SILENT MANGA AUDITION – Intervista a Tetsuo Hara

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Mentre mancano ormai pochi giorni allo scadere dei termini di consegna per la terza edizione del SILENT MANGA AUDITION, iniziativa che seguo con molto interesse fin dal principio, ho deciso di tradurre la seguente intervista, pubblicata sul sito ufficiale del concorso e rivolta principalmente a tutti coloro che aspirano a diventare dei mangaka professionisti. Tetsuo Hara, papà di Ken il guerriero e uno dei principali promotori dell’iniziativa (nonché membro della giuria), sale quindi in cattedra e lancia il suo messaggio a chiunque voglia intraprendere questa strada. Buona lettura! 😉

Intervistatore: Taiyo Nakashima
Traduzione e adattamento: Squalo Densetsu

Per la seconda edizione del Silent Manga Audition abbiamo ricevuto 609 opere da 65 diversi paesi. Un bell’incremento rispetto al primo anno!

Davvero un numero strabiliante! Perfino durante l’epoca d’oro di Shonen Jump ne arrivavano al massimo 100 – 200. Chiaramente sono rimasto impressionato dalla quantità, ma anche dalla qualità! I lavori erano di alto livello, riuscivo davvero ad avvertire la passione che c’era dietro. La prima cosa che ho pensato è stata “Cavolo, il mondo è pieno di gente di talento”. Tutti gli artisti coinvolti provenivano da differenti background culturali e religiosi ma, in definitiva, ho istintivamente compreso il loro pensiero e ciò che volevano trasmettere.

Quali sono le differenze rispetto ai concorsi che si svolgono da noi, in Giappone?

Erano presenti molte opere con una bellissima impostazione delle vignette, molto diversa da quella che siamo abituati a vedere nei nostri manga. Senza i dialoghi, l’intera pagina diventava essa stessa un’immagine ed è proprio questa la cosa che ho trovato più stimolante. Hanno approfittato talmente bene della loro libertà nel creare le vignette, ricorrendo ad ogni sorta di forme e dimensioni, che ho pensato che forse dovrei provare anche io. Senza l’intralcio dei baloons, si gode di molta più libertà nel modo di disegnare la scena. C’è davvero un’infinità di modi in cui è possibile giostrare le cose e questo mi ha fatto capire che il vero fascino di un manga risiede nell’impostazione delle vignette.

Cosa ne pensa dell’aspetto “silenzioso”?

Riguardo a questo, in un primo momento pensavo che sarebbe stato un aspetto davvero difficile da gestire. Nella stragrande maggioranza dei casi, un manga presenta parecchi limiti: non c’è alcun suono e nessun colore, quindi utilizziamo parole onomatopeiche per rappresentare i suoni, per dare al lettore l’impressione di stare ascoltando qualcosa. Cerchiamo di fare del nostro meglio per creare un’atmosfera da film. Quindi togliere le parole è stata una mossa coraggiosa. Abbiamo perso uno strumento importante ma, essendo il nostro obiettivo quello di condividere questi manga con la gente di tutto il mondo, la barriera linguistica era il nostro più grande ostacolo e, considerata il numero dei partecipanti, credo che l’abbiamo superato.

Se ci fosse stato un concorso simile quand’era più giovane, avrebbe partecipato?

Certo, probabilmente avrei partecipato. Non sono particolarmente bravo con le parole o nel creare trame, mi esprimo sicuramente meglio con le immagini, quindi, se qualcuno mi avesse detto che c’era un concorso in cui non erano necessarie le parole, dove ci si confrontava solo per mezzo delle immagini, sarei stato contento di provare! Non importa da quale paese provieni, se sai disegnare puoi anche partecipare. In questo modo, gli ostacoli per partecipare al concorso sono praticamente nulli e sono convinto che sia una buona cosa, basta guardare il numero di lavori che abbiamo ricevuto. In fondo, gli artisti che riescono ad esprimersi ricorrendo alle sole immagini sono quelli che saranno poi in grado di sfruttare la vera forza dei manga. Se ti affidi troppo alle parole, le immagini perdono la loro carica espressiva. Succede spesso. Quindi sono convinto che questo concorso li aiuterà a trovare la loro strada verso il futuro. Nel nostro settore si cerca per prima cosa chi è bravo a disegnare, le parole e la trama sono cose che vengono dopo. In Giappone, per aiutarci in questo processo, abbiamo la figura dell’editor. Realizziamo il nostro manga come una squadra. Quindi, dovunque si trovino i disegnatori, a noi basta mandare degli editor per aiutarli a migliorare, espandendo la loro gamma di possibilità. E così l’industria del manga potrà crescere ancora di più. Quando ci saranno mangaka in ogni paese ed il settore diverrà fiorente, allora molte persone saranno in grado di vivere facendo ciò che amano.

Parliamo del tema della seconda edizione: “The Finest Smile” (Il più bel sorriso).

Rispetto al tema della prima edizione, “Love Letter”, questo poteva risultare un pochino più difficile. Credo che i giovani artisti se la siano vista dura con questo tema perché quando si è giovani si è anche un po’ nichilisti e si guarda a tutto in maniera più distaccata. Chiaramente non tutti sono così ma, quando ero giovane io, mi ribellavo contro quel sistema che la generazione precedente aveva creato. Non riuscivo a disegnare sorrisi e non volevo disegnare sorrisi! Negli anni successivi, quando ho realizzato Hana No Keiji, il mio editor, Nobuhiko Horie, ha dovuto dirmi più e più volte di ridisegnare i sorrisi! Grazie a questo sono diventato bravo a disegnare sorrisi e sono anche cresciuto un po’. Oggi penso che i sorrisi siano molto importanti, quindi, anche farli grandi o meno, potrebbe fare la differenza. Se vuoi essere un grande artista, devi essere in grado di disegnare alla perfezione tutti gli stati emotivi dei tuoi personaggi.

Cosa pensa dell’opera vincitrice del primo premio, “Father’s Gift” (Dono paterno)?

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Era davvero molto bella. Le immagini erano grandiose e, nella scena in cui la ragazza piangeva, era incredibilmente facile entrare in sintonia con lei. Il corpo si contrae effettivamente in strane posizioni quando si piange… riuscivo davvero a sentirne le emozioni. Riguardandolo, devo dire che nonostante la composizione fosse molto bella, all’inizio ho pensato che il sorriso del robot facesse un po’ paura. Cioé, più che il sorriso, l’impostazione della vignetta. Sembrava più il tipo di impostazione che useresti per un film horror o per un thriller. Insomma, il tema era “Il più bel sorriso”, ma c’era come un pizzico di horror. Ovviamente, se questo è ciò che l’autore voleva ottenere, allora va bene. D’altronde non c’è vita negli occhi di un robot, quindi sarebbe stato comunque inquietante a dispetto dell’impostazione. Ma è in momenti come questi che può essere d’aiuto ricevere un parere imparziale sul proprio lavoro. Anche i professionisti possono cadere in questa trappola: quando non si sentono diverse opinioni sul proprio lavoro, finisce per diventare sempre più eccentrici. Una volta mi è successo ma il mio editor me le ha cantate e mi ha fatto rifare tutto! Se avete qualcuno al vostro fianco che è in grado di darvi un’opinione imparziale, il vostro lavoro avrà più punti di riferimento e migliorerete come artisti.

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Ci sono state altre opere che l’hanno colpita?

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Mi è piaciuto “Forward” (Avanti). Le immagini erano fantastiche, ma alcuni membri della giuria ritenevano che fosse difficile da capire. Io credo che ognuno avrebbe dovuto interpretarlo a modo proprio. Era molto cinematografico, disegnato come un video e capace di restituire le stesse sensazioni. Si avvertiva anche un certo tocco femminile. A questa artista, piuttosto che dare consigli, auguro solo di continuare a crescere. Il lavoro è stato svolto con criterio, quindi davvero non è necessario per me aggiungere altro. Va bene se non si capisce. Anzi, è giusto che non si capisca. Io ci ho visto del talento puro e quindi spero vivamente che continui a disegnare.

Cosa serve ad un artista per migliorare?

Quello che posso dire, e che credo valga per tutti i partecipanti, è che sarà difficile vendere i loro manga come prodotto. Chiaramente, la qualità c’è. Ognuno ha il suo stile unico e suoi punti di forza ma, a volte, proprio questi aspetti possono rappresentare un problema. Quindi bisogna mostrare il proprio lavoro agli altri. A livello commerciale, questo è necessario per poter andare avanti. E’ importante sottoporre il proprio lavoro all’editor e ad un sacco di altre persone e ascoltare le loro opinioni. Quando fai questo, il tuo manga non può che migliorare. Prima di arrivare ad avere il mio proprio editor, ero abituato a disegnare per le riviste amatoriali e mostravo spesso il mio lavoro ad altri artisti, oppure disegnavo 4 vignette durante le lezioni e le mostravo ai miei compagni di classe. E poi partecipavo ai concorsi. All’epoca il maestro Shotaro Ishinomori dirigeva una scuola per aspiranti mangaka e fu lì che mi venne detto che, se volevo imparare la composizione, avrei dovuto disegnare parecchi manga di 4 vignette. Mi consigliarono “un manga al giorno”, cioé che avrei dovuto pensare ad un manga di 4 vignette ogni giorno. Ho provato a farlo e ci ho lavorato sopra tutti i giorni, inviando poi quei lavori ai vari concorsi. Alcune volte ho vinto ed altre ho perso ma, in tutto questo, ho appreso sempre più cosa funzionava e cosa no. Le opinioni degli altri sono davvero una mano santa per noi che facciamo questo mestiere. Chiaramente a nessuno piace essere criticato, ma ritengo sia davvero importante, perché ciò a cui gli artisti devono mirare davvero è appagare il prossimo con i propri disegni.

Osamu Tezuka e Shotaro Ishinomori

Conosciuti rispettivamente come il “Dio del manga” e il Re del manga”, non hanno in realtà bisogno di grandi presentazioni, essendo stati a tutti gli effetti i padri del fumetto giapponese. Se, infatti, il manga è oggi un fenomeno culturale così vasto, lo dobbiamo proprio a questi due uomini, che con le loro opere non hanno soltanto contribuito a creare un genere, ma hanno gettato le fondamenta sulle quali, ancora oggi, si basa il lavoro di tanti famosi mangaka.

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Quindi è davvero necessario avere a fianco una figura come quella dell’editor?

E’ proprio grazie all’incontro con il mio editor, Nobuhiko Horie, che sono riuscito a diventare un mangaka professionista. Io disegnavo gli storyboard, lui li revisionava e poi io li correggevo in base a ciò che mi diceva. Sono veramente contento che gli editor siano sempre a nostra disposizione. In Giappone questo metodo di lavoro ci aiuta a creare manga, mentre in altri paesi tutto questo non esiste, quindi gli artisti devono fare affidamento solo su sé stessi. Sono sicuro che tutti amino disegnare, ma credo che, fondamentalmente, nessuno sappia cosa dovrebbe disegnare. Tutti vogliono creare un manga incredibile, ma non tutti sanno da dove iniziare. Anche se sei bravo a livello artistico, potresti non essere così bravo in altri campi e, a meno che tu non sia davvero un genio, non puoi gestire tutto da solo.

Che differenza c’è tra i fumetti giapponesi e quelli prodotti nel resto del mondo?

I comics americani, ad esempio, sono caratterizzati da un ritmo veramente concitato. Una scena d’azione dopo l’altra che non lascia “spazio” tra le vignette e che non lascia tempo al lettore per riflettere. Perché devono strizzare così tanta trama in così poche pagine che non possono permettersi di spezzare l’azione con scene inutili. Così somigliano un po’ più a dei libri illustrati e l’impostazione delle vignette risente di ciò. Ovviamente, tra i fumettisti americani, figurano personaggi davvero di grande talento, come Neal Adams, capace di realizzare disegni stupefacenti ed espressivi ma, in definitiva, l’impostazione delle vignette è completamente diversa. I dialoghi non suscitano molte emozioni, sono più simili ad un testo esplicativo, e quindi si avverte una sorta di mancanza di vita, i sentimenti non passano. Nei manga giapponesi, invece, cerchiamo di ritrarre lo stato mentale del personaggio, quindi magari ci prendiamo un paio di vignette in più e la storia finisce per essere più lunga. Per un episodio settimanale, noi disegniamo una ventina di pagine, mentre in America, un numero mensile conta soltanto una quindicina di pagine, o sbaglio? Direi che è una bella differenza. D’altro canto, però, nei comics c’è un maggior livello di dettaglio per singola immagine. Anche le bande dessinées francesi sono così, più vicini ai libri illustrati. Credo che ciò sia dovuto al fatto che noi cerchiamo di esprimere le emozioni in maniera più cinematografica, dando vita ad una “corrente” narrativa unica. In tal senso, la “grammatica del manga” è sicuramente andata oltre. Chi ama i manga giapponesi disegna fumetti secondo questi canoni, quindi in maniera completamente diversa dai comics americani. Certo, è chiaro che sono sicuramente influenzati dai fumetti del loro paese d’appartenenza, ma l’influenza dei manga è maggiore, mi basta guardare l’impostazione delle loro vignette per capirlo. Di conseguenza, sono una specie di artisti ibridi, e mi fanno capire che gli insegnamenti del maestro Tezuka si sono veramente diffusi in tutto il mondo.

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Il modo di vedere i manga è diverso in altri paesi?

In America e in Francia i fumetti sono a colori e vengono visti come una forma d’arte e, se capiti da quelle parti, ti sentirai dire: “disegnare manga è arte”. Ma noi non la pensiamo così. Per noi si tratta di semplice intrattenimento, quindi abbiamo un modo del tutto diverso di vedere le cose. Lo prendiamo come uno svago. Credo che i giovani artisti che ci hanno inviato le loro opere siano a metà strada tra queste due scuole di pensiero: comprendono la natura di puro intrattenimento dei manga, ma allo stesso tempo ne sono innamorati. Perciò, per continuare a richiamare tanti altri con il loro medesimo talento, sono convinto che sia molto importante andare avanti con la nostra iniziativa. Dobbiamo continuare con il nostro concorso e trasformare i manga in un linguaggio universale. Quanto a come si evolverà tutto questo… sono impaziente di vedere una fusione tra manga giapponesi e manga dal resto del mondo. Credo che questa sfida, creare manga grazie ad artisti sparsi per il globo, sia unica nel suo genere. Nutro grandi aspettative riguardo alle possibilità di nuovi manga sviluppati in così tanti luoghi differenti.

Da mangaka professionista, cosa ritiene essere davvero importante?

Beh, sarà perché, al giorno d’oggi, sempre più persone leggono manga online, ma vedo che sono davvero in pochi ad elaborare scene su due pagine, mentre invece si tratta di un espediente molto importante per spingere il pubblico a proseguire con la lettura. Con una doppia pagina c’è subito l’impatto della scena complessiva, poi della parte centrale e infine dell’ultima vignetta. Ed è proprio questa vignetta nell’angolo inferiore sinistro che deve fungere da “amo” per invogliare chi legge a voltare pagina. Le vignette devono scorrere così bene che il lettore deve voler sapere che cosa succede dopo. In questo settore è assolutamente indispensabile che il lettore desideri continuare a leggere. Molti userebbero il termine “accattivante”. Innanzitutto bisogna incuriosire il pubblico perché, se non inizia a leggere, hai solo sprecato il tuo tempo, no? Così, sfogliando una rivista, un lettore potrà capitare all’improvviso su quella particolare scena, le sue mani si fermeranno, e si chiederà: “Che succede?”. A quel punto, auspicabilmente, tornerà indietro per leggere la storia dall’inizio. Quindi è davvero necessario disporre di una scena che catturi l’attenzione del pubblico,  qualcosa che lo faccia interrogare su cosa sta accadendo. Il che ci porta alla domanda: “In cosa consiste questo ‘amo’ capace di catturare l’attenzione del lettore?”. E’ questo ciò che bisogna tenere sempre a mente perché, se si mira a diventare dei professionisti, non si può semplicemente disegnare senza ragionare, supponendo le cose. Bisogna pensare a ciò che si vuole mostrare al pubblico. Quando si inizia a ragionare su come attirare il lettore, si è già fatto il passo successivo come artisti. In tal senso… guardando i lavori che abbiamo ricevuto, credo che i partecipanti disegnino ancora con un punto di vista da lettore. Essere un professionista, invece, spesso vuol dire vedere le cose dall’esterno. Possiamo paragonarlo alla via del samurai, perché l’atteggiamento da avere è molto simile: per essere un professionista, mangaka o samurai, non puoi agire semplicemente guardando ai tuoi interessi, ma devi farlo per il bene altrui. Al tempo in cui disegnavo Hokuto No Ken, ho davvero messo tutto me stesso in quei fogli di carta, ma è stato proprio perché ho dedicato tutto quel tempo alla mia opera che ho raggiunto il cuore e l’anima dei lettori.

Quindi, priorità assoluta dovrebbe essere quella di pensare a ciò che può appagare il lettore?

Esattamente. Il lettore è in cima alla lista delle priorità e, per rendere il suo piacere la nostra maggiore priorità, bisogna guardare le cose dall’esterno. Sacrificarsi… tutta la questione ruota attorno all’esserne capaci o meno. Perché non stiamo parlando di disegnare una o due storie, ma di continuare a realizzare episodi su episodi che, gradualmente, si faranno sempre più complessi. E non è assolutamente possibile prendere tutto questo alla leggera. Per i lettori, se l’autore non disegna come se da ciò dipendesse la sua stessa vita… allora non vale la pena leggerlo. Realizzare manga non è un lavoro che si può fare solo per portare a casa uno stipendio, non è questo ciò che i lettori si aspettano, perché sono avidi e pretendono sempre di più dall’autore. Quindi c’è bisogno di rendere il tutto il più interessante possibile, anche se a volte può essere un lavoro piuttosto duro.

E’ importante essere meticolosi, ma non ci si può fossilizzare su un punto

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Cosa occorre per superare i momenti di stallo?

Ad esempio, quando capita di avere in mente un’immagine che non si riesce a mettere su carta, bisogna continuare a provare ma, allo stesso tempo, non ci si può fossilizzare su quel punto. A volte basta solo lasciar perdere e provare a disegnare da un’angolazione che ci è più congeniale. Ed è giusto finché si fa del proprio meglio. Se invece si è capaci di qualcosa e non la si fa… è quanto di peggio possa capitare ad un artista. Ci possono essere momenti, nel corso della propria carriera, in cui tocca cavarsela così… per evitare di fare gli straordinari. Ma quando ciò accade, quando si sceglie la via più semplice, non si raggiunge l’anima del lettore. A quel punto diventa semplicemente uno spreco, sia del proprio tempo che di quello del pubblico. Non si raggiunge il successo disegnando roba usa e getta, perché semplicemente non venderà, almeno non in volume. No, bisogna realizzare qualcosa che resista al passare del tempo, qualcosa che i lettori continueranno ad apprezzare. Questo è ciò che il pubblico vuole e, per chi disegna. è davvero dura. Magari c’è chi non dà il 100% e, per schermirsi, racconta a sé stesso che lo fa solo per divertimento o che è soltanto un hobby. Chi vuole diventare un professionista non può cavarsela con scuse del genere, deve assolutamente cambiare modo di pensare. Ci sono un sacco di persone che si ostinano a dire “Non serve” o “Non ho bisogno di spingermi a tanto”, io per primo ero terribilmente cocciuto! Ma quando poi ho iniziato a disegnare per gli altri, tutto si è fatto molto più interessante. Smettere di guardare le cose come un semplice lettore permette di scoprire forme del tutto nuove di soddisfazione, di senso del progresso, e moltiplica la gioia. Quando hai sperimentato tutto questo, e porti a termine con successo un bel lavoro, avverti una senso di appagamento molto maggiore, perché moltiplicato dalla sintonia tra il pubblico, l’editor e te stesso.

Per concludere, in qualità di rappresentante della giuria dell’edizione 2014, quali parole vorrebbe rivolgere agli aspiranti artisti di tutto il mondo?

“Disegnate quello che vi piace” e, allo stesso tempo, “Disegnate per compiacere gli altri”. Mantenete a fuoco entrambi gli obiettivi nel vostro percorso come artisti. Cercate di rivoluzionarvi tenendo a mente ciò e abbiate sempre diletto nel disegnare.

Più metterete voi stessi nelle vostre opere e più il mondo vi si aprirà.

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