce nel tempo a rinforzare quell’impronta psicologica lasciata da una lunga storia di soggiogazione e violenza oppure è solamente un riflesso involontario di quell’impronta, un opera catartica che vuole liberarsi dalla violenza, la vuole trascendere?

Bologna
25/aprile/2015

NOTE:

[1] «Gli oppressi che introiettano l’ombra degli oppressori e seguono i loro criteri, hanno paura della libertà, perché essa, comportando l’espulsione di questa ombra, esigerebbe che il vuoto da lei lasciato fosse riempito con un altro “contenuto”, quello della loro autonomia, o della loro responsabilità, senza la quale non sarebbero liberi. La libertà, che è una conquista e non una elargizione, esige una ricerca permanente. Ricerca permanente che solo esiste nell’atto responsabile di colui che la realizza. […] gli oppressi, accomodati e adattati, “immersi” nello ingranaggio della struttura dominante, temono la libertà perché non si sentono capaci di correre il rischio di assumerla». P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano 1975, p. 55.
[2] Ho già trattato con maggiore profondità questi temi in: P. Piro, Pinocchio, Giufà, il Pellegrino Russo. Tre figure contro il lavoro, in: Id., Le occasioni dell’uomo ladro. Saggi, polemiche e interventi tra Oriente e Occidente, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 45-66.
[3] «La pedagogia nera non sarebbe altro, secondo Alice Miller e Armin Berhnard, che l’attualizzazione della fondamentale premessa antropologica della natura «cattiva» del bambino, educabile soltanto attraverso l’obbedienza, il controllo degli impulsi, la deprivazione immaginativa, la precoce adultizzazione. […] Il potere «educativo» della sferza, della ferula, ha attraversato come una trama inestricabile l’intera storia della pedagogia, toccando non necessariamente soltanto ambienti socialmente e culturalmente deprivati, ma anche realtà apparentemente «rispettabili», quali le famiglie nobili o gli ordini religiosi [….] La pedagogia nera si esprime […] nella tendenza alla demonizzazione del bambino come pericolo da arginare e da contenere e quindi nell’addomesticazione della sua immaginazione, anche facendo ricorso alla verga, finalizzata a fargli accettare la struttura sociale e le sue regole e a sottomettersi ad esse». R. Caso, Recensione a I. Filograsso, Bambini in trappola. Pedagogia nera e letteratura per l’infanzia, in: El Futuro del Pasado, nº 4, 2013, pp. 597-617.
[4] Vedi: M. Foucault, Introduzione alla vita non-fascista, in G. Deleuze-F. Guattari, Antioedipus, University of Minnesota Press, Minneapolis 1977, cosultabile su: https://pescebabele.wordpress.com/2010/11/27/vita-non-fascista/
[5] Cfr: L. Boff-M. Hathaway, Il Tao della liberazione: esplorando l’ecologia della trasformazione, Fazi Editore, Roma 2014, pp. 169-170.

Pietro Piro (Termini Imerese, 1978) è uno studioso attento alle dinamiche di disumanizzazione radicale del nostro tempo. I suoi più recenti lavori sono: Francisco Franco. Appunti per una fenomenologia della potenza e del potere (2013); Il dovere di continuare a pensare (2013). Ha tradotto e introdotto J. Ortega y Gasset, Appunti per un commento al Convivio di Platone (2012) e S. Ramón y Cajal, Psicologia del Don Quijote e il Quijotismo (2012) e curato la postfazione a J. Ortega y Gasset, Meditación de la Técnica (2011). Dottore di Ricerca in “Comunicazione Politica” è stato visiting scholar presso il Dipartimento di Storia Contemporanea della UNED di Madrid e ha svolto attività di ricerca presso il fondo filmico della Filmoteca Española di Madrid.

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1 thoughts on “Una nota su Pinocchio

  1. La citazione foucaultiana in esergo rimanda dritto al mio precedente “la macchina del mito 1: la nascita dell’individuo”. La critica della nozione di individuo mi sembra calata in un contesto simbolico, narrativo, molto intrigante. Ottimo!

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