Parleremo di armonia tonale, ossia del tipo di armonia che è più diffuso, mentre non avremo il tempo di occuparci di altri sistemi armonici (armonie modali, armonie per quarte, armonie timbriche, ecc.).
L’armonia è l’aspetto più prevedibile della musica. Gli accordi infatti raramente definiscono la specificità di un pezzo, ma per lo più ne regolano semplicemente l’organizzazione fraseologica, quindi obbediscono a condotte ricorrenti. Fanno eccezione a questa regola i pezzi di ricerca armonica, dove l’armonia emerge in primo piano come principale elemento significante, ma si tratta di casi o stili particolari, importanti ma minoritari rispetto alla massa delle musiche che conosciamo. Nella maggior parte del repertorio l’armonia si comporta un po’ come la sintassi che usiamo quando parliamo o scriviamo. Fare una frase subordinata o usare un congiuntivo o un condizionale non dice nulla riguardo il significato del nostro discorso e ciò che vogliamo dire, ma serve semplicemente a dare al discorso un’organizzazione comprensibile ed efficace. Prova ne sia il fatto che noi possiamo trovare le stesse strutture in una lettera d’amore, in un comma del Codice Civile o in una pubblicità di saponette. Allo stesso modo, possiamo trovare migliaia di pezzi che usano gli stessi giri armonici, da Mozart alle canzoni di Sanremo.
Tutti noi conosciamo l’armonia a livello uditivo; le successioni che studieremo non sono nuove ma le abbiamo già ascoltate e suonate migliaia di volte. Non si tratta quindi di apprendere qualcosa di nuovo, ma di riconoscere e classificare cose che già sono in qualche modo dentro la nostra testa.
Perché il lavoro sull’ascolto dell’armonia sia agevole bisogna prima di tutto capire che l’armonia è indipendente dagli altri parametri della musica, e in particolare dalla melodia e dalla dinamica. Su uno stesso giro di accordi si più mettere di tutto: suoni lunghi o corti, lenti o veloci, pianissimo o fortissimo, linee ascendenti, discendenti, ecc. Se si vuol capire l’armonia all’ascolto quindi non bisogna farsi influenzare da altri aspetti che a livello percettivo possono essere anche molto invadenti e catturare la nostra attenzione, portandola fuori strada. Il movimento armonico è in realtà qualcosa che sta sotto la musica, che si avverte poco; allo stesso modo le fondazioni di un muro reggono il muro, ma nessuno le vede perché stanno sottoterra. Per comprendere l’armonia quindi dobbiamo indirizzare l’attenzione verso il movimento che sta sotto la superficie percepibile, e verso il senso che questo movimento produce nella sintassi del discorso musicale. Questo non significa solo e semplicemente ascoltare cosa fanno gli strumenti che suonano il basso e il registro centrale, ma soprattutto ascoltare il senso interno alla frase musicale, la sua organizzazione discorsiva, e non la direzione della linea melodica. Una volta individuata questa organizzazione, l’ascolto fisico delle parti interne e soprattutto del basso ci darà le giuste conferme. Ovviamente strumentisti come pianisti, chitarristi, organisti, sono avvantaggiati perché suonano le armonie tutti i giorni. Anche gli strumenti gravi, come il contrabbasso, il fagotto, ecc. sono relativamente avvantaggiati, perché, suonando i bassi, sono più a contatto con l’armonia. Meno immediata è la cosa per chi suona strumenti acuti ed è portato dall’esperienza a concentrare l’ascolto sulle parti acute. Ma si tratta di differenze facilmente gestibili, che si risolvono nel giro di qualche lezione.
PREMESSA: I DIVERSI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE DELLE ARMONIE
Quando si studia armonia può capitare di imbattersi in modi diversi di classificare gli stessi accordi. Questa cosa è normale e non deve sorprendere, perché nel tempo si sono affermate diverse concezioni armoniche e queste in parte oggi convivono, a volte all’interno di una stessa scuola. Tali differenze hanno ragioni storiche. Come si sa, all’inizio della storia la musica era solo contrappuntistica; una concezione autonoma di armonia si è iniziata ad affermare solo con il Barocco. Nella musica barocca il basso ha un’importanza maggiore rispetto alla musica successiva e attuale. L’epoca barocca viene anche definita, non a caso, Età del Basso Continuo. Il Basso Continuo è una tecnica di composizione per la quale lo schema base della partitura è costituito da un quasi-duetto tra canto e basso, in cui il basso, anche se non è importante quanto la linea superiore, ha comunque una sua identità lineare. Il basso moderno, al contrario, ha un’identità esclusivamente verticale; esso, se produce una sua linea, lo fa in maniera comunque subordinata alla funzione di supporto statico alla costruzione armonica. Da questa differenza deriva la diversa concezione dell’armonia barocca rispetto alla moderna. Se nella musica posteriore la melodia ha già in sé le funzioni armoniche, e queste funzioni risiedono in determinati fondamentali armonici, talché da ogni fondamentale deriva un accordo, nella musica barocca, avendo come dato di partenza non una sola melodia ma il quasi-duetto tra linea superiore e basso, l’armonizzazione non consiste nello sviluppare un percorso accordale sotto la linea ma nel riempire uno spazio tra la linea e il basso.
Per comprendere questa sottile differenza dobbiamo confrontare la tecnica di armonizzazione barocca con quella moderna. L’armonia moderna, come abbiamo detto, si basa sul concetto di fondamentale: ogni accordo ha la sua fondamentale, che genera le coordinate armoniche da cui si costruiscono gli effettivi suoni dell’accordo; ogni accordo poi può essere usato in stato di fondamentale o di rivolto. Dallo stato dell’accordo dipende la nota del basso, che, in caso di rivolto, è diversa dal fondamentale. Il procedimento dell’armonizzazione moderna quindi può essere descritto nelle seguenti fasi: prima si individuano le funzioni armoniche generali corrispondenti ad ogni segmento di melodia, poi si trovano gli accordi, con i relativi fondamentali, poi, eventualmente, si decide di rivoltare qualche accordo (questa ultima operazione viene fatta per dare maggiore varietà all’armonia e spesso anche per migliorare la linearità del basso). Tutto ciò, nella mente del compositore esperto, avviene molto velocemente, sicché a volte si ha l’impressione che le armonie nascano in maniera immediata, ed in effetti è possibile in alcuni casi armonizzare melodie anche estemporaneamente, tuttavia, a livello teorico generale, la concezione armonica è basata su un’analisi che passa comunque per l’individuazione dei fondamentali.
Il musicista barocco invece ragionava in un modo leggermente diverso: il suo processo di armonizzazione era già abbondantemente guidato dall’intervallo che si generava tra basso e canto, prova ne sia il fatto che nella maggior parte delle partiture barocche i compositori spesso nemmeno scrivevano i numeretti-guida che si usano nei manuali: la corretta armonizzazione veniva data quasi per scontata. L’armonia dell’epoca barocca quindi non veniva concepita a partire dalla fondamentale, ma a partire dal basso: non da un suono generatore che sta a monte della scrittura specifica, ma dal suono che concretamente già sta in partitura, ossia la nota del basso, la quale può coincidere o non coincidere con quello che noi chiamiamo fondamentale armonico. Il concetto di fondamentale anzi non esisteva (inizierà a fari sentire solo nel tardo Barocco e poi pienamente con il Classicismo), così come, di conseguenza, non esisteva il concetto di rivolto. Per esempio, se per noi l’accordo mi–sol–do è un primo rivolto dell’accordo do–mi–sol, nel quale si è deciso di mettere un mi al basso al posto del do, per il musicista barocco l’accordo mi–sol–do è un accordo di sesta costruito sul basso mi, e nulla di più.
L’eredità della concezione barocca è anche il motivo per cui negli studi tradizionali di Armonia complementare si armonizzavano dei bassi, e non delle melodie, e a partire da questi bassi si costruivano degli accordi secondo una numerica che nulla diceva riguardo i gradi, né tantomeno riguardo le funzioni armoniche. Era un sistema barocco rivisto secondo le esigenze moderne, in cui si parlava di rivolti (per esempio l’accordo di sesta veniva definito “primo rivolto”) ma la concezione armonica era ancorata al basso e il modo in cui tale sistema veniva di fatto usato, ossia, nel caso in esempio, costruendo un intervallo di terza e un intervallo di sesta sopra un basso dato, e similmente per tutti gli altri tipi di accordi, rimandava più all’armonia barocca che all’armonia moderna.
La teoria dei gradi, che si è sviluppata successivamente soprattutto nei paesi anglosassoni, riconduce invece tutto ai fondamentali. Essa ha il merito di aver cercato di classificare le successioni armoniche secondo l’uso che se ne fa effettivamente in musica. L’armonia con i numeri infatti non insegna a gestire la costruzione di un discorso sotto una melodia, perché parte sempre da un basso già esistente, tanto che nei corsi di Armonia complementare tradizionale diventava problematico per l’allievo inventare la linea del basso quando questa non era data e invece veniva data una melodia da armonizzare. Con il sistema dei gradi è possibile armonizzare una melodia e realizzare quei collegamenti tra gradi che sono considerati migliori. È un sistema che quindi ci dice qualcosa di più rispetto a quello che possiamo osservare fisicamente in una partitura. Prendiamo ad esempio le dominanti secondarie, ed immaginiamo di stare in Do maggiore ed incontrare un accordo di LA7 seguito da un accordo di re minore. Mentre la teoria dei numeri cifra questo accordo ad uso del continuista senza chiedersi la ragione dell’alterazione do#, la teoria dei gradi, chiamandolo V di re minore (tonica secondaria) ce ne spiega la ragione, ci fa capire perché quel do è diesis. Usare l’armonia con i gradi significa assumersi maggiore libertà di scelta, perché non c’è più un basso a fare da guida.
Però non tutte le successioni suonano ugualmente bene. Ce ne sono alcune che vengono usate di più e altre che vengono evitate o comunque usate poco. Per padroneggiare l’armonia con i gradi quindi è necessario imparare e ricordare quali sono le successioni migliori. Per questo motivo i manuali di armonia con gradi hanno, in genere all’inizio, una specie di tabellina, del tipo di questa (presa dal manuale di Piston):
Il I è seguito dal IV o dal V, a volte dal VI, meno sovente dal II o dal III.
Il II è seguito dal V, a volte dal IV o dal VI, meno sovente dal I o dal III.
Il III è seguito dal VI, a volte dal IV, meno sovente dal I, dal II o dal V.
Il IV è seguito dal V, a volte dal I o dal II, meno sovente dal III o dal VI.
Il V è seguito dal I, a volte dal IV o dal VI, meno sovente dal II o dal III.
Il VI è seguito dal II o dal V, a volte dal III o dal IV, meno sovente dal I.
Il VII è seguito dal I o dal III, a volte dal VI, meno sovente dal II, dal IV o dal V.
Ovviamente imparare e ricordare tutte queste successioni è scomodo, ma, se si vuole fare un’armonizzazione convincente con il sistema dei gradi, non c’è altro modo.
Il metodo funzionale, che useremo qui, cerca di ovviare a questo problema. Esso fu teorizzato da un certo Hugo Riemann alla fine dell’Ottocento, fu introdotto nell’insegnamento in Germania nel secondo Novecento e poi, negli ultimi anni, si sta diffondendo sempre più a livello internazionale. Il nome stesso di Armonia funzionale fa capire che intende spiegare il motivo per cui in un certo momento viene usato un certo accordo. Esso non si limita ad indicare quali sono le successioni migliori, ma cerca di spiegarne anche il senso, ci fa capire perché una successione sortisce un certo effetto e un’altra successione sortisce un altro effetto. Con l’armonia funzionale non è necessario imparare tabelle di successioni, perché la stessa classificazione funzionale dice a cosa serve quell’accordo, e quindi nel momento in cui usiamo un accordo sappiamo già perché lo stiamo usando. Non ci dilunghiamo a parlarne qui perché lo conoscerete strada facendo.
Bisogna dire che dal punto di vista teorico, almeno per il musicista moderno, il sistema dei gradi e quello funzionale sono più interessanti. Il sistema dei gradi, se usato consapevolezza e non solo come pura classificazione, dà comunque conto delle funzioni delle armonie; il metodo funzionale tuttavia è più agile. In sostanza, comunque, i due metodi sono sovrapponibili, nel senso che, a parte qualche dettaglio di grafia, dicono sostanzialmente le stesse cose, anche se da prospettive diverse.
L’ultimo metodo di classificazione degli accordi è il sistema delle sigle, che è a metà tra la teoria dei gradi e il metodo barocco. Esso è sostanzialmente una stenografia che indica gli accordi attraverso lettere e numeri. Dal punto di vista della concezione armonica verticale è affine alla teoria dei gradi, perché fa riferimento al suono fondamentale (l’accordo mi–sol–do per esempio viene chiamato DO/MI o C/E), tuttavia dal punto di vista del pensiero armonico non dice nulla di più che la stessa conformazione materiale della musica, e in questo è simile alla teoria dei numeri. In altre parole, non svela qualcosa che sta oltre ciò che viene scritto o suonato, non è un metodo interessante dal punto di vista della comprensione dell’armonia, ma è piuttosto uno strumento pratico per suonare. A volte, data la sua natura di sistema eminentemente empirico, può arrivare a forzature poco accettabili dalla teoria, cosa che capita soprattutto quando ci sono enarmonie (per esempio, se siamo in Do maggiore, l’accordo di sesta aumentata lab-do–mib-fa#, che dovrebbe avere appunto il fa#, viene chiamato semplicisticamente Ab7, quindi con il solb, cosa che, in Do maggiore, da un punto di vista teorico non ha senso). In esso inoltre, proprio per la sua natura empirica, ci sono molte varianti, per cui uno stesso accordo si scrive in modi diversi a seconda del periodo, della nazione, della scuola, dello stile, e ciò lo rende poco adatto ad essere preso come base per uno studio sistematico dell’armonia.
Teniamo presente quindi che le armonie si possono classificare, pensare e scrivere in modi diversi e che ogni modo ne mette in luce qualche aspetto. Il bravo musicista sa passare agevolmente da un sistema all’altro. Per esempio, se siamo in Do maggiore e vogliamo usare l’accordo sol-si-re-fa, poco importa se lo chiamiamo sol3-5-7o V7 o D7 o G7, quello che conta è saperlo usare.
1 – LE FUNZIONI PRINCIPALI
Gli ascolti per questa sezione si trovano qui
https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgWDZmKklNxJTI–n?e=Crrpc4
L’armonia è costituita da funzioni armoniche, che si definiscono per un significato intrinseco prima ancora che per una conformazione accordale specifica.
Le funzioni sono tre:
Tonica (T)
Sottodominante (S)
Dominante (D)
Nel modo minore gli accordi di tonica e sottodominante sono minori, e si scrivono t e s. La dominante invece è sempre maggiore (D).
Questa è una regola generale: gli accordi maggiori si scrivono maiuscolo, gli accordi minori si scrivono minuscolo.
Il ritmo armonico, ossia la frequenza dei cambiamenti di funzione, viene stabilito dal compositore, ed è completamente libero: a volte ci può essere un accordo per battuta, altre volte la stessa armonia può prolungarsi a lungo, anche per molte battute, altre volte il ritmo può essere molto veloce, fino ad avere un accordo ogni nota. Su questo fronte l’orecchio deve essere pronto a tutto.
Spesso le funzioni corrispondono ai tre gradi principali della scala (rispettivamente I, IV e V), ma, come vedremo più avanti, non è sempre così, quindi per ora prescindiamo dagli accordi e concentriamoci solo sulla funzione dinamica delle armonie all’interno del discorso musicale.
Ogni funzione infatti esprime un suo senso specifico nella sintassi della musica.
La tonica esprime stabilità, è il centro del discorso e il punto di arrivo di ogni percorso tonale. La si riconosce facilmente perché se interrompiamo la musica in corrispondenza di una tonica si ha l’impressione che il pezzo potrebbe finire lì, se non dal punto di vista della forma, almeno dal punto di vista della pura sintassi. A livello di senso sintattico la tonica esprime il tono di voce che usiamo quando, parlando, facciamo una semplice affermazione.
Ascoltiamo quaranta secondi da un concerto di Mozart
ascolto n. 1 – Mozart, Concerto K467, II movimento
e sentiamo come il senso di questa frase sia compiuto, chiuso, non solo e non tanto dal punto di vista del movimento melodico quanto dal punto di vista della struttura discorsiva sottostante, con quel caratteristico senso di “andata e ritorno” tipico di tante le musiche tonali, che abbiamo già sentito in tantissimi pezzi. Questo frammento infatti inizia in tonica, poi si sposta, ma alla fine torna di nuovo in tonica.
Qualcosa di simile avviene in questo frammento dal duetto Verranno a te sull’aure dalla Lucia di Lammermoor di Donizzetti, con la differenza che qui a metà del pezzo la seconda frase ricomincia in tonica. Anche questo modello armonico di frase è diffusissimo e lo abbiamo ascoltato in migliaia di pezzi. Più nel dettaglio:
le prime battute sono in tonica (“Verranno a te sull’aure i miei”),
poi succede qualcosa (“sospiri ardenti”)
poi si torna in tonica (“udrai nel mar che mormora”)
di nuovo succede qualcosa ma si conclude comunque in tonica (“l’eco dei miei lamenti”)
ascolto n. 2
La dominante esprime tensione, movimento, sospensione e necessità di risoluzione; questa risoluzione avviene il più delle volte sulla tonica. La tensione è accresciuta dal fatto che questo accordo ha quasi sempre la settima, intervallo che esprime necessità di risoluzione. Corrisponde sintatticamente al tono vocale che usiamo quando, parlando, facciamo una domanda. La dominante si riconosce facilmente perché se interrompiamo la musica in corrispondenza di essa si ha l’impressione che il discorso resti per aria e non possa concludere, come un passo in sospeso che richieda un appoggio. Se interrompiamo a metà la frase del concerto di Mozart sentiamo che il discorso non può terminare lì, deve per forza andare avanti e risolvere su qualcosa
ascolto n. 3
La stessa cosa succede se interrompiamo a metà il duetto di Donizetti
ascolto n. 4
Il senso di sospensione e di irrisolto è evidente, quindi quella cosa che avevamo individuata come diversa dalla tonica nel passaggio “Sospiri ardenti” è una D. Vediamo cosa succede nel seguito. Abbiamo detto che si ricomincia in tonica, ma poi succede di nuovo qualcosa. Proviamo a fermarci su “l’eco dei miei”
ascolto n. 5
Anche qui il senso di sospensione è evidente, quindi abbiamo una D. La risoluzione sulla T avviene quindi alla fine delle frase (“lamenti”).
ascolto n. 6
L’accompagnamento è ridotto all’osso, solo pizzicati e poco altro, e gli accordi quasi non si sentono. Il senso armonico però è chiarissimo, perché è già insito nella melodia e sarebbe chiaro anche se l’accompagnamento non ci fosse per niente. Se ascoltiamo la frase del duetto quando si ripresenta a due, e l’orchestrazione è leggermente più piena, l’effetto armonico è comunque simile:
ascolto n. 7
Questo conferma il fatto che capire l’armonia non è tanto una questione di percezione fisica (sentire i bassi e le note degli accordi) quanto una questione di capire come funziona l’organizzazione del discorso.
Possiamo quindi schematizzare l’armonia del frammento di Mozart in questo modo
T – – – /- – – – /D – – – /- – – – //D – – – /- – – – /T – – – /- – – -/
e quella del frammento di Donizetti in questo modo (scansione ternaria “in uno”)
T – – /- – – /- – – /- – – /- – – /- – – /D – – /- – – //T – – /- – – /- – – /- – – /D – – /- – – /T – – /- – –
Ascoltiamo l’inizio del “Brindisi” della Traviata. Verdi sembra collaborare al nostro corso di Ear training, perché pensa egli stesso a interrompere l’introduzione strumentale sospesa su una D, e sentite che la sensazione di irrisolto è la stessa che abbiamo avvertito negli esempi precedenti. In seguito, quando entra il cantante, il discorso viene completato con l’aggiunta della T:
ascolto n. 8
Molte musiche sono fatte solo di T e D. Queste due funzioni infatti sono sufficienti a creare un senso tonale. Nel pezzo che segue ci sono toniche e dominanti ora più o meno in evidenza, ma comunque tutto il discorso è incentrato sulla loro alternanza
ascolto n. 9 – Schubert, Danksagung an den Bach
Poi:
ascolto n. 10 – Mozart, Serenata K. 185, Minuetto, Trio II
Stessa cosa nel pezzo seguente, sia nell’introduzione pianistica che nelle parte col canto:
ascolto n. 11 -Schubert, Das Lindenbaum
Qui il gioco è più sfumato, le sonorità sono morbide e gli angoli sono smussati, ma se ascoltate il senso della musica è comunque percepibile una sorta di lento dondolio tra movimento e riposo. Ascoltate di nuovo.
Spesso l’alternanza tra queste due funzioni, associata ad una frase ripetuta in modo simmetrico, prima aperta e poi chiusa, dà alla frase un senso ancora più forte di “andata e ritorno”, caratteristico di tante musiche, soprattutto settecentesche:
ascolto n. 12 – Mozart, Sinfonia n. 39, Minuetto, Trio
La semplice alternanza di T e D è tipica anche di molta musica popolare, anzi in certe musiche popolari è la regola:
ascolto n. 13
La sottodominante è un grado intermedio tra la tonica e la dominante, è un’apertura verso un movimento ulteriore, la preparazione del momento forte D–T, ma non è ancora il momento forte. La si riconosce facilmente perché se interrompiamo la musica in corrispondenza di essa abbiamo l’impressione che il pezzo resti per aria, un po’ come avviene per la dominante, ma anche che, a differenza della dominante, la tensione sia più smussata, meno immediata, e il discorso non possa concludere con la semplice aggiunta di un punto di arrivo ma abbia bisogno di un passaggio in più, ossia non si completi con un gesto solo, ma con due; il senso di sospensione è comunque meno forte rispetto alla dominante. Corrisponde al tono di voce che usiamo quando, parlando, facciamo una frase subordinata. Il discorso di Leporello all’inizio del Don Giovanni è semplice (il servo che si lamenta del suo stato: “Notte e giorno faticar”), e così l’armonia, che consiste solo in T e D con l’eccezione di una S quando la parola “voglio” viene cantata su note legate
ascolto n. 14
Proviamo ad interrompere subito dopo la S:
ascolto n. 15
Subito dopo c’è la D
ascolto n. 16
e quindi tutto il frammento riportato di seguito ha questa organizzazione:
T /S – /D – /T – /- – /S – /D – /T
ascolto n. 17
Questa condotta è tipica, infatti l’uso più frequente (anche se non esclusivo) della S è dopo la T e prima della D, come a far da ponte tra la stabilità e la tensione.
Il carattere trionfale dell’inizio della Sinfonia “Jupiter” è ben espresso dalla continua alternanza di T e D. Dopo il dialogo iniziale tra tutti e archi, c’è una sezione in ritmo di marcia; la seconda battuta di questa sezione è una S; il tutto avviene molto velocemente, ma il senso funzionale è chiaro, poi, verso la fine del tutti la velocità dell’alternanza diventa un effetto festoso più che un’articolazione discorsiva; si finisce in D
ascolto n. 18
Ascoltiamo dall’inizio del passaggio in ritmo di marcia e fermiamoci subito dopo la S:
ascolto n. 19
è evidente il senso di sospensione, ma anche la differenza qualitativa tra la sospensione dominantica, che è più impellente, e quella della sottodominante, che è più aperta. Se ascoltiamo le prime sei battute della marcia abbiamo una chiara distribuzione armonica con una funzione per battuta
T – – – /S – – – /D – – – /T – – – /S – – – /D – – – /T
ascolto n. 20
Peraltro potete ascoltare che i bassi fanno sempre la stessa nota (pedale di tonica), quindi per capire le armonie non è sufficiente, o meglio non è conveniente “ascoltare le note”.
Il giro T–S–D–T è la successione armonica più usata in musica, e compare in milioni di pezzi. Le funzioni infatti vengono concatenate secondo successioni che nel tempo si sono stabilizzate e sono diventate tipiche di generi, epoche e stili. La teoria ha dato un nome alle successioni più comuni, che è bene conoscere:
la successione D–T si chiama cadenza perfetta,
la successione S–D–T si chiama cadenza composta,
la successione T–D o S–D si chiama cadenza sospesa.
Va ricordata anche la cadenza plagale S–T, successione strutturalmente più debole ma usata spesso in posizione secondaria o di conferma finale (dopo la cadenza perfetta).
La S in effetti non è sempre necessariamente seguita da una D e il giro armonico T–S–T–D–T è comune soprattutto nelle musiche antiche o popolari. Nel lied La trota di Schubert, dopo alcune successioni basate su armonie di tonica e dominante, alle parole “des muntern Fischleins Bade” c’è una successione plagale, alternata a una cadenza perfetta
ascolto n. 21
Facciamo ancora qualche esempio del giro T–S–D–T.
ascolto n. 22 -Mozart, “Deh vieni alla finestra” da Don Giovanni
(prestate attenzione fino alla parola “tesoro” perché nella seconda frase poi c’è una cadenza secondaria alla dominante, di cui parleremo oltre).
Il tema del Minuetto della Sinfonia n. 39 di Mozart (otto battute) ha la stessa successione, con un ritmo armonico di due battute per funzione:
ascolto n. 23
Ascoltiamo l’inizio del Finale della Sinfonia “Haffner” di Mozart. Dopo le battute piano, tutte giocate tra T e D, il forte inizia con delle strappate (ancora T e D) e poi con un dialogo stretto tra violini e bassi, la cui armonia è T–S–D–T. La situazione è simile, anche se non identica, al frammento della Sinfonia “Jupiter”, solo che qui è ancora a più veloce, anzi velocissimo (il tempo è Presto alla breve)
ascolto n. 24
Isoliamo quattro battute con la successione T–S–D–T
ascolto n. 25
Sembra un attimo, eppure sono successe tante cose; ma ci sono anche pezzi dove una stessa funzione resta ferma per decine di battute. Come dicevamo all’inizio, il ritmo armonico può essere lentissimo o anche molto veloce e bisogna stare attenti a non lasciarsi trarre in inganno.
Poco usata, almeno in epoca barocca e classica, la successione D–S, che infatti inverte la direzione delle preparazioni e attrazioni più tipiche della tonalità. Se ne trovano a partire dall’Ottocento avanzato e poi essa diventa usuale soprattutto nella musica popolare. Ascoltiamo un esempio in cui Dvorak la usa nella Danza slava n. 6, all’inizio (un accordo per battuta con la successione T–D–S–T)
ascolto n. 26
Qui la successione D–S in realtà è indiretta, essendo il risultato dell’accostamento di due cadenze simili sia per la forma della melodia che per la forma del basso, ossia T–D, S–T.
Ascoltiamo il Minuetto della Sinfonia “Haffner”. La prima frase, in forte, è di quattro battute con armonia T — /- – – /- – – /D – –; la seconda, in piano, è S – – /- – – /D – – /T – –; anche qui la cesura tra le due frasi mitiga l’accostamento tra D e S
ascolto n. 27
Il modo minore, come dicevamo, è simile al maggiore, con la differenza che la tonica e la sottodominante sono armonie minori (t, s), mentre la dominante, anche nel modo minore, è maggiore (D). In questo modo si produce la tipica fluttuazione del VII grado (e a ruota, quando necessario, del VI), che deve venire innalzato ogni volta che una sensibile sale alla tonica. Riprendiamo Das Lindenbaum e ascoltiamo un frammento più lungo: dopo la frase in maggiore che conosciamo già c’è una frase in cui la stessa musica viene trasformata per alcune battute in modo minore; le funzioni sono le stesse
ascolto n. 28
In questo pezzo, antico popolare ma qui rivisitato con gusto moderno, l’armonia è un ostinato t–s–D:
ascolto n. 29
ESERCIZI – SERIE 1
Gli ascolti per questa sezione si trovano qui
https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgX7yJiplbvLm5KpN?e=TwgiHy
Verranno ora presentati dei frammenti, prima in versione “normale” e poi in una versione con interruzioni. Ascoltate più volte la versione normale e cercate di individuare la funzioni armoniche, poi passate alla versione con le interruzioni e scrivete le funzioni corrispondenti ad ogni interruzione (scrivete T o S o D, se il modo è minore ovviamente t o s o D; tenete sempre presente che quasi tutte le dominanti hanno la settima, noi scriviamo D per comodità, a voler essere pignoli bisognerebbe scrivere D7). Non ci sono interruzioni ad ogni cambiamento di funzione, altrimenti la musica sarebbe troppo spezzata, quindi ascolterete altre armonie oltre quelle che dovete scrivere. Non sempre le altre armonie corrispondono a funzioni semplici, ci sono dominanti secondarie ecc., cose che vedremo in seguito. Le funzioni che viene richiesto di individuare sono in ogni caso chiare e facilmente identificabili, anche se alcune possono essere molto brevi.
La distribuzione delle interruzioni è alquanto casuale. La funzione finale di ogni frammento non è sempre richiesta, perché in alcuni casi è un accordo modulante; in altri casi è citata, perché è facile (spesso si tratta di una tonica). Avete libertà di segnarla o tralasciarla. È importante però che, prima di passare ai frammenti interrotti, ascoltiate bene e più volte i frammenti interi. È qui che la mente deve individuare le coordinate del discorso armonico; solo quando vi siete ben orientati nella sintassi tonale potete passare all’ascolto con interruzioni, altrimenti l’esperienza di traduce in una frastornante serie di stimoli veloci e confusi. Dopo che avete scritto le funzioni, confrontate con le soluzioni più sotto. Se trovate qualche difficoltà, insistete comunque ed evitate ovviamente di guardare le soluzioni prima del dovuto, perché in tal modo l’allenamento sarebbe del tutto inutile.
Beethoven, Romanza per violino
Mozart, Gran Partita, Romanza
Beethoven, Sinfonia n. 6 “Pastorale”
II movimento
Händel, Aria dall’oratorio Sansone
Mozart, Concerto per clarinetto, I movimento
Beethoven, Sinfonia n. 1, II movimento
Beethoven, Sinfonia n. 5
I movimento
Il modo minore è meno stabile e spesso ha una tendenza ad abbandonare la tonalità iniziale e a dirigersi verso altre aree (soprattutto il relativo maggiore). Ascoltiamo una piccola selezione di corali di Bach in tonalità minore. Troverete le interruzioni per lo più all’inizio e alla fine del pezzo, in quanto nella parte centrale, appunto, spesso la tonalità iniziale viene temporaneamente messa da parte per essere recuperata verso la fine. Alcuni corali, pure essendo in modo minore, terminano con una tonica maggiore (T), cosa consueta all’epoca.
Jesus Christus, unser Heiland
Herr, ich habe mißgehandelt
Ach was soll ich Sünder machen
Soluzioni:
Beethoven, Romanza per violino
D D D S T
Mozart, Gran Partita, Romanza
S D D S D D T
(qui state attenti a non confondere le interruzioni con le pause dell’originale)
Beethoven, Sinfonia n. 6 “Pastorale”
II movimento
T D S D T D S D D T
Händel, Aria dall’oratorio Sansone
D T S
Mozart, Concerto per clarinetto, I movimento
S T D S D S S D S D S S S D
Beethoven, Sinfonia n. 1, I movimento
S S D T D T S D T
Beethoven, Sinfonia n. 5
I movimento
D t D
Corali di Bach:
Jesus Christus, unser Heiland
D t s S D
(la sottodominante maggiore è determinata dal movimento ascendente, cosiddetta scala melodica)
Herr, ich habe mißgehandelt
s D t D t D
Ach was soll ich Sünder machen
D s s
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.