Il Senatore risponde all’articolo di Furio Colombo

gennaio 24, 2002


Pubblicato In: Varie


Lettera aperta su “L’Unità” del 24 gennaio

Caro Direttore,

sovente dal suo giornale partono attacchi a chi, nella sinistra, non condivide la linea politica dell’attuale direzione dell’Unità. Quello contenuto nel fondo di domenica (” Il dogma della infallibilità di Berlusconi”), autorevole per firma ed esemplare per metodo, merita qualche considerazione.
Partito dalle critiche a Berlusconi e al suo governo, dopo mezza colonna, il suo editoriale “estende” l’attacco “anche a deputati e senatori dell’opposizione”: sarebbero soggetti a “un’egemonia che si espande a sinistra”; anziché opporsi alla destra, inviterebbero la sinistra a “fare come loro” e quindi, a forza di imitazione, diventerebbero “come loro”. “Inavvertitamente”, ha la bontà di aggiungere. Non più traditori, dunque, ma utili idioti: il magazzino offre una varietà di strumenti.

Leggo giornali, caro direttore, partecipo a riunioni di partito, sono presente alle sedute in Parlamento: ma lei dove li legge o li sente quelli che sostengono le cose che lei dice? Sostenere che la conclusione dei processi e la riforma della giustizia sono vicende che devono restare separate, significa forse “trascurare i reati di cui sono imputati il capo dello schieramento attualmente vincente e molti dei suoi collaboratori più stretti”? Ritenere, come chi scrive, che sanare il conflitto di interessi con la vendita di Mediaset è un obiettivo per noi politicamente precluso, e che dovremmo dunque cercare di ottenere, con la privatizzazione della RAI, la garanzia di pluralismo dell’informazione, significa tout court, “ignorare il clamoroso conflitto di interessi”? E ancora: se, nonostante pendenze giudiziarie e conflitto di interessi, Berlusconi ha vinto le elezioni, si dovrà pure cambiare qualcosa nel nostro programma, o nella leadership, o nell’alleanza: sostenerlo significa forse acquiescenza al fatto compiuto? Tutte cose che lei, caro direttore, sa bene e sa distinguere bene.

Naturalmente si possono avere opinioni diverse: le si può discutere, e sarebbe utile, per la sinistra, che ciò avvenisse sullo stesso giornale da lei diretto; oppure si può lasciare che siano gli elettori a confrontarle, attingendo, anche quelli che votano la sinistra, a fonti diverse. Ma se si passa alle accuse, il discorso diventa un altro. Quando le tesi diventano armi, e la discussione un’imputazione – “voi volete fare come Berlusconi” – non è più questione di merito, ma dell’operazione politica sottesa alla sua conclusione, secondo cui l’unica sinistra buona è quella antagonista, campione anzi “dell’antagonismo netto”. Non si può fingere di ignorare che cosa quell’aggettivo “antagonista” significhi, nella sinistra italiana, che grazie alla componente appunto “antagonista” affossò Prodi prima, e che dopo la sconfitta del 13 maggio addita nell’arroccamento identitario la trincea da difendere.
Un aggettivo, per quanto riguarda direttamente i Ds, che, brandito come la verga di Mosè per separare le acque, punta ad affermare l’idea che o si è con lo schieramento che, dopo aver perso a Pesaro, oggi cerca di compattarsi a sinistra inseguendo magari piazze e movimenti, oppure si ha solo la scelta tra essere dei traditori ed essere degli ingenui plagiati da Berlusconi. Un’operazione che ricorda quella degli “antidalemoni” durante la bicamerale: non una delle invenzioni che hanno portato più frutti all’Ulivo.

E il cui vero obiettivo, oggi con maggior forza di allora, visto che l’Unità investe con le sue polemiche più direttamente i Ds di quanto facesse allora l’Espresso, finisce per essere la sinistra di governo, quella riformista, che antepone le esigenze dell’85 % dei nostri elettori che ci chiede di essere più credibili, rispetto a quella del 15% che ci chiede di urlare di più. Dalla demonizzazione del cavaliere, si passa a demonizzare chi cerca di dare argomenti per una sinistra di governo. Passo dopo passo, la profezia si autoavvera: limitarsi al “partito che c’è” diventa dar prova di realismo politico; ritirarsi in un estremo “reduit” è la scelta obbligata se c’è un “regime”; se sola resta la purezza ideologica, si va a finire alle epurazioni. La sindrome degli assediati: questo è il prezzo politico che rischiamo di pagare, caro direttore, al nuovo feticcio dell’“antagonismo”.

Molti a sinistra, e non solo alla sinistra estrema, sono vittime del complesso di Groucho Marx, scrive Anthony Giddens nel suo ultimo libro: non vorrebbero mai appartenere a un club che li accettasse come membri. E’ più facile mantenere l’integrità ideologica, sostiene Giddens, se c’è un nemico da attaccare; tuttavia concentrarsi sulle condizioni per avere successo elettorale, come fa la nuova socialdemocrazia, non implica affatto rigettare l’idealismo. Le socialdemocrazie hanno conosciuto nell’ultimo decennio un revival elettorale: ma costruito su una “base tenue”. In USA, Inghilterra, Italia, diversa è l’agenda politica, ma identico è il fenomeno di “disallineamento” degli elettori: la percentuale di quelli che non si dichiarano né di destra né di sinistra, ma che si stanno abituando a scegliere, si avvicina ormai al 50%.
Con queste idee Giddens ha consentito ai laburisti di Blair di vincere le elezioni dopo 18 anni passati all’opposizione; si deve anche all’influsso delle sue idee se in Italia la sinistra è andata al governo dopo 50 anni.
Il tempo per riflettere è sempre troppo breve: quello per indignarsi non manca mai.

Cordialmente suo.

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