Ecco i dieci piccoli Pistorio che possono rilanciare il Paese

maggio 13, 2005


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Il Senatore Debenedetti: ma la politica deve creare le aspettative di sviluppo, altrimenti scatterà di nuovo il protezionismo

Franco Debenedetti è in vena einaudiana di fronte ai dati che rivelano la recessione in cui è finita l’Italia. Per affermare che reagire è possibile: «Non occorrono decenni per ricostruire economicamente il Paese – cita da Luigi Einaudi del 1943 – Bastano anni». Le forze, a suo parere, non mancano.

«Nell’intervista al Corriere della Sera di lunedì scorso – dice – «Giuliano Amato sostiene che occorrono dieci Pistorio per rilanciare il Paese. Ma ci sono certamente, in Italia, dobbiamo però creare le condizioni, sia come interessi sia come regole, perché crescano».
Succede che all’interno dell’opposizione al governo Berlusconi sta crescendo il dibattito su come affrontare il declino economico dell’Italia. E il calo del Prodotto interno lordo rivelato ieri fa sembrare più urgente la discussione. Amato ha lanciato un sasso: molto meglio politiche microeconomiche che consentano lo sviluppo di dieci Pasquale Pistorio (l’ex amministratore delegato della StMicroelectronics, una delle aziende europee di maggior successo sui mercati) di grandi progetti macro. E Debenedetti è d’accordo.
«Di Pistorio piccoli e meno piccoli ne abbiamo molti – dice – Qualche nome? Nerio Alessandri di Technogym; Alberto Bombassei della Brembo; Roberto Colaninno; Renzo Rosso di Diesel; i De Longhi; i Merloni; i fratelli Buzzi dell’Unicem; Carlo Petrini di Slow Food che è stato capace di mettere assieme competenze e interessi per dare vita a una rete di ricchezze; e, a rischio di essere accusato di nepotismo, mio nipote Rodolfo De Benedetti.E altri che non ho nominato. Ma quelli che contano sono coloro che possono crescere: perché questo avvenga la politica deve modificare il quadro delle aspettative».
Le aspettative: questa sembra diventata la parola chiave nel dibattito economico della sinistra oggi. Si tratta di modificarle e, secondo Debenedetti, bisogna farlo in positivo e in negativo. In positivo, dando agli imprenditori un orizzonte di certezze più lungo, di stabilità degli incentivi, e non indurli all’opportunismo di breve periodo. In negativo, «evitando che gli attori economici abbiano interesse solo a estrarre, attraverso il mattone, rendita fondiaria; o a estrarre rendite di posizione attraverso oligopoli o a estrarre dal pubblico risparmio, attraverso gli amici e gli amici degli amici. Se non è chiaro, penso all’Antonveneta».
Certo che ci vogliono le liberalizzazioni. «Ma l’esperienza del governo Berlusconi dimostra che da sola una via liberale e universalistica, che punti tutto sul libero gioco di rapporti di forza senza interferenze del potere decisionale e degli interessi sociali non funziona». Tanto che non è riuscito a realizzarla, dice Debenedetti. Bisogna invece, a parere del senatore del Centrosinistra, coinvolgere soprattutto le piccole e medie imprese in un processo di corresponsabilità, offrirgli una rappresentanza politica, dare loro voce nei processi decisionali. Quella che D’Antona chiamava «scambio di volontà». Altrimenti, «in un Paese come il nostro, chiuso, con bassa mobilità sociale, scattano meccanismi difensivi, e gli interessi si organizzano a protezione dell’esistente». E poi conta il anche il clima culturale del Paese: «chi, in Italia, si mette a studiare o a investire in biotecnologie, quando si approvano leggi che vietano la ricerca sulle staminali, che considerano gli Ogm come cibo di Frankenstein e si chiede al Servizio sanitario di fornire la cura Di Bella?»

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