Cinquecento sterline l’anno e una stanza con la serratura alla porta

Una stanza tutta per sé
«Chi potrà mai misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?» (Virginia Woolf, 1882 – 1941. In: «Una stanza tutta per sé», 1929)

Oggi, mentre scrivo, è il 9 marzo e la vita continua.

Nel frattempo, ho finito di rileggere, per l’ennesima volta, un piccolo libro che ad ogni lettura mi dice nuove cose, a parte la ben nota tesi che vi si sostiene. Questa:

Se, essendo donna, «dovete scrivere romanzi e poesie vi servono cinquecento sterline l’anno e una stanza con la serratura alla porta».

Sì, il libro è «Una stanza tutta per sé» di Virginia Woolf, pubblicato il 24 ottobre del 1929.

Il bello è che Virginia Woolf, in questo suo libro non sosteneva che la libertà dal bisogno economico, unitamente alla disponibilità di un luogo per sé e (aggiungo io) di un tempo riconosciuto per ritirarvisi, costituissero un bisogno, in sé, femminile; la Woolf sosteneva che ciò era, per chiunque, maschio o femmina, condizione necessaria per la creazione artistica; e che dunque tale condizione doveva divenire agibile per le donne. Ecco il punto: per le donne, era cosa difficilissima.

E citava Sir Arthur Quiller-Couch, scrittore e insegnante suo contemporaneo, che diceva: «(…) Può sembrare un fatto brutale, ed è anche triste: ma se vogliamo stare ai nudi fatti, la teoria che il genio poetico fiorisce dove vuole, ed equanimemente tra poveri e ricchi, non è molto vera. (…) È certo che – per quanto questo ci disonori come nazione –per qualche difetto della nostra società, il poeta povero non ha in questi tempi, né ha avuto negli ultimi duecento anni, uno straccio di opportunità. Credetemi (…..) possiamo blaterare di democrazia, ma in realtà un ragazzo povero in Inghilterra ha poca più speranza di quanta ne avesse il figlio di uno schiavo ateniese di emanciparsi e di giungere a quella libertà intellettuale da cui nascono le grandi opere.»

E le donne, aggiungeva la Woolf, «sono sempre state povere, non solo in questi ultimi duecento anni, ma dall’inizio dei tempi”. Lo erano in quanto non titolari della propria eventuale ricchezza; in quanto relegate in condizione di minorità, di dipendenza da un’autorità, del padre, del marito, di un fratello, di un uomo in ogni caso; e dunque non in grado di disporre in autonomia di proprie risorse.

Duecento anni. Virginia Woolf fa evidentemente riferimento a qualche data. Possiamo fare delle ipotesi.

Olympia de Gouges
«La donna ha il diritto di salire sul patibolo; ella dovrà anche avere il diritto di salire sulla tribuna.» (Olympe de Gouges, 1748 – 1793. In: «Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina», 1791)

Possiamo far iniziare la storia del percorso verso la piena cittadinanza delle donne, al 1791, quando Olympe de Gouges, scrittrice, drammaturga francese, rivoluzionaria, pubblicò la «Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina»: finì ghigliottinata; o al 1792 quando Mary Wollstonecraft (1759 – 1797) pubblicò il suo «Rivendicazione dei diritti delle donne». Le andò meglio, ma in ogni modo molto male; morì giovane, in seguito al parto della sua seconda figlia Mary, che, con il nome del marito, il poeta Percy Bisshe Shelley, sarà la futura autrice di «Frankenstein o il moderno Prometeo».

Al tempo in cui scriveva la Woolf, il tema dell’istruzione femminile in Inghilterra aveva fatto molti passi avanti. C’erano ancora limiti da affrontare, ma una donna (di famiglia benestante) poteva aspirare allo studio.

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Mary Wollstonecraft, nel ritratto di John Opie, 1797

Pure: per le donne era ancora rara e difficile, e socialmente disapprovata, l’autonomia economica, anche se legale; e risultava anche inconcepibile il disporre di un tempo – da cui, un luogo – tutto per sé. Per le donne, anche di condizione sociale elevata (per le donne povere non c’era gioco), non esisteva davvero un tempo libero da un dover essere a disposizione, al servizio: del marito, dei figli, della casa, degli obblighi sociali. Anche se in Inghilterra il voto alle donne esisteva da dieci anni, e era stato aperto loro l’accesso a molte professioni.

Sono trascorsi ottantasette anni da quel 24 ottobre 1929 in cui è stato pubblicato «Una stanza tutta per sé», Cinque giorni dopo, il 29 ottobre 1929 crollava la Borsa di New York. La Grande Depressione affrettava la corsa dell’Occidente verso la Seconda Guerra Mondiale, di cui Virginia non vedrà la fine. Il 28 marzo del 1941, terminato il suo ultimo libro, «Tra un atto e l’altro», le tasche riempite di sassi e le acque del fiume Ouse posero fine al suo male di vivere.

Virginia non poté vedere, al di là della guerra, nascere un nuovo mondo per le donne. Non vide il balzo, che spostò i termini del problema, nel piccolo mondo occidentale, verso nuovi obiettivi in una lunga lotta non ancora conclusa – che non potrà esserlo fintantoché non riguarderà tutte le donne del mondo, non una piccola area di privilegio stabilmente infettata, stabilmente a rischio, per il permanere di una pandemia mondiale.

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Monumento a Florence Nightingale, Londra

Ma ritornando a quel 1929  – vogliamo dirlo? Se Virginia Woolf ha potuto invitare le giovani donne che ascoltavano la sua conferenza, a provvedere, sia pure con un qualche fatica, ad assicurarsi un’istruzione, a impegnarsi in un lavoro da cui trarre un reddito sufficiente, ciò è avvenuto in forza di miglioramenti nella condizione femminile raggiunti anche per merito di una guerra: Crimea (1853 – 1856). Parrà strano ma è così.

La guerra di Crimea, per la maggior parte di noi credo sia, oggi, solo un vago ricordo di scuola. Innanzitutto non ricordiamo il motivo (il controllo dei Luoghi Santi!) che oppose alla Russia una strana alleanza composta da Impero ottomano, Francia, Regno Unito, Regno di Sardegna. Ma, soprattutto, il libro di Storia solitamente non ci dice che fu la guerra, fu il campo di battaglia di Sebastopoli, che portò al successo la battaglia di Florence Nightingale (1820 – 1910), per creare una professione infermieristica moderna, fattore essenziale di riduzione della mortalità negli ospedali. E per istruire donne alla nuova, moderna, professione.

La guerra, e il fatto che, in tali evenienze, per i motivi più diversi, le donne diventano utili e persino indispensabili perché gli uomini possano dedicarsi, liberi da altri impegni, ai loro massacri, negli ultimi due secoli ha aperto spazi  alle donne, divenendo un acceleratore per la conquista dei diritti civili. La professione infermieristica, qualificata, femminile, ha costituito un importante fattore di accesso delle donne al mondo delle professioni.

Poi, la Grande Guerra vedrà le donne sostituire i compiti maschili nella produzione e, certo, le vedrà anche rientrare a casa a fine guerra, quando si dovette restituire agli uomini il lavoro. Ma non tutte. Non in silenzio. Le donne ora conoscevano le proprie capacità. E i vantaggi di esprimerle.

In Italia e in Germania il nazifascismo fermò la lotta. Ma il mondo occidentale aveva preso una strada, lenta, incompleta, senza ritorno. La fine della Seconda guerra mondiale avviò, con il diritto al voto anche per l’Italia, un percorso ad oggi non concluso e che tuttavia ha raggiunto gli obiettivi storici del movimento femminile.

Ma, qui, mi interessa far osservare un dettaglio interessante. Di Florence Nightingale sappiamo due cose, la seconda delle quali molto importante: che apparteneva ad una famiglia ricca e colta; e che, dopo aver superato una forte opposizione familiare alla propria scelta di rifiutare il matrimonio per dedicarsi alla cura degli ammalati, ricevette dal padre una rendita annua di cinquecento sterline – si era all’incirca al tempo della Guerra di Crimea – perché il suo impegno, libero da vincoli economici, potesse realizzarsi.

E, oltre all’eroico impegno suo e delle trentotto donne che la seguirono nell’inferno della guerra di Crimea, oltre a divenire la mitica ‘signora con la lampada’, che girava di notte tra le baracche dell’ospedale da campo a portare conforto e aiuto competente, fondò la scuola per infermiere, raccolse importante documentazione statistica, scrisse, fu una grande scienziata nel suo campo.

Era il 1851. La Woolf sarebbe nata trent’anni dopo, ma la storia dell’accesso della donna ai diritti di cittadinanza aveva già indicato lo strumento principe di cui occorreva dotarsi per andare in guerra: Il lavoro. L’indipendenza economica. E l’istruzione.

Non sarà un caso: le generalesse di questa guerra hanno usato tutte l’arma della penna per combattere. Si è trattato sempre di scrittrici.