La riforma costituzionale illustrata – 9 Risparmi, CNEL e Province

costituzione-italiana(pubblicato sul quotidiano Alto Adige del 3 settembre 2016 con il titolo “Risparmi, CNEL e province”)

Come più volte ricordato, i pilastri della riforma sono da un lato la modifica del bicameralismo e dall’altro la configurazione di un nuovo sistema di relazioni tra Stato e Regioni. Ciò nonostante, vi sono anche altri aspetti minori, alcuni dei quali molto pubblicizzati nel dibattito rispetto alla loro portata reale, altri invece sicuramente importanti ma assai meno noti.

Tra i primi vi sono la riduzione dei cosiddetti costi della politica, l’abolizione del CNEL e la soppressione delle Province. Sul “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni”, che appare vistosamente, insieme alla “riduzione del numero dei parlamentari” nella rubrica della legge costituzionale su cui si terrà il referendum, gli interventi sono tre: a) la riduzione (da 310 a 100 o poco più) dei senatori, con relativa soppressione delle indennità (attualmente l’8% dei costi complessivi del Senato); b) la “integrazione funzionale” delle amministrazioni di Camera e Senato prevista dall’art. 40 c. 3 della legge di riforma, per ridurre duplicazioni e c) la discussa previsione (art. 40 c. 2) secondo cui “non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali”: una disposizione detta “taglia-portaborse” che però può anche compromettere il funzionamento dei Consigli stessi, oltre a comprimerne sicuramente l’autonomia (da notare che si applica anche alla Regioni speciali).

L’abolizione del CNEL elimina un organo che mai ha svolto il ruolo pur importante che la costituzione gli ha affidato. Sempre poche sono state le sue iniziative legislative (in media una all’anno), raramente poi giunte ad approvazione, ma certo si tratta di un’istituzione figlia di un’altra epoca che tuttavia ha prodotto molti lavori interessanti. I suoi dipendenti saranno trasferiti alla Corte dei conti ed un commissario gestirà la liquidazione del patrimonio immobiliare.

Quanto alla soppressione delle Province, in realtà la riforma si limita a cancellare il riferimento alle stesse nel testo della Costituzione, così che queste non saranno più organismi costituzionalmente necessari. Resteranno tuttavia regolate (per le Regioni ordinarie) dalla legge dello Stato, in particolare dalla cd. legge Delrio (56/2014), che ne ha profondamente modificato la natura ma non le ha appunto abolite. In conseguenza, la norma transitoria (art. 40 c. 4) stabilisce una sorta di competenza concorrente (nonostante questa categoria venga formalmente abolita…) per la disciplina dei nuovi “enti di area vasta”, per i quali la legge statale fissa i profili generali (l’ha appunto già fatto la legge Delrio) e le Regioni, “tenuto conto anche delle aree montane”, intervengono con “ulteriori disposizioni”. Insomma, un ente intermedio tra Comuni e Regioni rimane, solo con un altro nome e con funzioni diverse ma in realtà già modificate. In definitiva, su questo punto vi è una certa dissociazione tra il messaggio politico e la realtà normativa del testo di riforma. Tra l’altro, non appare chiara neppure la logica per cui le Province non sono più enti costitutivi della Repubblica mentre rimangono tali le Città metropolitane, che altro non sono che gli ‘eredi’ delle province delle dieci maggiori città delle regioni ordinarie.

Le modifiche meno note ma forse più importati riguardano diversi aspetti. In primo luogo si prevede una sia pur debole costituzionalizzazione dei diritti delle minoranze parlamentari, pur rinviandone integralmente la disciplina concreta ai regolamenti parlamentari. Inoltre, le leggi elettorali di Camera e Senato dovranno promuovere “l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza” (al pari di quanto già previsto dal 2001 per le leggi elettorali delle Regioni), così colmando definitivamente una lacuna a livello costituzionale. Si aggiunge poi il principio di trasparenza della pubblica amministrazione che, per quanto già acquisito in dottrina, giurisprudenza e nella legislazione ordinaria, rappresenta una indicazione di intenti potenzialmente importante.

Non può mancare di segnalarsi, come fatto dalla dottrina più attenta, anche ciò che la riforma non prevede. In particolare, non si interviene sulla prima parte della costituzione (che pure necessiterebbe di un po’ di manutenzione), né sull’ordinamento giudiziario, né sui poteri del governo, né si toccano aspetti quantomeno dubbi come la riserva di seggi per gli italiani all’estero (o, per alcuni, le autonomie speciali, malviste da molti). Questo soprattutto perché la scelta politica di fondo è stata di concentrare la riforma sui due interventi principali (bicameralismo e rapporto Stato-Regioni). Scelta comprensibile, visto che gli interventi strutturali sono sempre falliti (l’ultimo nel 2006), che inevitabilmente ha comportato una certa mancanza di sistematicità e un drafting spesso zoppicante, ma che ha il merito di limitarsi ai soli aspetti organizzativi della macchina costituzionale.

 

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