Fire of conscience, di Dante Lam

Dante Lam, regista già conosciuto per The Stool Pigeon, costruisce questa volta un thriller sul doppio gioco all’interno degli organi di controllo.

Come insegna la cinematografia di Ringo Lam, ed in particolare lo splendido Chow Yun Fat in City on Fire, per rendere frizzante l’intringo e l’escalation tipico di un thriller è buona cosa far instaurare un rapporto di compiacenza, rispetto, amicizia, tra i due protagonisti, talmente diversi, ma al contempo estremamente simili.

Tutto inizia quando viene frugato da un cadavere un cellulare, a quel punto una cellula specializzata nell’anti-droga capitanata dall’aitante e uomo in carriera Ispettore Kee, interpretato da Richie Chen già visto in parecchi film di Johnny To, tenta di tutto per recuperarlo venendo in contatto con una specie di squadra mobile che vive e lavora sul campo, al seguito del rude, ma efficace Manfred, interpretato da Leon Lai, visto in qualche film di genere cinese.

Quella che pare una semplice collaborazione, in realtà cela l’intento di Kee di insabbiare il possibile collegamento con una grossa partita di droga.

Cosa abbia costretto un uomo diligente, saggio, e perspicace come Kee a corrompersi, ci verrà svelato all’interno del film, è sarà un mix di pressioni famigliari, impossibilità di far carriera per una struttura simil baronale, e debolezze personali. Il contatto con Manfred, disilluso, ma al contempo solido nel suo unico ideale da perseverare, una specie di giustizia alla Ispettore Callaghan, produrrà sequenze action gradevoli.

Difficili scelte, ed una conclusione kharmatica che chiuderà il cerchio degli avvenimenti, non senza gravi perdite da entrambi le parti.

Dante Lam mischia all’interno di una regia classica per il genere, steadycam, inquadrature che cambiano repentinamente il soggetto, anche qualche effetto digitale, la fotografia usa colori caldi, offrendo così in definitiva un buon prodotto di genere.

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