Luca Michelini/ Dandy contro popolani

L’analisi della situazione all’indomani della vitoria delle destre e della sconfitta della democrazia con il crollo dell’affluenza alle urne  di Luca Michelini, professore ordinario di Storia del pensiero economico, Dipartimento di Scienze politiche, Università di Pisa.  

«Scuseranno i lettori se propongo una riflessione sulle elezioni comasche partendo da lontano.

Il magazine on-line JSC2015 mette in luce i primi risultati del tentativo della Camera di Commercio di Como di dar vita ad un centro studi sull’economia comasca. Le firme sono illustri e i risultati interessanti. Si analizza il “capitale d’impresa” tipico di Como, cioè il profilo dei suoi imprenditori, una delle figure centrali per una città manifatturiera per tradizione e per vocazione.

Il panorama industriale è fatto da una altissima qualificazione delle maestranze, di eccellenze nella meccanica, nel turismo, nelle costruzioni, nel legno-arredo, nella chimica.50mila imprese su 600mila abitanti. Il 93% sono microimprese (meno di 9 addetti), 5,4 sono piccole (10-49 addetti), 0,6% sono medie (50-249 addetti) e 0,1% sono grandi (oltre 250), tutte molto votate all’export, in ripresa anche se ancora inferiore ai livelli pre-crisi.

Gli imprenditori comaschi risultano molto attaccati al territorio: non se ne vanno facilmente. È parte del familismo imprenditoriale e a contareèla qualità della vita e la sapienza manifatturiera diffusa, che rende il territorio comasco un unicum. Stentano, però, ad arrivare nuove imprese perché sono pochi i terreni disponibili per gli insediamenti.

Tutti gli autori, scrive opportunamenteil coordinatore della ricerca,“hanno sottolineato la gravità del problema della mancanza di risorse umane qualificate a tutti i livelli”, e in particolare per quelli alti. Il giudizio del sociologo è secco: “il sistema imprenditoriale dovrebbe considerare la formazione come un investimento, non come un mero costo”. Diventa centrale il ruolo dell’Università, che però il volume invita, molto opportunamente, a considerare in modo un po’ diverso da quanto sembrerebbe emergere dalle interviste rilasciate dagli imprenditori: non, cioè, come servizio per l’impresa, ma come luogo dove l’impresa, e più in generale il capitale umano, trova gli strumenti per allargare i propri orizzonti, da ogni punto di vista.

Se si paragona l’imprenditorialità comasca al cd.“quarto capitalismo” emergono alcuni punti di debolezza: scarso ricorso e poca valorizzazione delle competenze manageriali, poca internazionalizzazione, poiché si preferisce il commerciale agli insediamenti produttivi, poca propensione alla formazione interna, in tema di innovazione si privilegia l’approccio proprietario, impreparato a qualsivoglia “aggregazione interorganizzativa”; l’azienda, insomma, non si percepisce inserita in “un sistema economica sociale e culturale più allargato”.

Come è noto, uno dei candidati sindacoè un imprenditore. Sul piano antropologico e politico di che scelta si è trattato?

In un duro e penoso confronto televisivo i candidati hanno sfoderato una serie di fotografie: l’uno era in posa a cavallo, in una gara di moto, in raffinate compagnie: ne è emersa la figura di un dandy, dedito allo sport, alla vita di società, alle relazioni internazionali; offeso con l’avversario che aveva osato attaccarlo sul piano personale. Un amante della ricchezza, piuttosto che dell’arricchimento. L’altro, al contrario, appare (chitarra in mano, a braccetto con i parenti) un popolano, rivelandosi poi medico inserito nel sistema istituzionale leghista, non difficile da inquadrare, sul piano umano, nelle schiere del vecchio PCI. Sì, quello rottamato prima da D’Alema che da Renzi. Un profilocome quello di Bossi o di Maroni o diSalvini, insomma.Già, perché si tratta del candidato del centro-destra.

Come mai, viene da chiedersi, un imprenditore di seconda generazione, vissuto negli agi e nel lusso e nelle distrazioni, decide di candidarsi a sindaco e come mai una forza di centro-sinistra opta per lui?

La ricerca prima richiamata sottovaluta una caratteristica importante del tipo imprenditoriale comasco e, più in generale, italiano. L’imprenditore votato alla politica.E’ stato Pareto, un autore tutt’altro che appartenente all’universo culturale della sinistra, a sottolineare l’importanza di questa figura per il moderno capitalismo. Culmine di questo tipo di figura imprenditoriale è, naturalmente,il capo e fondatore di Forza Italia: capace di sommare notevoli doti imprenditoriali dal punto di vista strettamente economico (inventore della tv commerciale in Italia), a doti politiche, imprescindibili sia per la sua ascesa economica durante il regno di Craxi, sia per quanto ha fatto nella e della Seconda Repubblica.

Sarebbe però sbagliato considerare questo caso come un’eccezione.

Basti dire che motore delle moderne economie capitalistiche è il settore immobiliare (e ci siamo accorti del suo ruolo strategico quando esso è entrato in crisi), dove praticamente non può essere tracciata alcuna distinzione tra capacità economiche e capacità di relazione politica.Per costruire è indispensabile avere capacità di manovra sulla pianificazione urbanistica.Lo stesso candidato comasco, d’altra parte, è stato vicino a talune iniziative politico-imprenditoriali, tipiche, appunto, del nostro capitalismo.

Como è una città con ampi spazi di manovra da dedicare all’investimento immobiliare: l’ex-manicomio, l’ex-ospedale, l’ex-Ticosa, l’ex-centro Coni, lo stadio, solo per ricordare le principali. In mancanza di progettualità politica, e con l’intento strategico di far calare dall’alto qualsivoglia scelta urbanistica, il PD di Como era, probabilmente, in cerca di relazioni e di progetti, anche perché mancano i capitali locali e l’avventura immobiliare si è rivelata esiziale già per diverse banche locali. In effetti uno dei capitali fondamentali che si portano appresso gli imprenditori di seconda e di terza generazione è quello relazionale. E grandi aree urbane vogliono grandi investitori.

Beninteso: non c’è nulla di illecito in tutto ciò.

C’è, invece, una scelta politica precisa: tagliare alla radice qualsivoglia forma di partecipazione dal basso, privilegiare il verticismo e far funzionare i comuni in funzione della rete politico-economica regionale e nazionale.

Anche in questo caso non ci sarebbe nulla di male, se questo verticismo fosse funzionale ad obbiettivi di politica industriale e di sviluppo economico, cioè fosse concepito all’interno di un disegno generale, votato all’interesse collettivo e costruito con gli strumenti della democrazia. Purtroppo, invece, il PD, a livello nazionale, ha totalmente messo da un canto addirittura la tematica, preferendo appoggiarsi alle forze del libero ed autoregolantesi mercato. Proprio mentre queste forze dimostrano… tutti i loro limiti sul piano eminentemente economico! Finendo probabilmente per affidarsi agli investimenti esteri (incentivati da Gentiloni), nella desolante illusione che la nazionalità degli investimenti non abbia alcuna valenza economica e sociale.

Affidarsi alle poche e residue libere forze del mercato può avere un vantaggio, comunque. Le elezioni nazionali sono in vista e una rete relazionale di respiro può (avrebbe potuto… ) rivelarsi strategica ai dominus politici locali che aspirano al Parlamento.

Il candidato del PD non aveva alcuna esperienza non dico politica, ma anche civile nel comasco (quanto resisterà in consiglio comunale?), anche se qualche buona idea l’ha abbozzata: girare il mondo fa bene allo spirito. Ed è stato preferito ad una serie di candidati interni: alcuni impresentabili per chiusura d’orizzonti, come quelli che si sono candidati alle primarie; altri, invece, come l’ex-assessore alle politiche sociali, meritevoli per le cose fatte (la raccolta differenziata, un degno comportamento sui migranti), ma troppo a sinistra, probabilmente, per i palati dell’attuale dirigenza comasca del PD, troppo cittadino sul piano relazionale e comunque con una indipendenza di giudizio insopportabile. Ne è sortita lo sfilacciamento elettorale del centro-sinistra, che è la causa immediata della sconfitta.

La sconfitta, in effetti, è maturata per tutta la scorsa legislatura, in cui il PD ha rinunciato consapevolmente ad esercitare qualsivoglia forma di egemonia: preferendo al governo, il comando, alla competenza e al dibattito, il verticismo, all’innovazione sul piano programmatico e procedurale, il burocratismo ragionieristico, che in tempo di crisi è la morte del corpo sociale. Ma vallo a far capire a queste classi dirigenti post-scientifiche che la dialettica tra tendenze delle forze produttive e mutamento dei rapporti di produzione non è uno slogan rivoluzionario ma un potente e neutralestrumento di analisi e di governo!

La concezione della politica che ha l’attuale PD è emersa chiara nel corso del ballottaggio. Dopo aver negato alla radice ogni forma di partecipazione e di discussione, finendo così per aprire le porte al centro-destra avvitando l’esperienza di governo del centro-sinistra in una crisi irreversibile, ha cercato, solo e soltanto al ballottaggio, “la sacra unione” contro il nemico, reo di razzismo, se non di peggio.

Come se il Pd  comasco non fosse l’espressione di una politica nazionale che ha fatto di tutto, davvero di tutto, per tenere a galla l’attuale centro-destra.

Davvero inaccettabile, poi, il ricatto agli elettori, a cui si vorrebbe scaricare la responsabilità della rotta politica di questi anni di governo cittadino e la vittoria del centro-destra. Davvero misero, infine, il dibattito elettorale, tutto imperniato su personalismi, senza alcuna vera progettualità politica e sociale. E misera è anche la discussione post-elettorale, con gli sconfitti incapaci di leggere gli avvenimenti comaschi nel contesto di quelli nazionali, che segnano una decisa battuta d’arresto del progetto renziano.

Il civismo, cioè Rapinesee Magatti,e il M5S – di fatto, sul piano etico-civile, le uniche tre forze politiche, che ho citato in ordine di merito,a cui sarebbe dovuto andare il ballottaggio e il governo della città (ma anche loro hanno dei limiti evidenti, come dimostra la dimensione dell’astensionismo) -non sono cadutinel ricatto. Il residuo di sinistra, che neppure entrerà in consiglio comunale (meno di mille voti), si è invece lanciata a favore del candidato del PD, dopo essersi negata (presumo con estrema soddisfazione da parte del PD) ad un’alleanza. Incomprensibile, poi, la divisione tra Grossi e Magatti! L’antiliberismo che approda al dandysmoimpreditorial-politico è una prova di confusione intellettuale. Che probabilmente aumenterebbe se qualcuno spiegasse loro, e loro fossero disposti ad ascoltare, che l’antiliberismo di cui si proclamano paladini è il protezionismo: cioè quella politica che in Italia la Lega, e negli USA (la patria del protezionismo, per inciso) Trump, stanno tentando di strutturare. Secondo una logica tutt’altro che antistorica sul piano economico e che si dovrebbe discutere seriamente nel merito, fenomeno immigratorio incluso, così da disinnescare alla radice qualsivoglia deriva reazionaria e razzista.

Il centro-destra ha dimostrato la pochezza della sua azione politica. Ha utilizzato il dossieraggio sull’avversario, senza capire che non era l’illecito o il furbesco a dover essere cercato, quanto l’incongruenza rispetto ai valori di riferimento per l’elettorato. D’altra parte, ciò è stato il portato dell’imbarazzo in cui si è trovato, poiché è stato costretto a confrontarsi con un avversario che… gli somigliava molto.

E non è fantapolitica presumere che questi due schieramenti siano destinanti ad incontrarsi, forse non solo sul piano nazionale. Come già si sono incontrati diverse volte.

Como attende una rete sovra-cittadina per definire il destino del suo assetto urbanistico e sociale. E dobbiamo ringraziare i tanti del centro-sinistra che davano per marginale e destinato al tramonto il ruolo di Forza Italia, per non averci dato in oltre vent’anni una legge seria sul conflitto d’interesse: che si appresta a dirigere nuovamente le sorti del Paese.Ma forse, questa volta, sarà la Lega a tenere il pallino, come l’ha tenuto a Como: e non è da escludere che una qualche progettualità di governo, anche a livello locale, alla fine possa definirla e attuarla.E’ la forza delle cose a spingere in questa direzione, infatti.

Allo schieramento opposto, che si arrocca da vent’anni al momento elettorale come fase suprema dell’organizzazione e che del bolscevismo ha mantenuto l’idolatria della “presa del Palazzo d’Inverno”, le scorciatoie antidemocratiche (il maggioritario, le primarie che incoronano il “capo”, il settarismo ecc.) e il disprezzo del pluralismo, non rimane che ricordarsi, sol che apra qualche libro di storia, che i risultati politici sono il frutto dell’azione sociale.L’enorme astensione elettorale e le vertiginose diseguaglianze proprio non si vogliono tradurre in consenso politico:che sia venuto il tempo diuna seria riflessione?» [Luca Michelini]

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