Il picco del fosforo: di che si tratta? (1 parte)

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Claudio Della Volpe

C’è una cosa sbagliatissima da fare quando si considerano le risorse; ed è di calcolarne il futuro pensando che siano come un rubinetto da aprire con un serbatoio a pressione costante a monte, come l’acqua o il gas della cucina; so quanto ce n’è, lo divido per quanto ne consumo e so per quanto tempo ne ho ancora. Divisione semplice sembrerebbe.

Questo è quanto pensano i nostri politici e anche parecchi dei nostri colleghi che non si occupano del tema. E anche qualcuno di voi lettori. Forse.

Ma le cose non stanno così.

Lo so; i problemi dei rubinetti che riempiono i serbatoi sono fra i peggiori dei nostri ricordi di infanzia; eppure già fra quelli ce ne sono di interessanti; se aveste un serbatoio di date dimensioni e apriste un foro nella sua parete, già in quello succederebbero due cose che hanno a che fare con le vere risorse, ma non con la idea favolistica, che spesso se ne ha e che sta dietro a quella divisione di cui si diceva prima.

Se aveste un serbatoio come quello che dicevo succederebbe per esempio che mano a mano che lo scaricate la pressione del liquido e quindi la sua velocità di efflusso dipenderebbe dalla differenza di altezza fra il pelo libero e il foro e quindi la pressione di uscita e conseguentemente la sua velocità di efflusso dipenderebbe dal tempo: più ne estratete, meno ne esce; non solo. Quando siete arrivati a livello del foro nel serbatoio ce n’è ancora ma non ne esce più. Siete obbligati o a smettere di usare il serbatoio o a fare un altro foro più in basso.

La foronomia, una parte dell’idraulica applicata, è la disciplina che studia i dettagli dell’efflusso di un liquido da un serbatoio e che è perfino oggetto di studio nel laboratorio di Chimica perchè in applicazioni industriali il problema considerato non è affatto dappoco.

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200px-TorricellisLaw.svgVoi ricordate certamente per esempio che la velocità di uscita di un liquido da un foro di un serbatoio fu ottenuta per la prima volta da Torricelli nel 1643 con un calcolo che fu poi generalizzato da Bernoulli, tramite il suo teorema; il teorema di Bernoulli esprime la conservazione dell’energia nel moto di un fluido.

La foronomia è una scienza molto specialistica, che ci dice per esempio che se ho un serbatoio fatto come si diceva prima e come rappresentato nella figura la portata varia linearmente nel tempo e l’altezza del fluido nel serbatoio secondo una legge non lineare.

fosfo2(da Analisi di Sicurezza dell’industria di processo, Gigliola Spadoni cap. 8)

I dettagli della forma del foro, il suo raccordo col serbatoio e tanti altri dettagli assumono un ruolo determinante nel rendere il sistema apparentemente semplice un oggetto tanto complesso da richiedere una preparazione specialistica.

La situazione delle risorse minerali ed in genere delle risorse richiama un po’ questa, ma in effetti è ancora più complessa, perchè, per continuare la analogia, allargare il foro o aumentare la pressione interna del serbatoio, per lasciarne costante o farne crescere la velocità di efflusso oppure fare altri fori più in basso implica, nella maggior parte dei casi sforzi non banali. Appare quindi veramente assurdo voler ridurre tutto ad una semplice divisione; purtroppo questo è quanto fanno spesso i politici, ma anche certi studiosi.

Anzitutto diciamo che ci sono due tipi di serbatoi a cui attingiamo; in un caso essi si riempiono con una velocità maggiore di quella con cui li vuotiamo; nell’altro caso invece la loro velocità di svuotamento supera quella di riempimento; le due risorse, con concezione totalmente umanocentrica, vengono definite rispettivamente rinnovabili e non rinnovabili

Una risorsa naturale sovrausata, consumata più velocemente della sua capacità di riproduzione segue un andamento che può essere simulato da una curva a forma di campana: è un comportamento fortemente idealizzato si intende, ma fa comprendere la situazione. In pratica all’inizio del processo si usa la risorsa a partire dalle sue forme più comuni ed abbondanti, si raffina la tecnica e si incrementa la capacità di estrazione, sottrazione o ”produzione” della risorsa; questo spiega la crescita di tipo esponenziale che si verifica all’inizio; mano a mano che tale tecnologia viene raffinata però si tende a raggiungere la massima velocità di “estrazione” compatibile con la riproduzione e la distribuzione della risorsa. Questo momento rappresenta il massimo valore della capacità di estrazione; l’impoverimento della risorsa dovuto alla crescente difficoltà di estrazione (per la riduzione della sua presenza i costi economici ed energetici aumentano) fa il resto.

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(grafico tratto da “Il picco del petrolio non è un cigno nero”di C. Della Volpe in uscita sul numero di dicembre di Sapere)

Nella parte destra della curva, nonostante la capacità tecnologica sia ormai matura, non si riesce a superare più il valore raggiunto al picco, che non rappresenta quindi la fine della risorsa, ma solo il raggiungimento della capacità massima di estrazione o come si dice comunemente di “produzione” (sebbene non si produca un bel nulla, ma piuttosto si consumi qualcosa).

Il prezzo della risorsa va crescendo nella parte destra con una serie di forti oscillazioni e crescenti difficoltà, mentre si cerca di trovare un sostituto a prezzo ragionevole.

La parte destra del grafico può essere più ripida della parte sinistra; il matematico di Padova Renato Guseo ha modellato questo effetto che Ugo Bardi ha chiamato effetto “Seneca”:

“Sarebbe una consolazione per la nostra debolezza e per i nostri beni se tutto andasse in rovina con la stessa lentezza con cui si produce e, invece, l’incremento è graduale, la rovina precipitosa.”Lucio Anneo Seneca, Lettera a Lucilius, n. 91

L’effetto “Seneca”, ossia l’asimmetria del picco dipende dai dettagli del processo, primo fra gli altri dal tentativo di spremere il più possibile le risorse che abbiamo già scoperto.

Cerchiamo di applicare queste riflessioni alla questione fosforo. Il fosforo, l’elemento di numero atomico 15, è il 13esimo come abbondanza nella crosta terrestre (~0.1%).

Esso ha una particolarità fra le mille risorse minerarie che usiamo; non è fungibile. Cosa vuol dire? Vuol dire che mentre, poniamo, potremmo sostituire il mercurio col gallio nei termometri a liquido (almeno per un po’) oppure il rame con l’alluminio nei conduttori elettrici, gli usi del fosforo sono così specifici che non se ne può proprio fare a meno; eh si perchè il fosforo è presente come tale nelle nostre ossa e denti, nel DNA ed RNA, nell’ATP, AMP e derivati vari. Non si conoscono sostituti di queste molecole così particolari, almeno non al momento; perfino il nostro codice genetico è scritto usando anche atomi di fosforo.

Vabbè mi direte, ma se è presente allo 0.1%, ossia 1 kilogrammo per tonnellata di crosta in media, dove è il problema?

La percentuale media di fosforo nelle rocce sedimentarie più comuni ne rende poco produttiva la estrazione; per ottenerne ogni tonnellata dovreste processarne mille tonnellate; si usa quindi il fosforo estratto da minerali che ne contengono una percentuale significativa, rocce che si chiamano fosforiti.

La fosforite è una roccia sedimentaria chimica (o non-clastica, ossia non ottenuta dalla sedimentazione di granelli o pezzi di roccia sia pur microscopici, ma dalla precipitazione di ioni in soluzione) che presenta alte concentrazioni dei minerali del fosforo. Il contenuto di fosfato della fosforite deve essere almeno del 15-20%, contro lo 0.1-0.2% delle rocce medie. Il fosfato è presente come fluorapatite Ca5(PO4)3F o idrossiapatite Ca5(PO4)3OH, spesso di origine organogena mentre la fluorapatite è di origine idrotermale.

Tenete presente che spesso poi il contenuto di fosforo nella roccia è descritto dalla abbondanza di un suo composto di riferimento: P2O5 per esempio (nei dati USGS, il servizio geologico degli USA, tipicamente) oppure come fosforo equivalente.

In una tonnellata di fosforite al 25% di fluoroapatite per esempio, il fosforo come tale sarebbe presente in una quantità dell’ordine del 20% del composto e quindi un totale di circa 0.25×0.20=(1/4 x 1/5)=1/20=0.05, il 5% del totale, ossia 50kg. Attenti quindi ai calcoli stechiometrici necessari a comprendere le tabelle dei dati. Quindi in una tonnellata di fosforite c’è 50 volte più fosforo che nelle rocce qualunque.

Quanta fosforite c’è nel mondo(1)? E come si forma?

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The global phosphorus cycle, G.M. Filippelli, Rev. Min. Geochem. doi: 10.2138/rmg.2002.48.10 v. 48 no. 1 p. 391-425, 2002

Il fosforo è un elemento molto particolare perchè non ha composti comuni che siano volatili e ne segue che il suo ciclo, ossia i suoi flussi nella biosfera e nella crosta, sono legati essenzialmente al movimento di composti solidi o in soluzione e questo rende tutto il processo più lento che per altri elementi come l’azoto o il carbonio che possedendo una controparte gassosa sono in grado di realizzare flussi significativi in tempi ridotti.

Il cosiddetto ciclo del fosforo (almeno come si immagina fosse prima dell’avvento della società industriale) è rappresentato nella figura tratta da un classico della letteratura sul fosforo. Come si vede il ciclo geologico del fosforo parte dal weathering, ossia dai processi di dilavamento ed erosione delle rocce che lo portano verso il mare, dove si scioglie e/o deposita sul fondo; questi depositi vengono poi trasportati dai processi di dinamica delle zolle e vanno a ricostituire in milioni di anni i depositi terrestri.

Durante questo cammino ultrasecolare i minerali o i composti disciolti vengono assorbiti dai vegetali ed entrano in un ciclo molto più breve attraverso il ciclo alimentare degli animali; il fosforo viene escreto e ritorna nell’ambiente dove si accumula e poi viene riportato nel processo di weathering o nel deposito sul fondo oceanico; abbiamo quindi la correlazione di un ciclo a lunghissimo periodo con cicli molto più brevi sia sulla terraferma che nell’Oceano.

Una nota sulle unità di misura che nel grafico sono Teragrammi di P equivalente; ossia 1012 grammi che sono un milione di tonnellate di P equivalente; ogni tonnellata di fosforo equivalente rappresenta 20 tonnellate di fosforite quindi un milione di ton di P equivalente sono 20 milioni di ton di fosforite oppure se ragioniamo in termini di roccia comune ogni ton di P equivalente sono 1000 ton di roccia; ergo un milione di ton di P equivalente se presenti nella roccia comune sono un MILIARDO di ton di roccia comune. Ossia almeno 0.3-0.4 km3 di roccia.

Continueremo questo discorso sul fosforo in un prossimo post.

Nota 1: In Italia manca quasi completamente, avendosene solo piccoli depositi molto poveri di fosfato tricalcico nella Penisola Salentina (Capo S. Maria di Leuca, fosfati pliocenici e fosfati miocenici della pietra leccese) e nella provincia di Siracusa (fosforiti di Modica).