Impronte (Galati 2:15-21)

Karen Blixen, scrittrice danese, nel suo romanzo La mia Africa, racconta una storia che le avevano raccontato da bambina:

Un uomo viveva in una casupola tonda con una finestra tonda e un giardinetto a triangolo. Non lontano da quella casupola c’era uno stagno pieno di pesci. Una notte l’uomo fu svegliato da un rumore tremendo e uscì di casa per vedere cosa fosse accaduto. E nel buio si diresse subito verso lo stagno. […] dopo svariate peripezie avvertì che il rumore, (mio) proveniva dall’argine dello stagno. Si precipitò e vide che avevano fatto un grande buco, da cui usciva tutta l’acqua insieme con i pesci. Si mise subito al lavoro per tappare la falla, e solo quando ebbe finito se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestrella tonda, che vide? Con le sue orme aveva disegnato una cicogna!

“Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò anche io una cicogna?”, si chiese Karen Blixen.  Anche noi possiamo chiederci la stessa cosa: Quando il disegno della nostra vita sarà completo, cosa vedremo?  A che cosa somiglieranno le nostre impronte sul terreno? Somiglieranno a quelle di una cicogna?  Ognuno di noi lascia sul terreno della vita delle tracce, delle orme, e molto spesso, come l’uomo della storia, noi non sappiamo quale disegno verrà fuori.

Paolo sembra alquanto sicuro su quali siano le sue orme quando dice: “Noi Giudei di nascita, non stranieri peccatori”.  SI tratta di una frase: noi Giudei, non stranieri, che nella storia dell’umanità è stata utilizzata miriade di volte, cambiando semplicemente i termini, ma mantenendo la stessa struttura: noi fiorentini, non pisani; noi italiani, non stranieri; Noi!, non Loro! E questo noi si definisce in contrapposizione agli altri.  Noi cristiani, non mussulmani; noi riformati, non cattolici.

L’identità è formulata in modo negativo: noi non siamo come gli altri.  E vi lascio immaginare quali possano essere le conseguenze di una identità del genere.  Essendo una identità che vede l’altro in modo negativo, come un nemico, un avversario, questo tipo di identità non può che lasciare delle tracce di sangue nella terra della storia umana.

Quante guerre sono state combattute, quanta discriminazione è stata prodotta, quanta violenza è stata partorita nel perseguire questa identità negativa: noi non siamo come gli altri.  Ma Paolo, in modo sorprendente, capovolge questa logica omicida con una sola piccola parola, una congiunzione avversativa, così apparentemente insignificante che molti traduttori della Bibbia l’hanno persino trascurata.  Una parolina che in greco è formata soltanto da due lettere: DE e che noi traduciamo con TUTTAVIA.

“Noi Giudei di nascita, non stranieri peccatori, tuttavia…”.  Tuttavia cosa? “Tuttavia sappiamo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge, ma per mezzo della fede in Cristo Gesù”.  Quale capovolgimento!  Noi non siamo più quel che siamo perché siamo nati in Italia, o in Svizzera, o perché abbiamo studiato al liceo o siamo andati a lavorare sin da piccoli.  Noi non siamo più quel che siamo per merito o per colpa dei nostri genitori.  Per le scelte buone o cattive che abbiamo fato.  Noi non siamo iù quel che siamo per le tracce che noi abbiamo lasciato sul terreno.

Che capovolgimento!  Quel che noi siamo non è frutto di una eredità, né di una conquista, ma è l’opera che Dio compie nella nostra vita per mezzo di Gesù Cristo.  Io non sono l’opera di me stesso, ma sono l’opera di Cristo.  Quel personaggio che argina lo stagno e che disegna una cicogna con le sue orme nel fango è Cristo, e quel disegno nel fango sono io.

Chi sono io, chi siamo noi, se non quel dono speciale che Cristo ha disegnato nel fango attraverso il suo amore?

Questo capovolgimento di enorme portata ha delle immediate conseguenze sulla mia identità.  La giustificazione per mezzo della fede in Cristo Gesù, formula che significa che attraverso Cristo è cambiata la mia posizione davanti a Dio: non sono più nemico, ma amico di Dio.  Questa giustificazione traccia i confini della mia nuova identità, confini che per motivi di chiarezza voglio tratteggiare in tre immagini:

La prima immagine è la croce.  Paolo dice: “Io sono stato crocifisso con Cristo”.  Il verbo greco che viene utilizzato descrive qualcosa che è già successo nella mia vita in un momento determinato: io sono stato crocifisso con Cristo; ma questo verbo descrive anche un qualcosa che continua ad avvenire nella mia vita: io continuo ad essere crocifisso con Cristo in ogni momento della mia esistenza.  Il resto, in altre parole, nell’orbita della croce.  La grazia non è altro che il legno della croce, lì dove Cristo è stato crocifisso per me e lì dove io sono continuamente chiamato a tornare.  La mia nuova identità che ha forma di croce, si apre a quella grazie che per Dio è stata una grazia a caro prezzo e che anche per me lo deve diventare ogni volta daccapo, di fronte alla costante tentazione di trasformare la grazia di Dio in una grazia a buon prezzo.

Su questo Dietrich Bonhoeffer, nel suo libro Sequela, ha scritto parole importanti: La grazia a buon prezzo è grazia considerata materiale da scarto, perdono sprecato, consolazione sprecata, grazia senza prezzo e senza spese.  Mentre grazie a seguire Cristo sono indissolubilmente legati.  Lutero stesso, che ha rimesso al centro del messaggio cristiano l’annuncio della grazia di Dio, imparò a obbedire a Cristo, perché solo chi obbedisce può anche credere.

La grazia che è acqua per il campo assetato, consolazione per chi ha paura, liberazione dalla schiavitù…, perdono di tutti i peccati; ma questa stessa grazia è a caro prezzo, perché non dispensa dall’agire, anzi rende infinitamente più rigoroso l’invito a seguire Gesù.

Abbandonandomi alla grazia di Dio, non devo più preoccuparmi della mia salvezza, ma nel seguire Gesù imparo quotidianamente a occuparmi degli altri

La seconda immagine è l’amore.  Paolo dice: “Il Figlio di Dio mi ha amato”.  L’essere amato da Cristo mi rende abile ad amare.  Essere amato mi rende capace di amare il mio prossimo.  Non sono più io che vivo, dice Paolo, e che mi piacerebbe tradure in questo modo: non devo più vivere per me stesso, posso aprirmi all’amore vero.  E l’amore è vero soltanto quanto è capace di amare l’altro così com’è, nella sua libertà, nella sua alterità.  Io non devo divocare, assimilare o governare l’altro per renderlo simile a me.  Questo non è amore.  L’amore non è appropriazione.  L’invidia invece è dipendenza, è desiderio di appropriarsi dell’altro e di sottometterlo.

L’amore ci libera dalla paura e ci ricorda che siamo stati amati.  E poichè siamo stati amati, siamo anche capaci di amare.

La terza immagine è il dono.  Paolo dice: “Il Figlio di Dio ha dato se stesso per me”.  Nel Nuovo Testamento vi sono due modi diversi per raccontare il dono di Cristo per tutti noi.  Si usa nella maggior parte dei casi il passivo: è stato donato.  Ma a volte compare anche l’attivo: ha donato se stesso.  Sono due facce dello stesso dono.  Cristo si è donato al Padre e il Padre lo ha donato a noi.  C’è il lato attivo e c’è il lato passivo.  Fa parte della struttura stessa del dono.  Nel donare noi stessi agli altri noi ci mettiamo nelle mani degli altri.  Doniamo noi stessi, ma accettiamo che gli altri possano disporre di noi, del nostro tempo e della nostra libertà.

L’identità è data dalle tracce che lasciamo vivendo la nostra vita.  Le nostre orme compiono disegni nelle pieghe della terra.  E ognuno di noi farà il suo proprio disegno, che non sarà mai simile a quello dell’altro.  Ma questa unicità non è dovuta alle nostre capacità, né a particolari qualità ereditate.  È il frutto del dono dell’amore di Dio che in Cristo ha dato se stesso per ciascuno di noi e ci ha giustificati.  Il tribunale della giuistizia di Dio ci ha assolti non perché non c’era motivo a procedere, ma perché Cristo, il nostro avvocato, ha preso il nostro posto nel canco dell’imputato.

Il dono dell’amore di Dio trasfroma la nostra vita in una meravigliosa cicogna che saprà prendere il volo della solidarietà e della giustizia.  Diventiamo quindi ogni giorno di nuovo discepoli di Gesù, nella gioia e nel coraggio, e non temiamo di amare e di dornarci agli altri nel nome di Gesù Cristo, amen.