gli scenari della decadenza. 192.

martedì 29 marzo 2011  16:31 

chissà quanto tempo occorrerà perché entri nella coscienza comune che c’è un senso semplice e chiaro in quello che ci sta succedendo attorno e che continua a meravigliare soltanto coloro che non hanno ancora capito.

lo scopro in una domenica pomeriggio improvvisamente nuvolosa rientrando a piedi verso il centro della città: mica mi ero accorto ancora di vivere in una città da terzo mondo! e nello stesso tempo in una città che comincia pericolosamente ad assomigliare ai miei Anni Cinquanta, almeno in una fetta crescente di popolazione: gli immigrati.

immigrati che impoveriscono e come si rattrappiscono entro abiti sempre più sgualciti, barbe malfatte, disseminati lungo le panchine che una giunta razzista ha tolto da centro per impedirgli il riposo e non ancora levato dai grandi viali che si dipartono a raggera dal ring.

le guerre per il controllo del petrolio, l’uso criminosamente pericoloso dell’energia nucleare, le rivolte o rivoluzioni che attraversano un terzo mondo affamato e senza prospettive sono forse fattori casuali di una cattiva congiunzione astrale, oppure lo sviluppo necessario di premesse sulle quali si tengono chiusi gli occhi, non tanto perché sempre si voglia, ma perché per i più tenerli chiusi o tenerli aperti fa lo stesso?

* * *

ecco le chiacchiere da bar, con un barista chiaramente leghista, tipico esemplare umano dell’elettore medio allevato con tanta cura dalle tv berlusconiane:

lui: l’Italia ha bisogno di energia, tutti nel mondo sono per il nucleare, a Chernobyl è successo quel che è successo perché il reattore era fatto di plastica.

– a Chernobyl è successo quel che è successo perché i tecnici erano ubriachi: il fattore umano, già.

e stai a vedere che le centrali atomiche non sono sottoposte al fattore umano anche loro.

ma mi guardo bene dal dirglielo, il tipo mica è in grado di capire la problematica filosofica che nasce dal fatto che le macchine più perfette sono comunque prodotto umano e sottoposte ad ogni rischio conseguente.

mi limito a dirgli: E il Giappone? non vorrà mica dirmi che il Giappone usava tecnologie arretrate.

si gratta la testa un attimo… non era previsto che ci potesse essere un punto di vista documentato diverso da quello propalato dalle televisioni a cui lui si è fiduciosamente affidato non essendo in grado di tentare altro con la sua testa.

ma lè gh’è el terremoto!

e in Italia no?

solo nel sud.

certo, un sud come il Friuli…

si guarda attorno sgomento.

e come mai la Germania sta rinunciando al nucleare?, lo incalzo.

non lo faranno mai, risponde forzato.

eppure hanno fatto una legge, e sono tedeschi, la applicano.

dieci anni fa qui ci fu una buona scossa dal Lago di Iseo: Salò e Brescia in epoca diversa sono state rase al suolo da terremoti devastanti: tutto dimenticato.

nessuna evidenza, solo l’istinto bruto di non rinunciare al proprio modo di vita.

* * *

ma poi è proprio vero che l’Italia ha bisogno di energia?

forse per continuare a vivere come ora sì, ma non si può vivere diversamente? diminuire almeno un poco i consumi?

scenario della decadenza.

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mentre da noi gli immigrati sono allo stremo: un senegalese mezzo ubriaco, che conosco da tempo, mi ferma per spiegarmi che gli hanno rinnovato il permesso per due mesi, ma se non trova lavoro entro questo periodo diventerà un clandestino, non posso assumerlo io?

negli USA intanto la recessione risospinge la popolazione nera verso gli stati del Sud, facendogli abbandonare le grandi metropoli come Detroit, Chicago e New York, dove erano la base della forza elettorale del Partito Democratico; negli ultimi due anni vi è stato qui il più grosso aumento di popolazione nera da un secolo: già salita al 57%; Washington era considerata una città nera, ma oggi la popolazione di colore è scesa al 50% circa.

il 17% degli immigrati di colore negli stati del Sud degli USA vengono da New York, ma non si aspettano di trovare nel Sud una vita migliore, si aspettano soltanto di riuscire a sopravvivere, sperando nei prezzi più bassi e in una rete di assistenzialismo familiare: sono infatti soprattutto i neri poveri che emigrano verso il Sud.

leggo un demografo tedesco che afferma che questa è una delle più rapide e massicce migrazioni della storia umana.

quanti sono disposti a vedere gli Stati Uniti d’America come un impero in disfacimento, che moltiplica i suoi sforzi esterni come per sfuggire alla contemplazione della propria crisi interna?

* * *

quanti sono disposti a vedere che, in qualunque modo la si voglia ottenere, l’energia necessaria per mantenere in condizioni di vita moderne 7 miliardi di abitanti del pianeta non è gestibile?

che il nucleare irraggia e uccide, il petrolio e il carbone soffocano l’aria, che il fotovoltaico non si sa dove buttarlo, che l’eolico, a usarlo troppo, altererà di quel tanto il novimento dei venti da provocare siccità altrove, come il battito d’ala della farfalla amazzonica di Borges provocava uragani.

quanti sono disposti a concludere che violenze, rivolte, migrazioni incontrollabili di massa, fra i vani proclami arroganti di chi non ha ancora capito di essere travolto dagli avvenimenti, attentati, violenze, perdita di produttività, disoccupazione sono soltanto le maifestazioni esteriori di una civiltà che muore?

quanti vedono che sono i giovani, in tutto il mondo, le prime vittime di questo stato di cose?

quanti sanno che una delle prime manifestazioni della povertà e della decadenza è l’avanzata dell’ignoranza e della stupidità? e che niente dimostra meglio il disfacimento in corso che l’elezione ai vertici degli stati di persone in grado di incarnare molto di più la stupida paura per il proprio benessere che muore che una progettualità in grado di ridisegnare il futuro?

quanti si accorgono che l’intelligenza è inutile, perché dove entra in gioco la sopravvivenza servono solo l’istinto e la forza bruta?

2 risposte a “gli scenari della decadenza. 192.

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