Stella

Un film di Sylvie Verheyde. Con Leora Barbara, Karole Rocher, Benjamin Biolay, Guillaume Depardieu, Thierry Neuvic. Drammatico, durata 102 min. – Francia 2008 – Sacher

Stella ha undici anni, la pelliccetta finta sul collo della giacca, è cresciuta nel bar di mamma e papà, in mezzo agli adulti loro amici, musica e alcol «a rischio di cirrosi» fino a notte fonda, quando si tira giù la saracinesca e si balla. La madre adora i colori vistosi, è lei a fare tutto mentre il padre, «un po’ bugiardo, un po’ seduttore» (è pur sempre Benjamin Biolay, la star della canzone francese) è lì a farsi bello coi clienti. Stella sa tutto di carte e di calcio ma non sa nulla dei «classici» francesi, e tra le nuove compagne di scuola dello snobissimo liceo parigino, quella pelliccetta scatena risatine imbarazzate. Siamo nel 1977, la ragazzina scrive male, studia poco, è la proletaria tra le molto «perbene» che vanno a dormire alle otto di sera e non guardano la televisione. Ma come insegna Peter Whitehead, geniale cineasta della controcultura inglese (e unico proletario da ragazzo in una scuola di nobili), è sveglia, carina, abbastanza ironica per guardare quel mondo dietro la facciata, e conquistarlo. Professori compresi, pure quelli più ottusi, che sostengono la scuola di classe. Stella, terzo film di Sylvie Verheyde, è un racconto quasi classico di formazione, che narra con semplicità e anche qualche difetto (ma averceli film così nel cinema nazionale) l’adolescenza sul confine dell’infanzia, la scoperta di orizzonti anche aspri, nei quali lo scintillio dei sogni di bimbi sembra perdere di luce. Parla di amicizia e di amore, di tenerezza e di complicità, del dolore che arriva quando una persona cara ti tradisce – c’è una scena in cui uno dei tanti avventori del bar con cui Stella è cresciuta tenta di violentarla. E del trauma che comporta entrare in una realtà sconosciuta.
Non è mai una materia facile, quella dei sentimenti, e diviene ancor più sfuggente quando si tratta di adolescenti, col rischio del luogo comune, del catalogo abusato di stereotipi, frasi fatte, letture prevedibili, imposte dalla lente degli adulti. Si è parlato per Stella di Truffaut e dei suoi Quattrocento colpi, senz’altro vale per la delicatezza con cui la regista si avvicina ai suoi personaggi, a cominciare dalla protagonista, la magnifica Léora Barbara, sguardo incantato e grinta. C’ è però qui un diverso mettersi in gioco, qualcosa di personale che entra nel film e lo rende «vero» anche nei suoi toni quasi fiabeschi. Sylvie Verheyde ci ha mescolato un po’ della sua biografia di ragazza cresciuta in provincia catapultata a Parigi, e al film ha pensato osservando suo figlio, oggi undicenne come Stella, cresciuto invece nella capitale francese. E c’è una dimensione tutta femminile, specie nel raccontare il legame tra Stella, e la sua compagna di classe-amica del cuore, figlia di una borghesia intellettuale che le fa scoprire libri, con cui diventa più forte e meglio attrezzata alla vita, anche alle brutte sorprese, agli smarrimenti, alle battaglie di ogni giorno. Leggere Cocteau ha lo stesso gusto che inventarsi un look più personale e carino. O ballare alle feste i lenti con Ti amo di Umberto Tozzi. Stella, infatti, è anche un film sulla scuola come luogo di scontri e al tempo stesso di importanti scoperte, specie se si ha la fortuna di incontrare docenti come la bella professoressa di Storia nel film. Necessario per crescere perché permette la dimensione collettiva del confronto. In Italia la commissione censura presieduta da Maria Pia Baccari ha vietato Stella ai minori di 14 anni – esce per la Sacher film di Nanni Moretti. Uno scandalo e una scelta incomprensibile (in Francia non ha divieti) se non nell’ottica del sempre più avvilito paesaggio mentale di questo paese. O forse è dire che la cultura rende più forti a irritare i censori?
Cristina Piccino, Il Manifesto, 5 dicembre 2008

1 Responses to Stella

  1. Nello Lo Monaco ha detto:

    Ovviamente mi riservo di vedere il film, ma un divieto ai minori di 14 anni, nell’Italia odierna in cui non ci si preoccupa di apporre divieti ben più importanti (ahimé), denota solo la chiusura mentale della Baccari e la solita arma della distrazione di massa, sempre più adottata per impedire ai sudditi di evolvere a cittadini.

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