Sognando la Grecia?

I giornalisti e gli opinionisti possono parlare quanto vogliono di blocco nero ma in Grecia stiamo assistendo ad una vera insurrezione popolare dagli esiti incertissimi. Il dato positivo è dunque quello di una rivolta di massa dove l’autorità viene messa in discussione da chiunque: anarchici, comunisti, abitudinari dell’astensionismo, pensionati, operai, piccoli imprenditori caduti in disgrazia, insegnanti, studenti, disoccupati, precari, uomini e donne indistintamente dall’età e dal ceto sociale. Si tratta di uno scontro frontale, un’autentica lotta di classe che afferma “noi da una parte voi dall’altra”, lotta la quale non potrà non incidere profondamente sul sistema capitalistico greco e di riflesso su quello europeo.
La Grecia ci ricorda che noi all’interno di questo modo di produzione abbiamo principalmente quattro possibili vie da intraprendere: l’accettazione incondizionata dello status quo, lo spettacolo del riformismo, l’evasione e lo scontro frontale.
Mentre la prima strada è dominata dalla mancanza di qualsiasi criticità e praticità, al di fuori dello schema del produrre e consumare, lo spettacolo del riformismo si presenta ingannevolmente come una prassi di opposizione: raccogliere firme, presentare una petizione al sindaco/ministro/prefetto, ergersi a difesa di una costituzione che cela con la sua ben costruita retorica formale il fatto che sostanzialmente noi saremmo sempre all’interno di questa democrazia rappresentativa solamente carne da macello per gli interessi della classe dominante, scioperare per qualche ora, partecipare ad una “sfilata autorizzata” con comizio finale e poi tutti a casa come se nulla fosse successo, convinti di aver la coscienza apposto fino al prossimo evento organizzato. Il sindacalismo e il riformismo hanno fallito! Essi hanno fallito perché i suoi attori non sono altro che burocrati i quali operano all’interno del sistema stesso, partecipano nella legalità delle sue regole e non minano al nucleo il modo di produzione capitalistico stesso. Anzi essi lo rafforzano cercando di legittimarsi ai suoi occhi ed accettandone esplicitamente o implicitamente il funzionamento repressivo e sfruttatore.
L’altra alternativa, che già entra in modo decisivo nella sfera della prassi attiva, è l’autoemarginalizzazione, la “fuga” dal sistema, il formarsi di piccole comunità autarchiche che si autoproducono tutto il necessario dal punto di vista energetico ed alimentare cercando di limitare al minimo i rapporti con l’esterno capitalistico. Esse così facendo accettano però l’impossibilità di realizzare un rifiuto totale della situazione dominante e quindi finiscono autoreferenzialmente solo per praticare quotidianamente un rifiuto parziale rimanendo comunque inevitabilmente all’interno del medesimo presente che sfidano. Esse non vanno dunque intese come dei laboratori rivoluzionari, non tendono completamente al radicale mutamento condiviso, bensì come dei laboratori di resistenza.
Infine abbiamo lo scontro frontale, la lotta di classe. E la Grecia ce l’ha ricordato con la sua vicinanza geografica e culturale. Ci mancava da tempo un esempio così prossimo. Ecco lo spettro tornare ad aggirarsi anche tra i nostri discorsi, i nostri progetti, le nostre strade di provincia. La Grecia si spera ci abbia ricordato soprattutto due cose: la necessità dell’unità della lotta (troppo spesso qui da noi si rovinano molti percorsi interessanti per problemi di volontà di egemonia!) e l’inganno della democrazia rappresentativa. Dobbiamo arrivare con la merda fino a sopra il collo per svegliarci da questo torpore consumistico che ci domina e finalmente riuscire a riunirci anche noi contro chi ci deruba del nostro tempo e della nostra possibile storia?! La lotta di classe è lotta del popolo sfruttato, della stragrande maggioranza della popolazione che vive salariata o disoccupata senza il possesso di alcun mezzo di produzione, con solamente la propria forza-lavoro da vendere a qualsiasi costo per non morire di fame. La vita, si sa, è breve, è tempo che scorre rapidamente e rapidamente si esaurisce: allora perché mai noi dovremmo vivere solo per interessi altrui, all’interno di una realtà che fin dalla nascita ci imprigiona in precisi ruoli di sottomissione? Noi facciamo parte di quella precisa classe che il potere politico, braccio esecutivo del potere economico e finanziario, zittisce inneggiando ad una necessaria ridistribuzione democratica delle fatiche, dei tagli e delle sofferenze: ma c’è mai stata democrazia nelle scelte precedenti e ridistribuzione dei guadagni precedenti?! Noi cosa abbiamo ricavato da tutto quel debito venutosi a formare negli anni? Poco o nulla: quindi dobbiamo poco o nulla non tutto! La Grecia è l’esempio lampante del fatto che nei periodi di crisi la politica giunge irrimediabilmente fino al punto di privarsi della propria maschera pacifista ed assistenzialista dietro la quale si era nascosta fino a poco prima e allora diventa disposta a qualsiasi cosa per raggiungere il suo fine conservatorio: essa dà l’ordine di sparare sulla folla, privatizza i beni comuni, licenzia senza fornire alcuna assicurazione per l’avvenire, etc. Tolta questa maschera ufficiale si palesa ai nostri occhi l’essenza funzionale della sovrastruttura politica all’interno del modo di produzione vigente: il predominio dell’interesse privato su quello collettivo e il fatto che il dialogo va bene finché non intralcia materialmente le idee e gli utili della classe dominante. Non possiamo pertanto aspettarci dal sistema ciò che il sistema non potrà mai realizzare, ossia che esso giunga per magia alla propria autonegazione ed autodissoluzione; non possiamo nemmeno aspettarci maggiore eticità dal capitalismo perché esso è un incessante processo fondato sullo sfruttamento, la proprietà privata, la concorrenza, la guerra, il profitto e, soprattutto, l’accumulazione, e l’accumulazione nasce inevitabilmente dal plusvalore, ossia su quel furto originario da cui tutto il ciclo ha potuto iniziare, legittimarsi e riprodursi di continuo. Noi quindi non dobbiamo sognare la Grecia, noi dobbiamo comprendere, prevedere, unirci e fare precise scelte già da ora affinché finalmente la nostra vita possa cominciare ad autodeterminarsi autonomamente, al di fuori di una precisa realtà economica che da quando è sorta ha cercato di convincerci di essere eterna ma che in fondo così non è né potrà mai essere, poiché nulla su questo mondo fatto di caduca materia è né potrà mai essere eterno.
Poi ognuno sceglie la sua strada, a suo rischio e pericolo. Ma nessuno potrà mai accusarci di non aver detto queste cose e fatto queste altre: siamo tutti responsabili del nostro futuro e la realizzazione di esso, che vi piaccia o no, comporta inevitabilmente la lotta poiché dalla mancanza di movimento non si è mai venuto a costituirsi alcun cambiamento cosciente. Volete lasciare ancora una volta in mani altrui la sorte della vostra esistenza e di quelli che vi stanno intorno?!

Di AEC

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