da: Viaggio nell’Italia romana (vol.I)

di Giovanni Caselli

Etruria, la VII Regio secondo la ripartizione di Ottaviano

La Regio VII Etruria, comprendeva l’attuale Toscana assieme a parte delle attuali province di Perugia e Terni, e tutta la provincia di Viterbo, ma le ricostruzioni cartografiche escludono il Casentino, ossia l’alta valle dell’Arno, che – secondo una errata interpretazione di Plinio e Polibio – faceva parte dell’Umbria. Invece la toponomastica e l’evidenza archeologica indicherebbero proprio il Casentino come la “culla etnica” degli Etruschi.
Il Casentino – o per essere precisi – l’area del Monte Falterona ha infatti la più alta densità di toponimi di origine etrusca di tutta l’Italia, quindi, se i toponimi con suffissi in – ena – enna sono etruschi, quella è la loro terra di origine. Etnograficamente il Casentino sta a cavallo fra l’area ligure e quella umbra, mostrando poco di ‘etrusco’.
A sud il Tevere è ancora oggi un confine culturale rilevabile da vari elementi come ad esempio le slitte pesanti di tipo padano e i coltri che rivoltano la terra a est e le ‘tregge’ e gli aratri leggeri a ovest del fiume. La vite si coltiva ‘alla greca’ a est del fiume e ‘alla toscana’ a ovest, e così via per numerosi altri elementi.
A nord dell’Arno siamo – secondo l’etnografia ma non secondo l’archeologia – sempre in area culturale Ligure, o almeno non diversa, culturalmente, da tutta l’area montuosa e collinare che va dal fiume Trebbia al Monte Fumaiolo. Un’unica differenza sta nella forma delle capanne rurali, che sono a pianta quadrata fino al Passo della Futa e a pianta circolare da qui fino alle Marche.

Il fatto che il Mugello sia linguisticamente praticamente identico al Chianti e estremamente diverso dalla pianura di Pistoia da Peretola verso ovest, lo si deve alla storia amministrativa del territorio. Ciò che effettivamente conta in quest’area, per determinare il carattere culturale delle varie aree, non è la linguistica, ma la cultura materiale. La ‘treggia’ toscana, un veicolo senza ruote tipico dell’area dell’Appennino settentrionale, dal Trebbia al Fumaiolo e da questa linea fino a tutta l’Etruria classica, è un elemento etnografico di estrema importanza, in virtù di questa distribuzione. La treggia non esiste in questa forma in nessun’altra parte d’Europa, mentre esiste in Crimea e nel Caucaso, in una identica forma a quella toscana, mentre dalle Alpi alla Sicilia le slitte (sia pure chiamate ‘tregge’) sono analoghe fra loro. È inoltre da notare che nell’Appennino ToscoEmiliano Romagnolo, la cesta che si pone sopra la treggia si chiama “Benna” (il nome del carro in celtico) dal Parmense fino a Montepiano presso la Futa, “Cibèa” (nome greco per una nave mercantile) da lì fino al Monte Fumaiolo.

Disegn di una treggia su cui veniva posto un cesto (benna o cibea) per il trasporto dei materiali

La Val di Chiana, nonostante l’appartenenza etrusca, risente oggi di influssi dalla Valle del Tevere meridionale e dell’apporto della Via Flaminia. Vi erano in Val di Chiana, ad esempio, aratri con versoio, a ruote, come quelli padani e marchigiani, ignoti nel resto della Toscana, ma identici a quelli balcanici.
La Toscana interna, l’area collinare fra Arno, Chiana, Monte Amiata e Maremme, se si eccettuano le due ‘isole’ densamente abitate di Volterra e Siena, assieme alla direttrice della medievale Via Francigena, il resto era – almeno in epoca post classica – un territorio praticamente disabitato fino a epoca recentissima. Era questo un territorio di passaggio per numerosi tratturi e vie commerciali, che conducevano dalle montagne e dalle floride valli ai loro piedi all’interno, verso la costa, dove erano e i pascoli invernali e le città portuali dell’Etruria.
L’Etruria meridionale, oggi culturalmente parte dell’area umbra, fra l’Amiata, il Tevere e il Tirreno era in antico l’area più fertile e più popolosa dell’Italia a Nord di Roma. Qui la gente viveva in grandi centri agricoli, come in Sicilia, mai in case isolate o in piccoli borghi. Questo fino praticamente ai nostri giorni. Tuttavia l’Etruria meridionale ha caratteri propri dal punto di vista etnografico.
La cultura detta Villanoviana, affine alle civiltà del primo ferro a nord delle Alpi, si sviluppa in civiltà urbana, su tutto il territorio tirrenico, la Romagna, parte dell’Emilia e la Campania verso il IX secolo a.C. Fra questi centri e l’Egeo orientale e l’Anatolia interna si instaurano rapporti commerciali intensi sin dall’VIII secolo e il carattere centro europeo di questa cultura diventa prettamente mediterraneo orientale. La lingua etrusca, che non ha legami con alcuna altra lingua conosciuta, potrebbe essere di importazione caucasica, data l’affinità culturale della fase ‘orientalizzante’ etrusca con l’Urartu e la Transcaucasia. Nel Caucaso esistono, e ancor più esistevano nel passato, centinaia di idiomi diversi, spesso senza alcuna affinità fra di loro. Mentre avvengono nel Mediterraneo le colonizzazioni greca e fenicia, in Etruria i centri villanoviani si sviluppano in città mediterranee, con caratteristiche diverse, ma nell’insieme analoghe alle città del meridione d’Italia.

Necropoli di Cerveteri

La città di Chaire, o Kisra, come i Greci la chiamarono e i Romani Caere (Cerveteri), si trovava sulle colline prospicienti il mare, 45 Km a nord di Roma, sul mare essa aveva ben tre porti: Alsium (Ladispoli), Pyrgi (Santa Severa), e Punicum (Santa Marinella), abitati da genti di ogni origine. Caere fu la più grande e la più importante città dell’Etruria, grazie ai suoi rapporti con l’Oriente e grazie alle sue miniere di Allumiere e Tolfa. La città ebbe mire colonialiste quando si alleò con Cartagine nel VI secolo, ma decadde senza rimedio dal 358, quando fu attaccata da Dionisio di Siracusa. Poco dopo i romani conquistarono l’Etruria meridionale.

La fanciulla Velca – Affresco funerario di Tarquinia

La seconda città etrusca, Tarquinia, sorgeva a 100 Km da Roma, sempre sulle colline che guardano il mare. Secondo gli etruschi era Tarquinia la capitale spirituale del popolo etrusco, essendo patria dell’eroe eponimo Tarconte; Gravisca era il suo porto a mare. Tarquinia è nota per le sue tombe dipinte da artisti di scuola greca, che se non raggiungono i livelli dell’arte greca contemporanea, rappresentano con spontaneità aspetti originali della mitologia etrusca.
Vulci, sul fiume Fiora, poco a nord di Tarquinia è la terza in ordine di importanza fra le città litoranee etrusche, che, come le altre si sviluppa su un centro villanoviano, ma che raggiunge il suo periodo di auge fra il VI e il V secolo, distinguendosi per la sua produzione artistica del bronzo.
Roselle, o Rusellae in latino, sorgeva presso l’estuario del torrente Ombrone, punto di arrivo delle vie di transumanza dai pascoli dell’Appennino romagnolo e umbro, e delle valli interne del Mugello, Casentino e Val Tiberina, la città crebbe con il commercio fra la costa e l’interno. Vicino a Roselle, dall’altra parte dell’Ombrone, su un’altura sorgeva Vetulonia, o Vetluna. Anche questa città si arricchì anzitutto con l’affitto dei pascoli (come accadde alla Siena medievale) e poi coi prodotti minerari del suo territorio. Il centro principale per il controllo e lo smistamento delle greggi nei pascoli maremmani in epoca etrusca è stato recentemente scavato presso il Lago dell’Accesa, vicino Massa Marittima. I grandi prati di questo altopiano sono da sempre il punto di arrivo dei tratturi naturali dal Pratomagno e dal Falterona.

area archeologica di Roselle

Populonia, o Fufluna, unica città etrusca sul mare, sorge di fronte all’Isola d’Elba, una zona ricca di minerali, soprattutto ferro, e strategica dal punto di vista delle rotte commerciali tirreniche. I manufatti ritrovati nelle splendide tombe della città rivelano anzitutto un alto livello tecnologico nella lavorazione dei metalli.
L’ultima città costiera, anche se effettivamente si trova lontana dal mare, è Volterra. Volterra si considera un punto di arrivo delle transumanze invernali, perciò fa parte delle città costiere a cui facevano capo le genti dell’Appennino e dell’interno dal Mugello a Pistoia. Il suo vastissimo territorio significò anche opulenza, e questa, ancora una volta si esprime, per l’archeologo, nella ricchezza delle sue necropoli, caratterizzate dalle famose urne cinerarie di terracotta conosciute come ‘volterrane’.

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