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Ho scritto e cancellato almeno 4 articoli, nella disperata ricerca di una forma narrativa che mi permettesse di condensare in una pagina le immagini e le sensazioni del nostro viaggio in Cina. Ma come si può condensare un paese da più di 1 miliardo e mezzo di abitanti e 55 etnie; un paese che va dai -155 metri della depressione di Turpan ai più 8850 del monte Everest; con megalopoli futuristiche e villaggi fermi nel tempo; un paese dove puoi trovare tutto e niente; dove no vuol dire sì e sì vuol dire forse; un paese di autostrade perfette che finiscono in mulattiere impraticabili; di pale eoliche e di fabbriche super inquinanti; un paese di riserve naturali e dighe mozzafiato; di yak e di banane; di SUV e motorini elettrici; un paese di pastori e business men; di città che prima non c’erano ma ora ci sono ma poi non ci saranno più; di piste ciclabili e strade impercorribili; un paese militarizzato ma ognuno fa un po’ come gli pare; dove le regole sono severe ma basta non seguirle; un paese dove tutto è impossibile ma possibile; dove ogni cosa è l’imitazione dell’imitazione; dove il falso è vero e viceversa; un paese dove tutto è vendibile singolarmente persino la singola bustina di sali minerali; un paese dove in cucina abbinano di tutto tranne che la carne con il pomodoro; un paese altamente tecnologico ma con il più importante blocco internet al mondo; di giovani con il cellulare di ultima generazione e famiglie che non hanno la corrente elettrica; un paese di selfie ma non fotografabile; un paese di atei, musulmani, buddisti e animisti; un paese di birra e vino di riso; di cay e caffè; un paese di donne che ballano in strada e lavorano nei cantieri; di risaie e cave; di paesaggi mozzafiato e immondezzai sconvolgenti; di sorrisi e lacrime; di salite faticose e discese faticosissime; di pioggia, sole e vento; un paese del “questo solo qui lo puoi vedere” e ” andiamo ma voglio restare “; un paese senza il quale il mondo avrebbe la metà del colore?

La strada che abbiamo percorso ci ha portati a pedalare in zone poco conosciute alla maggior parte dei cicloviaggiatori. Partiti da Yushu abbiamo attraversato il Qinghai, Sichuan e Yunnan, scalando passi al di sopra dei 4000 metri su strade sterrate che spesso ci hanno costretto a scendere di sella e spingere, ed a mettere in dubbio la fattibilità del percorso scelto. I primi 18 giorni sono stati una corsa verso Shangri-La, verso il paradiso del rinnovo del visto. 18 giorni senza nemmeno un giorno di riposo, allietati dalla vista mozzafiato delle montagne tibetane e dagli innumerevoli “Tashi Delek” (buona strada) urlati da bordo strada, dai camioncini e dalle motorette; dalla curiosità di chi non ha mai visto due occidentali nella propria vita e nonostante la difficoltà di comunicazione è pronto ad aprire la porta di casa per offrire un riparo dalla pioggia ed un pasto semplice.

Scesi dai 4900 metri del Tro La Pass, forse il passo più spettacolare che abbiamo fatto fino ad oggi, ci siamo ritrovati lungo le dure sponde del fiume Jinsha, ad un tiro di schioppo dal territorio a noi proibito: la Regione Autonoma del Tibet. La strada è un trattino grigio su Google.maps e la nostra mappa off line nemmeno la riporta. Ma esiste ed è bellissima.

Gli ultimi chilometri per Shangri-La sono i più duri. La salita di per sé non presenta grosse difficoltà, 60 chilometri con pendenze fattibili. Ma la stanchezza e l’ansia di un visto in scadenza mettono a dura prova gambe e testa. Stiamo quasi per mollare quando ci raggiunge un sorridente ciclista cinese, anche lui diretto a Shangri-La. Grazie al suo spirito positivo ed ai suoi incoraggiamenti riusciamo a raggiungere la meta e concederci così il meritato riposo. Rinnovato il visto e rinforzato il fisico ci lanciamo alla scoperta del Mekong, Lancang in cinese. Fiume che evoca l’esotico solo a nominarlo, che nasce sulle alte terre tibetane e sfocia in Vietnam dopo aver attraversato 6 stati.

Sono chilometri di puro piacere, pedaliamo sospesi sull’acqua, su sponde alte e ripide, sconsigliate a chi soffre di vertigini e chi teme le frane. La maggiore difficoltà è la carenza di spiazzi per campeggiare e ci troviamo quindi spesso a chiedere ospitalità a chi vive in questa parte difficile di mondo. Sentendoci spesso a disagio nel trovarci ospiti di chi non ha niente (né acqua corrente né luce) ma è desideroso di darci tutto.

Ritorniamo alla civiltà nell’anonima città di Baoshan, dove, per la prima volta in Cina, veniamo cacciati da tutti gli alberghi in quanto non adibiti all’accoglienza di stranieri. Come sempre a tirarci fuori dai guai è la gentilezza delle persone del posto. Una famiglia, gestore di un ristorante-albergo, ci offre ospitalità nonostante il rischio. La multa da pagare in caso la polizia scopra la nostra presenza è davvero molto alta.

Da Baoshan in poi siamo fuori dalle montagne, il clima tropicale del sud dello Yunnan comincia a farsi sentire. L’umidità è altissima e la vegetazione sta cambiando vistosamente. Dai brulli altopiani del Sichuan, siamo passati alle foreste subtropicali nei pressi di Shangri-La per arrivare alle immense piantagioni di banane dello Xishuangbanna. Siamo ai tropici, si sente e si vede! La quantità di etnie in questa regione della Cina è altissima, l’influenza dei vicini Myanmar, Laos e Tailandia si vede nelle costruzioni, negli abiti e nei tratti somatici delle persone.

A Jonghong prendiamo fiato prima di salutare definitivamente questo enorme paese. Assistiamo ad una lotta tra galli, facciamo spesa, per la prima volta in 2 mesi, in un supermercato degno di questo nome (niente potrà mai immortalare il momento in cui abbiamo trovato l’olio d’oliva!) e ci divertiamo nel continuare a ripetere a noi stessi: “Questo solo qui lo puoi vedere!”.

Ad oggi la Cina è per noi il paese dei record, dal punto più basso al punto più alto del viaggio, la distanza più lunga pedalata in un giorno, il numero massimo di ore in sella, il numero maggiore di giorni consecutivi di pedalata, velocità massima, numero massimo di giorni senza una doccia (di questo però andiamo poco fieri), maggior numero di visti e maggior numero di volte in cui ci siamo irritati per poi ricrederci!

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