“Due delitti per un monaco” di Ellis Peters – Recensione

[Titolo originale: The Leper of Saint Giles – The Cadfael Chronicles #5]

Il mio giudizio in breve:

Molto avvincente, scorrevole e intrigante, anche se dalla metà circa del libro è praticamente chiaro chi sia il colpevole. L’atmosfera è comunque ben resa e il romanzo piacevole da leggere, se l’aspetto investigativo fosse stato gestito meglio sarebbe stato forse un piccolo capolavoro.

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Dopo il capitolo precedente, “La fiera di San Pietro” (questo il post con la mia recensione), che mi aveva davvero appassionata ed avvinta per il significativo peso dato alla componente mistery ed investigativa, questo quinto volume della saga su fratello Cadfael registra un leggero caro nell’intreccio più propriamente giallo.

La trama, come spesso accade per i casi risolti dal saggio monaco erborista, ruota intorno ad una donna, la bella e giovane Iveta. Questa ricca ereditiera è stata promessa in sposa dagli zii ad un facoltoso cavaliere normanno abbastanza vecchio da poter essere suo padre. Come nella migliore tradizione romantica l’avvenente fanciulla è in realtà innamorata di uno scudiero del suo futuro marito, e sarà proprio questo impavido giovane – Joscelin Lucy – a venir accusato del delitto quando il giorno delle nozze il barone verrà ritrovato strangolato in un bosco nei pressi dell’abbazia. Né sarà questo l’unico mistero su cui fratello Cadfael si troverà ad indagare fra una preghiera in capitolo e la preparazione di un decotto di erbe.

Il romanzo, come già i precedenti della Peters, si arricchisce di una meticolosa cura nel delineare l’atmosfera in cui le vicende sono collocate: dettagli sulla vita e la società medievali, descrizioni minuziose – ma mai prolisse – di luoghi e persone, attenta caratterizzazione dei personaggi sono in un certo senso il tratto distintivo della scrittura dell’autrice. E qui più ancora che in altri titoli della sua produzione, la Peters fonde tali elementi per far luogo ad un’opera che solo marginalmente e quasi di sfuggita si può etichettare come romanzo d’investigazione.

Un delitto c’è, anzi ve ne sono addirittura due, eppure paradossalmente le investigazioni (dello sceriffo, di Cadfael, di fratello Mark) non sembrano il vero motore che porta allo svolgersi degli eventi. Ingordigia di ricchezze e amore (vero o presunto) fanno capolino fin dai primi capitoli come probabili moventi del primo omicidio e l’attenzione del lettore più che sul discolpare il fuggitivo Joscelin si appunta da un lato sul dramma personale di Iveta, dal’altro su quello meno intimo dei lebbrosari il cui ricovero tanta parte ha nel proseguire della vicenda.

La Peters infatti è abilissima nel tratteggiare, pur senza mai rendere preponderante questa parte della storia, la vita difficile dei lebbrosi, confinati in un lazzaretto ed evitati dalla gente sana oltre che guardati con orrore per le loro mutilazioni. La stoica ed onorevole rassegnazione del vecchio perennemente incappucciato da un lato, l’inarrestabile entusiasmo del piccolo Bran dall’altro, fanno sentire con vivida ricchezza di emozioni quella che doveva essere la sofferenza dei lebbrosi in un’epoca in cui non solo non c’era cura per il loro male, ma esso era guardato quasi con sospetto dalle altre persone.

Anche se il ritmo della narrazione è come sempre più placido che frenetico, sostenuto da piccole scoperte e deduzioni più che da eclatanti colpi di scena, questo a mio parere non è uno svantaggio. La lettura procede senza eccessiva violenza, mostrando un mondo la cui placidità non viene meno neppure in presenza di un delitto: si cerca il colpevole (anche con frenesia), si hanno sospetti e dubbi, si mente e si inganna, ma l’intera trama è portata avanti con quella leggerezza tipica dei gialli all’inglese.

I personaggi ricorrenti, in particolare Cadfael, fratello Mark e l’abate Radulfus, sono figure ormai familiari al lettore, che sa cosa aspettarsi da loro sia come comportamento che come pensieri. Questo accentua la sensazione di realismo data dalla lettura e in questa cornice conosciuta i personaggi nuovi sono come piccole faville scoppiettanti che movimentano una routine altrimenti prevedebile. Il risultato di questo mix ben scelto conferisce spessore ad una trama fondamentalmente semplice e ad un delitto tutt’altro che incomprensibile, arricchendosi ulteriormente di risvolti rosa nel presentare il legame fra Iveta e Joscelin.

Quella che costituisce purtroppo la pecca maggiore di “Due delitti per un monaco” è la prevedibilità del delitto. Che sia poco originale il movente mi sta bene, che la ricca giovinetta si innamori di uno scudiero dalla quale la separano gli interessi economici di molte persone è un cliché romantico sempre felice, ma che in un romanzo investigativo ci siano di fatto due soli sospettati è davvero un fattore che lascia l’amaro in bocca.

Non posso scendere nei dettagli per non rovinare la lettura a chi ancora non conoscesse il libro, ma una cerchia troppo ristretta di possibili colpevoli è essenzialmente l’unico (grande) difetto di questo volume. Che non incide troppo sull’economia generale della trama (personalmente ho continuato a leggere con interesse anche dopo essere stata ragionevolmente sicura di chi fosse l’assassino), ma che mi impedisce di dare una valutazione più alta a questo titolo. Perché se da un lato è vero che “Due delitti per un monaco” rimane un romanzo piacevolissimo, con un ritmo lento ma mai fiacco, sostenuto da una valida caratterizzazione dei personaggi e da una piacevole sottotrama romantica, è anche vero che in un romanzo classificato come giallo mi aspetterei una più accentuata impronta investigativa.

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