#pedagogiaescuola – La scuola e la cultura dei pari – Simone Lanzi

Foto: Autori blogging Day febbraio 2014 "Pedagogia e Scuola"Vania Rigoni - La bottega della pedagogista: Cristina de angelis e Celenia CiampaAlessandro Curti - Labirinti pedagogici: Marisa LenardonMonica D'Alessandro Pozzi - Trafantasieapensieroazione blog: Silvana SassoElisa Benzi - Indialogo: Marco La ViaMonica Cristina Massola - Ponti e derive: Rita Pastori e Nadia FerrariAnna Gatti - E di Educazione: Denise Paroni e Cristina MaggiManuela Fedeli - Nessi Pedagogici: Fabio Regis e Silvia SalomoniSylvia Baldessari - Il Piccolo Doge: Pasquale Nuzzolese e Paola Andrea Torres AmayaChristian Sarno - Bivio Pedagogico: Luca Franchini e Federica VerganiLuca Franchini - Allenare Educare: Alice Tentori e Alessandra BarbutoInviare il proprio contributo a snodipedagogici@gmail.com entro il 23 febbraio.Per dubbi o chiarimenti fare riferimento al blogger che vi ospiterà contattandolo privatamente.Grazie a tutti!Mi ha sempre affascinato l’idea di lavorare in una scuola libertaria non statale. Quello che mi colpisce però da queste esperienze in Italia è l’aspetto privato (etimologicamente di tolto al comune). Una coppia di genitori non aveva mandato sua figlia a scuola e, arrivata in III elementare, si chiedeva se non si stesse perdendo qualcosa nei processi di socializzazione. La più grande opportunità  educativa nella scuola elementare è la possibilità di avere amici diversissimi, per cultura e classe sociale. La più grande sfida educativa della scuola – nonché obiettivo dichiarato nelle Indicazioni nazionali per il curricolo – non è forse il creare dei cittadini attivi e consapevoli? E’ luogo comune pensare che in fondo la scuola non debba educare e che per fare i maestri (insegnare a leggere, scrivere e fare le operazioni) non ci voglia chissà quale abilità.

Mio padre mi racconta come a Milano negli anni quaranta gli alunni della sua classe venissero dalle parti più svariate del mondo e così imparò il milanese anche da un cinese. La loro maestra poi spingeva i più bravi a fare i compiti con quelli meno bravi. Una proposta del genere al giorno d’oggi suona molto impegnativa; bisogna fare le coppie di studio, dirlo con un mese di anticipo ai genitori in modo che le famiglie verifichino le loro agende del tempo libero e trovino l’incastro giusto. Ma si può fare.

A scuola si fanno anche le valutazioni in base allo sviluppo delle capacità di lavoro di gruppo e di cooperazione, visto che queste competenze sono richieste nel Curricolo. I gruppi classe dipendono non solo dalle diversità degli alunni ma anche dallo stile educativo impresso da chi ci lavora insieme. Come insegnante di sostegno, ho il privilegio  di sostituire le colleghe. Mi capita di andare in classi dove, finito il compito assegnato, corretti i primi 2 alunni, questi poi correggono gli altri compagni. Non c’è bisogno di dirlo: chi ha finito sa che può, anzi deve, aiutare. Un buon insegnante sa che un suo pari spiegherà spesso meglio dell’insegnante.  Qualcuno lo spiegò negli anni 30.

A Barbiana era la norma. In queste classi guardare sul quaderno del vicino non è un reato!

In altre classi invece se chiedi quali sono le regole ti rispondono che sono scritte e appese ma a stento qualcuno le sa ripetere. Le regole – si sa – possono essere date o condivise. Ci sono classi dove si può parlare insieme per quasi due ore, altre invece dove dopo pochi minuti siamo all’imitazione della TV e del parlamento, cioè rissa verbale sconclusionata. Eppure il diritto alla parola è sancito dalla costituzione e dal Curricolo, che la pone al pari della matematica e dell’italiano.

Le classi competitive e quelle cooperative si contraddistinguono, ma non che siano due qualità opposte. Ci sono molte scuole dove si gioca anche 3 ore per imparare scienze. Tanto meno è vero l’adagio per cui se si lavora in gruppo vengono sacrificati i migliori che possono invece emergere proprio in contesti fortemente cooperativi, con stimoli extra, con compiti in più, con approfondimenti, con il compito di aiutare chi resta indietro. Avere più capacità può significare avere più responsabilità.

La scuola educa come contesto di pari. Ciotti racconta che a Palermo in una scuola è arrivata una bambina sordomuta. Settecento bambini hanno deciso di imparare il linguaggio dei sordomuti, una nuova materia insegnata per un anno fuori dall’orario perché non era con l’insegnante di sostegno che si sarebbe ridotta la distanza comunicativa tra pari. L’esercizio della democrazia non è la scorciatoia veloce di fare alzare le mani e votare per maggioranza sul da farsi, ma l’esercizio difficile di trovare la soluzione insieme. Di nominare e affrontare i problemi, magari con il famoso cerchio. Qui esce la soluzione che tiene insieme se la domanda è posta bene. Per fortuna questo esercizio di democrazia continua nelle scuole italiane nonostante gli attacchi dai vertici istituzionali, nonostante le volontà di ridurla a campo di addestramento, nonostante la svalutazione della funzione docente. Nonostante i processi schizofrenici della globalizzazione che da un lato esigono una scuola personalizzata (PEI, PDP, BES, etc…) dall’altra una scuola standardizzata con competenze trasversali misurabili in tutto il mondo (PISA, INVALSI, etc…). E nonostante i processi di individualizzazione postmoderni, devastanti per le giovani menti assorbenti.

La scuola è educativa in primo luogo perchè è un ambiente, poi perché è pieno di paria da cui potere apprendere, infine perchè, se non sei sfortunata/o, hai anche degli insegnanti che ti cambiano in meglio la vita e ti trasmettono una passione. Così è stato per me, mi auguro lo sia per molti/e altri/e.

Simone Lanza  (http://globildung.wordpress.com)

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