Sono tornata alla mia identità originaria, mi chiamo Maria Pia Baroncelli, per pubblicare quest’opera perfida sulla scuola italiana: “Tutta la vita all’ultimo banco”, edita da Zolfo. Sarebbe stato vigliacco nascondersi dietro Viola Veloce per lanciare il sasso contro docenti e professori, ai quali ammetto di attribuire buona parte delle colpe per la situazione in cui versa – stremata – la scuola italiana.
Volevo scrivere un libro sulla scuola, dalla parte dei genitori, perché siamo ormai diventati il capro espiatorio al quale si dà la colpa dei cattivi risultati scolastici dei nostri figli. Non solo, sempre secondo la vulgata, i genitori oggi picchierebbero volentieri gli insegnanti quando il ragazzino prende una nota o un brutto voto, come se le mamme e i papà si presentassero ai consigli di classe con i tirapugni, pronti a difendere i pargoli dalle sconfitte “narcisistiche” che gli può infliggere la scuola (questa è la vulgata psicoanalitica, in cui noi genitori siamo dipinti come iperprotettivi dell’ego dei nostri figli).
Per cominciare, mettiamo bene in chiaro una cosa: le scuole italiane non sono tutte uguali. in Italia ci sono delle scuole di ottimo livello, i licei classici e scientifici, che sorgono in genere nel centro delle grandi città, in particolare al nord ma anche nel centro Italia, e poi ci sono le scuole dove gli studenti arrivano da famiglie più povere, quasi mai in grado di seguire i loro figli nei percorsi scolastici, sempre più difficili e complicati, soprattutto se paragonati con quelli delle scuole che ho frequentato negli anni Sessanta e Settanta.
Ma se le scuole di oggi (anche quelle di ieri…) non sono tutte uguali, va da sé che non sono uguali neanche i genitori. Quelli che si arrabbiano con gli insegnanti arrivano in genere da contesti sociali svantaggiati, non lavorano in uno studio legale nel centro di Milano. Quindi non si può parlare di “cattivi genitori” in generale, ma bisognerebbe analizzare i casi uno per uno, per capire che cosa non va in una certa scuola o in una certa famiglia.
E poi ci sono i test INVALSI: ormai sappiamo che sulle pagelle possono comparire ottimi voti anche quando (nei test INVALSI) i ragazzi dimostrano di non essere in grado di comprendere un testo in italiano e non sanno fare decentemente quattro calcoli. Colpa dei genitori anche i risultati degli INVALSI? Direi proprio di no.
Dare la colpa ai genitori e agli studenti di quello che sta succedendo alla scuola italiana è veramente ingiusto. In classe ci sono i professori e i programmi li decide il Ministero dell’Istruzione, anche se sono gli insegnanti che decidono se farli per intero, senza saltare una riga delle decine di libri di testo che i ragazzi si portano in giro in cartella. Nelle scuole medie, per esempio, bisogna studiare dozzine di materie che comprendono, per esempio, anche l’epica, e l’epica comprende tutto: l’Odissea, l’Iliade, l’Eneide, eccetera, con i cui testi si cerca di ingozzare dei ragazzi di undici anni come se fossero oche da fegato, senza neanche la soddisfazione di ricavarne il paté (se non un paté di cervello, perchè tutte quelle nozioni finiscono per mescolarsi molto malamente nei loro poveri cervelli, ridotti a una poltiglia senza forma).
I docenti potrebbero anche saltare qualche pagina (sono migliaia…) e soffermarsi per capire – gentilmente – se i ragazzi hanno capito quello che stanno studiando. E se non hanno capito, è proprio necessario mettergli subito un due sul registro di classe (restituendo ai discenti la colpa di “non sapere”), oppure non sarebbe meglio chiedersi se la responsabilità (del mancato apprendimento) non possa dipendere anche dagli stessi docenti?
ATTENZIONE: il libro non è un saggio ma il racconto dei miei anni di scuola, a partire dal 1964, quando ho cominciato le elementari, seguiti dal racconto di quelli di mio figlio, nato nel 2001, che se l’è passata molto peggio di me. Descrivo tutto ma proprio tutto: il mio primo giorno di scuola alle elementari, e poi quello di mio figlio Antonio. Paragono la mia meravigliosa maestra, Anna Monfardini, alle sue due maestre (si possono fare i paragoni, non è vietato), e concludo che nelle quattro ore di lezione (alla mattina) che facevamo negli anni Sessanta – in classe eravamo quaranta bambine – imparavamo ben di più, e meglio, di quanto non abbia imparato mio figlio nelle sette ore di lezione al giorno, con venti studenti in classe, negli anni Duemila.
Il racconto delle avventure scolastiche mie e di Antonio – siamo entrambi dislessici, e quindi un po’ “asini” – termina nell’anno della Didattica a Distanza, quando le scuole italiane vennero chiuse, per poi essere riaperte quasi un anno e mezzo dopo. Da allora, secondo le rilevazioni dei soliti test INVALSI, l’asinaggine degli studenti italiani è ulteriormente peggiorata, fatti salvi i soliti licei del centro-nord.
I dislessici – e tutti i ragazzi che per qualche motivo sono in una situazione di difficoltà – soffrono ancora di più nella scuola degli anni Duemila, dove c’è stata la moltiplicazione dei pani e dei pesci sia per quanto riguarda il numero della materie (arrivano a 13 nel biennio di un istituto tecnico!), ma anche dei docenti (13, per l’appunto, sempre nel biennio di in un istituto tecnico), che a loro volta moltiplicano il numero delle verifiche, scritte e orali, nelle loro materie. Ci sono stati degli anni in cui mio figlio arrivava ad avere 80,90 voti sul registro elettronico!
Ma se i professori passano il tempo a fare verifiche, quand’è che insegnano le loro materie?
Sarà mica colpa di questo iperverificare le performance dei ragazzi (invece di verificare se hanno davvero imparato a ragionare con la loro testa) che la scuola italiana sta andando sottoterra (certo non nei soliti licei)?
Beh, se siete arrivati a leggere fin qua e volete sentire il resto della storia, accattatevi ‘sto libro!
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