Passiamo ora a lavorare su piccoli pezzi a tre voci. Ora, siccome diventerebbe complicato suonare tre voci in multitraccia, e ci sarebbero anche problemi di estensione, li trascriviamo. Per ogni terzetto c’è una versione al pianoforte e una all’organo. Quella all’organo è chiaramente più facile (utile in particolare per capire bene quanto durano le note lunghe), ma in certi casi il pianoforte fa sentire meglio le note quando c’è più densità. Incrociate del due versioni e non sbaglierete.

Avrete dei documenti chiamati “suggerimenti” che serviranno per capire bene la tonalità, il metro, la scansione, e in alcuni casi a uniformare la difficoltà.

I suggerimenti sono scritti su due sistemi; quando due voci sono nello stesso rigo le note della più acuta hanno le zampette in su e le note della più grave hanno le zampette in giù; in questo modo l’appartenenza di una nota ad una determinata voce piuttosto che ad un’altra è sempre chiara. Voi però dovete scrivere su un sistema di tre righi, uno per voce, perché in questo modo la polifonia è più chiara e la stessa grafia vi porta a pensare le diverse voci come indipendenti l’una dall’altra. La voce superiore può essere scritta sempre in chiave di violino, la voce inferiore può essere scritta sempre in chiave di basso, la voce centrale può essere scritta per lo più in chiave di violino, ma in alcuni casi può essere necessario passare momentaneamente in chiave di basso per evitare di dover mettere troppi tagli addizionali; in alternativa si può usare sempre la chiave di contralto per la seconda voce.

Potete aiutarvi con uno strumento, ma tenete presente che meno suonate, più l’esercizio è utile.

Fate questi terzetti:

Cacciatore 5, 24, 5a

D’Arcangelo 3, 15, 8a

Scardetta 10, 20, 9a

Parlione 14, 7a, 22a

I documenti sono divisi in due serie, la prima è questa:

1. 3v organo

1. 3v piano

2. 3v organo

2. 3v piano

3. 3v organo

3. 3v piano

4. 3v organo

4. 3v piano

5. 3v organo

5. 3v piano

6. 3v organo

6. 3v piano

7. 3v organo

7. 3v piano

8. 3v organo

8. 3v piano

9. 3v organo

9. 3v piano

10. 3v organo

10. 3v piano

11. 3v organo

11. 3v piano

12. 3v organo

12. 3v piano

13. 3v organo

13. 3v piano

14. 3v organo

14. 3v piano

15. 3v organo

15. 3v piano

16. 3v organo

16. 3v piano

17. 3v organo

17. 3v piano

18. 3v organo

18. 3v piano

19. 3v organo

19. 3v piano

20. 3v organo

20. 3v piano

21. 3v organo

21. 3v piano

22. 3v organo

22. 3v piano

23. 3v organo

23. 3v piano

24. 3v organo

24. 3v piano

25. 3v organo

25. 3v piano

26. 3v organo

26. 3v piano

27. 3v organo

27. 3v piano

I suggerimenti per la prima serie sono questi:

https://1drv.ms/b/s!Asz4mR3Ib0tQghCy3X4GDPBR8mPj

Questa è la seconda serie:

1a. 3v organo

1a. 3v piano

2a. 3v organo

2a. 3v piano

3a. 3v organo

3a. 3v piano

4a. 3v organo

4a. 3v piano

5a. 3v organo

5a. 3v piano

6a. 3v organo

6a. 3v piano

7a. 3v organo

7a. 3v piano

8a. 3v organo

8a. 3v piano

9a. 3v organo

9a. 3v piano

10a. 3v organo

10a. 3v piano

11a. 3v organo

11a. 3v piano

12a. 3v organo

12a. 3v piano

13a. 3v organo

13a. 3v piano

14a. 3v organo

14a. 3v piano

15a. 3v organo

15a. 3v piano

16a. 3v organo

16a. 3v piano

17a. 3v organo

17a. 3v piano

18a. 3v organo

18a. 3v piano

19a. 3v organo

19a. 3v piano

20a. 3v organo

20a. 3v piano

21a. 3v organo

21a. 3v piano

22a. 3v organo

22a. 3v piano

23a. 3v organo

23a. 3v piano

24a. 3v organo

24a. 3v piano

25a. 3v organo

25a. 3v piano

26a. 3v organo

26a. 3v piano

E questi sono i suggerimenti per la seconda serie:

https://1drv.ms/b/s!Asz4mR3Ib0tQghHj1UT7cTMO_dhM

Anche in questo caso i suggerimenti sono scritti su due sistemi, ma voi dovete scrivere su un sistema di tre righi.

Scaricate la cartella

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgnlqn9BCUrV2-Cz_?e=TsJDLz

(attenzione, è un sacco di roba, più di mezzo giga)

NOTA

Questi sono esercizi di puro allenamento percettivo, che servono a prendere confidenza con l’ascolto polifonico. Non è musica che bisogna imparare, anzi, è importante non imparare affatto questi esercizi a memoria, altrimenti non servono a niente. Per far ciò conviene mischiarli, farli in modo casuale, iniziare da punti diversi ogni volta. In altre parole, bisogna confondere la memoria, perché se li imparate poi non sono più utili come allenamento all’ascolto della seconda voce.

Non tutti gli esercizi saranno ugualmente facili o difficili per tutti. Se alcuni esercizi sono troppo facile passate oltre, se sono difficili dovente insistere senza fretta di andare oltre. Insomma queste cose le dovete gestire da soli, in base al vostro orecchio.

Se avete bisogno di ripetere dei frammenti vi consiglio di aprire i documenti audio con programmi che fanno vedere la forma d’onda (Audacity, ecc.), è più comodo.

Tutto questo lavoro va fatto esclusivamente a orecchio.

Esercizio n. 1a

Esercizio a due voci.

Ascoltare i frammenti e cantare in questo modo:

 Cosa fa l’esercizioCosa fa l’allievo
1suona il frammento a due vociascolta, in particolare prima voce
2pausaricanta la prima voce
3suona solo la prima voceverifica
4suona il frammento a due vociascolta, in particolare la seconda voce
5pausaricanta la seconda voce
6suona solo la seconda voceverifica
7suona il frammento a due vociascolta e riassume

Così per ogni frammento

Dato che la seconda voce è più importante, essa si trova in un registro comodo per cantare. Questo significa che spesso la prima voce è un po’ acuta. In questi casi accennate oppure cantate solo mentalmente, ma evitate di trasportare la prima voce un’ottava sotto, altrimenti si rivolta la disposizione delle voci e tutto diventa più difficile.

Esercizio n. 1b

È lo stesso esercizio precedente, ma da fare tutto di seguito, cantando per ogni frammento la seconda voce insieme alla prima, di seguito e a tempo.

Le coppie di esercizi 2a-2b, 3a-3b, 4a-4b, 5a-5b seguono le stesse modalità della coppia 1a-1b.

L’esercizio n. 4 è in suddivisione ternaria.

Le prime volte bisogna cantare con sillabe libere, poi con il do mobile (solfeggio relativo), almeno la voce inferiore.

Per facilitare la solmisazione vengono date le seguenti indicazioni.

Nel n. 1 la seconda voce usa quasi esclusivamente i primi cinque gradi della scala maggiore.

Nel n. 3 la seconda voce usa i primi cinque gradi della scala minore.

Nel n. 2 la seconda voce usa liberamente i suoni della scala minore. Ricordate di cambiare i suffissi ascendendo (fi-si) e discendendo (so-fa).

Nel n. 4 la seconda voce usa liberamente i suoni della scala maggiore e alcune alterazioni di passaggio. Chiamate con esattezza i suffissi di queste alterazioni.

Nel n. 5 la seconda voce usa liberamente i suoni della scala minore e qualche alterazione di passaggio.

Gli esercizi dal n. 6 al n. 12 sono a tre voci. Essi seguono tutti la stessa modalità di presentazione, che è la seguente:

  • le tre voci insieme
  • pausa (per cantare la seconda voce, se ci si riesce subito)
  • prima voce, per facilitare l’ascolto
  • terza voce, per facilitare l’ascolto
  • prima e terza voce insieme, per facilitare l’ascolto
  • di nuovo le tre voci insieme
  • pausa (ulteriore possibilità per cantare la seconda voce)
  • seconda voce (soluzione)
  • ascolto completo (verifica)

Le prime volte cantate con sillabe libere, poi cantate utilizzando il solfeggio relativo.

Provate a cantare subito la seconda voce, altrimenti ascoltate le voci separatamente; l’obiettivo però è arrivare a cantarla subito.

Seguono alcune note particolari sugli esercizi, utili per l’ascolto e, soprattutto, per la solmisazione.

Esercizio n. 6

La seconda voce usa solo note diatoniche in modo maggiore.

Esercizio n. 7

La seconda voce usa le note della scala maggiore, con sporadiche alterazioni.

Esercizio n. 8

La seconda voce usa i primi cinque gradi della scala maggiore.

Esercizio n. 9

La seconda voce usa i primi cinque gradi della scala minore.

Esercizio n. 10

La seconda voce usa la scala minore con sporadiche alterazioni.

Esercizio n. 11

La seconda voce usa tutte le note della scala maggiore.

Esercizio n. 20

In questo esercizio c’è da segnalare un errata corrige: a 12’20’’ c’è una nota sbagliata (un la al posto di un sol nella parte interna).

2 – LA QUARTA E SESTA

Gli ascolti per questa sezione si trovano qui

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgh-IHgyC_RpjicTu?e=0OVSBn

Negli ascolti fatti fin qui avrete forse notato che in qualche caso il giro armonico sembra più lungo rispetto alla semplice successione di sottodominante, dominante e tonica, in particolare sembra che ci sia un accordo in più; per esempio, considerando la tipica successione TS-DT, certe volte sentiamo una presenza ulteriore: TS-?-DT. Succede che spesso la funzione di dominante è espressa da due accordi successivi, di cui il secondo è la D vera e propria, mentre il primo ha funzione di abbellimento armonico. Si tratta in pratica di un accordo che funziona come appoggiatura della D, la cosiddetta quarta e sesta costruita sul basso di dominante. Ragionando in Do maggiore, avremo soldomi. Se ascoltiamo la funzione di questo accordo, ci accorgiamo che è senz’altro di dominante. Nella Scena lungo il ruscello che abbiamo già ascoltato, la quarta e sesta corrisponde allo sforzato, mentre la triade di D si trova alla fine della scala ascendente della melodia

ascolto n. 30

se interrompiamo la musica in corrispondenza della quarta e sesta sentiamo un chiaro senso di sospensione

ascolto n. 31

Il senso di dominante si spiega con il fatto che la quarta e la sesta sono delle appoggiature della terza e della quinta, quindi questo accordo va considerato come strettamente unito alla successiva D, una sorta di doppia fioritura melodica delle voci superiori che produce un’armonia di passaggio. Dal punto di vista funzionale quindi l’accordo di quarta e sesta e la successiva dominante sono un’unica entità dominantica. Si scrive D4-6D3-5T. L’accordo di quarta e sesta spesso è trattato come entità autonoma dal punto di vista ritmico, per esempio in una successione di strappate, e questa cosa potrebbe trarre in inganno l’orecchio, che potrebbe confonderlo con una sottodominante; questo inconveniente però viene facilmente risolto ascoltando bene il senso della funzione, che è di tensione e non di preparazione, e ascoltando il basso, che nella successione D4-6D3-5 resta fermo. Ascoltiamo ora altre cadenze già incontrate dove c’è la quarta e sesta. Cadenza sospesa D4-6D3-5:

ascolto n. 32

Quarta e sesta in evidenza, lunga, in corrispondenza del diminuendo e del motivo dei corni, poi D in corrispondenza delle scale degli archi:

ascolto n. 33

Qui la successione D4-6DT sta in corrispondenza delle parole “l’eco del miei lamenti”

ascolto n. 34

            La quarta e sesta può anche essere occasione per una sottolineatura enfatica della fine di una melodia; nell’aria verdiana Di Provenza il mar, il suol, dalla Traviata, essa sottostà all’intensa frase “Dio mi guidò” (nella seconda strofa “Dio m’esaudì”)

ascolto n. 35

I passaggi di questo tipo sono quelli che, già a partire dall’epoca del Belcanto, i solisti amavano fiorire di passaggi languidi, ironici o brillanti. Essi prendono le mosse da un accordo sospensivo dell’orchestra, che passa la parola al solista. L’accordo sospensivo non deve essere necessariamente una quarta e sesta, può essere anche una dominante, una settima diminuita, ecc., ma la quarta e sesta è la soluzione più usata. Questa prassi ho poi portato alle cadenze solistiche nei concerti per strumento solista e orchestra, che infatti spesso sono introdotte da un accordo di quarta e sesta del tutti orchestrale; questa è una dimostrazione del fatto che il senso di questo accordo è sospensivo, quindi dominantico: esso proietta su tutta la cadenza solistica il caratteristico senso di attesa, che si risolve soltanto alla fine in una cadenza perfetta, spesso con un trillo:

ascolto n. 36 – Haydn, Concerto per tromba

Altro esempio nel Concerto per violino di Brahms (anche qui la cadenza solistica è tagliata perché è molto lunga)

ascolto n. 37

e così per tantissime altre cadenze solistiche.

La parola “cadenza” può generare equivoco perché in musica ha due significati, il primo è quello che si usa in armonia e che abbiamo usato finora, che indica le tipiche successioni armoniche che segnano i punti nodali dell’articolazione discorsiva, l’altro significato indica gli episodi solistici che si trovano nei concerti per strumento e orchestra. Per evitare confusione usiamo la parola “cadenza” per il primo significato e la locuzione “cadenza solistica” per il secondo. La conoscenza dell’armonia però ci spiega il motivo di questa sovrapposizione terminologica: la cadenza solistica, dal punto di vista della sintassi formale, è un’espansione della cadenza armonica. Se nei nostri esempi eliminiamo la cadenza solistica e saltiamo direttamente dalla quarta e sesta al trillo finale abbiamo una chiara successione D4-6D3-5T

ascolto n. 38

Consideriamo anche che all’origine le cadenze solistiche non venivano scritte ma improvvisate: l’esecutore inventava la sua cadenza, giocando a mantenere in sospeso l’evoluzione della forma in un momento di libertà, capriccio, effetto, ironia,  virtuosismo, per dimostrare non solo la sua bravura di strumentista ma anche abilità nell’inventare soluzioni musicali originali e brillanti. Sulla partitura però non c’era scritto altro che un accordo di quarta e sesta con una corona, seguito una dominante, ossia, appunto, una “cadenza” nel senso armonico del termine. Ecco quindi che i due significati della parola non sono poi così distanti.

Esempio di quarta e sesta modo minore: nelle prime battute la successione è tDtGs6D4-6D3-5-t

ascolto n. 39 – Schumann, Hör ich das Liedchen klingen

(vedremo più avanti il significato della sigla tG, se preferite classificate queste armonie con i gradi: I-V-VI-IV6-V4-6– V3-5-I).

3 – GLI ACCORDI PARALLELI

Gli ascolti per questa sezione si trovano qui

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgi1xHTcKMbUz4HOK?e=XbW1mR

Vi sarete accordi che l’uso prolungato di armonie semplici di tonica, sottodominante e dominante dopo un po’ di tempo inizia a generare noia. Infatti già dal lontano Seicento, ossia dalla nascita dell’armonia, i musicisti hanno sentito il bisogno di rendere l’armonia più interessante. Per ottenere questo risultato si possono usare altri accordi oltre quelli di quelli che abbiamo incontrato finora, attraverso sostituzioni, ossia è possibile usare, al posto di un accordo, un altro accordo che rappresenta la stessa funzione. Da questo momento in poi sarà necessario indicare con T, S, D (in minore t, s, D) soltanto gli accordi principali di ogni famiglia, perché useremo simboli specifici per alcuni accordi di sostituzione costruiti su altri gradi, che ora vedremo. In ciascuna delle “famiglie” funzionali infatti trovano posto accordi costruiti su gradi diversi. Ma prima di andare avanti esponiamo le corrispondenze tra le funzioni principali incontrate finora e i gradi:

la tonica (T o t) corrisponde all’accordo di I grado;

la dominante (D o d) corrisponde al V grado;

la sottodominante (S o s) corrisponde al IV grado.

La maggior parte delle funzioni che abbiamo ascoltato finora sono in effetti accordi di I, IV e V grado. Questa corrispondenza però non va presa come una regola rigida. Come vedremo subito, l’armonia funzionale dà conto di molte soluzioni che possono rendere più ricca e varia questa corrispondenza. Le sostituzioni armoniche sono la tecnica che si usa per ottenere questa varietà.

La più comune sostituzione è quella che si ottiene con gli accordi paralleli. Gli accordi paralleli sono quelli le cui fondamentali si trovano ad una distanza di terza minore rispetto all’accordo principale. In do maggiore, come sappiamo, l’accordo di I grado (domisol), ossia T, è costruito sulla fondamentale do; nella scala diatonica, la nota la si trova ad una distanza di terza minore dalla nota do; l’accordo diatonico costruito sulla nota la (ladomi, VI grado) è l’accordo parallelo della tonica. È un accordo minore, e infatti la dicitura completa ed esatta è “accordo minore parallelo della tonica maggiore”; per brevità viene chiamato più spesso “tonica parallela”; si scrive Tp. Lo stesso procedimento si può applicare alla S, ottenendo una Sp, ossia una sottodominante parallela (II grado, in do maggiore refala).

Nel modo minore la situazione si inverte: la tonica minore (I grado) viene sostituita dall’accordo di III grado (in la minore domisol), che è maggiore, e si scrive tP. Allo stesso modo la sottodominante s viene sostituita dalla sP, che è l’accordo di VI grado (falado). Frequente nel minore anche la sostituzione della dominante con la dP (in La minore solsire).

Vale quindi la regola che gli accordi principali e gli accordi paralleli sono in rapporto inverso di modo, se gli uni sono maggiori, gli altri sono minori, e viceversa. Questo è il motivo per cui sono molto usati: essi rendono più vario il colore armonico, introducendo elementi di modo minore nel modo maggiore ed elementi di modo maggiore nel modo minore.

Riconoscere un accordo parallelo è facile, in quanto esso esprime con chiarezza la funzione a cui appartiene, ma con un colore modale opposto. Infatti, se l’accordo principale è maggiore, l’accordo parallelo è minore, e viceversa. Per esempio, se siamo in modo maggiore e percepiamo un senso di stabilità non assoluta ma relativa, in ragione di una sonorità minore, probabilmente avremo a che fare con una Tp; se percepiamo un’apertura con un colore minore, probabilmente avremo a che fare con una Sp. Se siamo in modo minore e percepiamo un’apertura resa più chiara da un colore maggiore, probabilmente avremo a che fare con una sP, se percepiamo una stabilità resa più forte da un colore maggiore, probabilmente avremo a che fare una tP.

Le Danze slave sono piene di cadenze alla Tp, ascoltiamo questo passaggio dalla n. 6

ascolto n. 39

è molto semplice: la stessa breve frase viene affidata una volta agli archi e una volta ai legni, il tutto con ritornello; la frase degli archi cadenza alla T, la frase dei legni cadenza alla Tp.

Ascoltiamo i primi quaranta secondi di quest’altra Danza slava di Dvorak (n. 4); qui la situazione è leggermente più complicata, ma con un po’ di pazienza la riuscirete a dipanare

ascolto n. 40

Alla seconda battuta c’è una fermata su un accordo, che è una Tp, segue quindi una cadenza perfetta, poi una ripetizione variata, per un totale di otto battute che vengono ripetute in ritornello. Ascoltate diverse volte e fate attenzione alla Tp: avvertirete una sensazione ambigua, da un lato di conferma e dall’altro di fragilità, che è tipica di questa armonia. La successiva frase invece inizia in dominante e al posto della Tp ha una S che, insieme alle seguenti D e T, costituisce una cadenza composta con quarta e sesta. Anche questa frase è ritornellata. Ascoltate anche con le interruzioni:

Tp T Tp T D S T

ascolto n. 41

(Ricordate sempre che le interruzioni non corrispondono a tutti i cambiamenti di armonia, ma solo a una parte; le sequenze di sigle pertanto non mostrano la successione completa.)

Nella Serenata “Gran Partita” per 13 fiati di Mozart, all’inizio del celebre Adagio la prima    frase dell’oboe, dopo una nota lunga, plana su un’appoggiatura che, se non ci fosse l’armonia, potrebbe sembrare un arrivo su una tonica, ma invece il senso armonico viene reso più articolato da una sostituzione di Tp

ascolto n. 42

Spesso la Tp è trattata di passaggio, tipicamente come momento intermedio tra la T e la S nella cadenza composta. Questa successione determina il più comune “giro” di migliaia di canzoni, ossia I-VI-IV-V-I oppure, se al posto della S si usa la Sp, I-VI-II-V-I. Questa successione non è tipica solo della musica popolare ma esiste già da qualche secolo; in questo pezzo (Frühlingstraum di Schubert) ascoltate nelle prime battute una Tp sulla parola “Blumen”; la frase va poi avanti combinando T, S e D in semplici cadenze, che adesso dovreste essere in grado di individuare senza difficoltà

ascolto n. 43

            Un altro uso tipico della Tp è la sostituzione della T in cadenza perfetta, ossia DTp (V-VI) al posto di DT. Questa successione, chiamata dalla teoria tradizionale cadenza d’inganno, è meno definitiva della cadenza perfetta e pertanto rinvia la chiusura del pezzo o della sezione a un momento successivo, una specie di falsa cadenza in attesa della cadenza “vera”. Sinfonia “Haffner”, inizio:

ascolto n. 44

ascoltate anche con l’interruzione:

ascolto n. 45

            Wagner all’inizio del Lohengrin usa un’insolita successione TTpT, in una situazione in cui tradizionalmente si sarebbe usata una cadenza plagale; la successione usata da Wagner, rispetto alla cadenza plagale, è più statica e più coloristica (ombreggiatura maggiore-minore-maggiore sulla funzione di tonica), in linea con il carattere onirico del pezzo

ascolto n. 46

            Passando alle sottodominanti, in Malafemmena esse sono tutte Sp (ce ne sono sia nella strofa che nel ritornello, sotto le parole “a mme”, “a te”, “’nfamità”, “’ngannà”, ecc.)

ascolto n. 47

Tornando a Wagner, il tema iniziale del Tannhäuser ha un colore particolarmente scuro, soprattutto nelle prime battute, dovuto alle sostituzioni parallele (Tp alla seconda battuta e Sp alla quarta battuta), oltre che alla registro e alla strumentazione

ascolto n. 48

Va detto però che distinguere una Sp da una S è difficile, in parte per il fatto che anticamente ed in epoca classica l’accordo S spesso non era una triade ma un accordo di sesta (S6, in do maggiore falare). Questo fa sì che i suoni della S6 siano di fatto gli stessi della Sp (ossia, in do maggiore, le note re, fa, la, diversamente disposte) e che le due armonie si somiglino tra di loro. A questo proposito bisogna tener presente che inizialmente l’accordo di S6 era considerato a tutti gli effetti un accordo costruito sul basso e non un rivolto dell’accordo di II grado, in linea con quanto abbiamo detto a proposito della concezione barocca dell’armonia. Il concetto della distinzione tra fondamentali e rivolti infatti compare a Ottocento inoltrato, mentre nelle epoche anteriori quello che contava era il basso, su cui si costruiva un accordo secondo certi intervalli in base alle necessità. L’accordo falare quindi era considerato un accordo maggiore con la sesta, e non un accordo minore rivoltato, come tende invece a considerarlo il nostro orecchio moderno. Questo è il motivo per cui a volte fatichiamo a distinguere tra una S6 e una Sp3 (ossia una Sp con la terza al basso), a meno di non ascoltare distintamente la nota del basso e capire se si tratta del II o del IV grado. Molte delle sottodominanti che abbiamo ascoltato finora sono in realtà delle S6, per esempio

ascolto n. 49

ascolto n. 50

ascolto n. 51

La cadenza S6 D4-6D3-5T è la più usata in assoluto in musica classica, ascoltate la fine di questa frase che già conoscete

ascolto n. 52

e sicuramente riconoscerete l’inconfondibile sapore classico di questa successione. I finali rossiniani, per esempio, sono fatti quasi tutti con questo giro.

All’inizio del Notturno dal Sogno di una notte d’estate di Mendelssohn ci sono quattro battute di tonica e poi, con un accordo per battuta, TpSSpD.

ascolto n. 53

Riprendiamo il Quintetto con clarinetto, dove la situazione è simile: dopo la S che abbiamo già citato, la cadenza prosegue con SpDT; notate anche qui, nel passaggio da S a Sp, il basso che scende di una terza (dal IV al II grado)

ascolto n. 54

Molto chiaro è invece il passaggio agli accordi paralleli nel modo minore. Come abbiamo visto, essi sono maggiori, e infatti la tendenza del modo minore a scivolare nel suo relativo maggiore, di cui abbiamo parlato a proposito dei corali di Bach, si realizza principalmente con l’uso degli accordi paralleli. È chiaro: se siamo in la minore ed iniziamo a cadenzare con sP, dP, tP, altro non stiamo facendo che cadenzare in do maggiore, la sensibile sol# viene presto dimenticata e così la tonalità di do maggiore tende a prendere il sopravvento su quella di la minore.

L’ouverture Le Ebridi di Mendelssohn è molto chiara in proposito perché inizia con un t che dopo due battute passa direttamente a una tP. Ascoltiamo un frammento un po’ esteso per mettere a fuoco l’ambientazione tonale

ascolto n. 55

e adesso con interruzioni sulle due tP:

ascolto n. 56

Nel lied di Schubert Trockne Blumen la sezione iniziale ha quattro cadenze, di queste le prime tre sono alla tP (sotto le parole “ins Grab”, “gescheh”, “wie blaß[1]”), mentre l’ultima è alla D (sotto le parole “so naß”)

ascolto n. 57

Significativa è la Danza slava n. 7 di Dvorak, che è in modo minore, ma nella quale solo le prime quattro battute sono in minore, mentre tutto il resto del pezzo insiste su armonie maggiori, e solo alle ultime battute il pezzo si rivela essere effettivamente in minore

ascolto n. 58

Questo pezzo è il caso estremo di una tendenza generale del sistema tonale.

Il giro I-VI-IV-V-I è usato anche nel modo minore. Qui il VI grado è meglio interpretabile come sP che come tonica, ma queste distinzioni sono un po’ accademiche, di fatto qui l’accordo di VI grado è un momento intermedio nel passaggio dalla t alla s, similmente a come accade nel giro maggiore. Ancora dai lied di Schubert, Ständchen, nella breve introduzione pianistica (invece quando entra la voce l’armonia passa direttamente dalla sP alla D, per potersi trovare in t alla quarta battuta della frase)

ascolto n. 59

C’è poi un’altra possibilità, ossia quella di usare l’accordo parallelo che si trova ad una distanza di terza maggiore delle fondamentali. Questi accordi sono chiamati controparalleli che in tedesco si dice Gegenklang. Dato che l’armonia funzionale nasce in Germania, dappertutto si usa di indicare questi accori con la lettera G (o g). Sono meno usati degli accordi paralleli, ma va menzionato l’accordo sul III grado della scala maggiore Tg, che spesso segue la T prima di passare alla Tp o a una delle forme della sottodominante. Nel lied di Schubert Im Frühling il secondo accordo è Tg e tutta la successione della prima battuta, poi spesso ripetuta durante il pezzo è T-Tg-S-T

ascolto n. 60


[1] Il carattere tedesco ß corrisponde a una doppia s.

Nel modo minore il contraccordo di tonica tG è l’accordo di sesto grado. Fisicamente parlando, esso corrisponde esattamente alla sP, ma ne è differente la funzione. Esso viene usato soprattutto nella cadenza d’inganno V-VI, dove evidentemente rappresenta una tonica e non una sottodominante. L’introduzione pianistica di questo lied, che abbiamo già ascoltato come esempio di S6 nel mondo minore, ha un accordo per battuta secondo la successione che qui ripetiamo: tDtGS6D4-6D7t–; prestate ora attenzione al terzo accordo; lo stesso giro viene ripetuto sotto la prima frase della voce, poi l’armonia cambia

ascolto n. 61 – Schumann, Hör Ich das Liedchen klingen

ESERCIZI – SERIE 2

Gli esercizi per questa sezione si trovano qui

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgkVCDGm_JGTeISbE?e=wFNO1g

Ascoltiamo una serie di esempi dalle Stagioni di Vivaldi. In questi pezzi le sezioni tematiche sono estremamente semplici dal punto di vista armonico (per lo più funzioni principali, con lunghe sezioni alla tonica). Ci sono complessivamente pochi accordi paralleli, ma intanto cercate di individuarli. Per il resto considerate questi ascolti un consolidamento dell’attività precedente.

A dispetto della semplicità armonica delle sezioni tematiche, nelle transizioni centrali l’armonia ha spesso tensioni cromatiche, ragion per cui ora ci concentriamo sulle sezioni iniziali e finali. Valgono le stesse indicazioni già date in precedenza: ascoltare bene il pezzo per intero, individuare le armonie, quindi ascoltare i pezzi con le interruzioni, scrivere e infine confrontare con le soluzioni.

La primavera, I movimento   

II movimento

III movimento

L’estate, I movimento (inizio)

II movimento

III movimento (inizio)

L’autunno, I movimento (inizio)

III movimento (inizio)

Soluzioni:

La primavera, I movimento   

D T T T T D D T D Tp Tp Tp T D T

II movimento

t D t D t t s s D

III movimento

T D D T Tp T T D D T D

L’estate, I movimento (inizio)

D t D s D t D

II movimento

D t tP sP dP tP t D t

III movimento (inizio)

D s D t

L’autunno, I movimento (inizio)

S D S D

III movimento (inizio)

D T S

            Parleremo di armonia tonale, ossia del tipo di armonia che è più diffuso, mentre non avremo il tempo di occuparci di altri sistemi armonici (armonie modali, armonie per quarte, armonie timbriche, ecc.).

L’armonia è l’aspetto più prevedibile della musica. Gli accordi infatti raramente definiscono la specificità di un pezzo, ma per lo più ne regolano semplicemente l’organizzazione fraseologica, quindi obbediscono a condotte ricorrenti. Fanno eccezione a questa regola i pezzi di ricerca armonica, dove l’armonia emerge in primo piano come principale elemento significante, ma si tratta di casi o stili particolari, importanti ma minoritari rispetto alla massa delle musiche che conosciamo. Nella maggior parte del repertorio l’armonia si comporta un po’ come la sintassi che usiamo quando parliamo o scriviamo. Fare una frase subordinata o usare un congiuntivo o un condizionale non dice nulla riguardo il significato del nostro discorso e ciò che vogliamo dire, ma serve semplicemente a dare al discorso un’organizzazione comprensibile ed efficace. Prova ne sia il fatto che noi possiamo trovare le stesse strutture in una lettera d’amore, in un comma del Codice Civile o in una pubblicità di saponette. Allo stesso modo, possiamo trovare migliaia di pezzi che usano gli stessi giri armonici, da Mozart alle canzoni di Sanremo.

Tutti noi conosciamo l’armonia a livello uditivo; le successioni che studieremo non sono nuove ma le abbiamo già ascoltate e suonate migliaia di volte. Non si tratta quindi di apprendere qualcosa di nuovo, ma di riconoscere e classificare cose che già sono in qualche modo dentro la nostra testa.

            Perché il lavoro sull’ascolto dell’armonia sia agevole bisogna prima di tutto capire che l’armonia è indipendente dagli altri parametri della musica, e in particolare dalla melodia e dalla dinamica. Su uno stesso giro di accordi si più mettere di tutto: suoni lunghi o corti, lenti o veloci, pianissimo o fortissimo, linee ascendenti, discendenti, ecc. Se si vuol capire l’armonia all’ascolto quindi non bisogna farsi influenzare da altri aspetti che a livello percettivo possono essere anche molto invadenti e catturare la nostra attenzione, portandola fuori strada. Il movimento armonico è in realtà qualcosa che sta sotto la musica, che si avverte poco; allo stesso modo le fondazioni di un muro reggono il muro, ma nessuno le vede perché stanno sottoterra. Per comprendere l’armonia quindi dobbiamo indirizzare l’attenzione verso il movimento che sta sotto la superficie percepibile, e verso il senso che questo movimento produce nella sintassi del discorso musicale. Questo non significa solo e semplicemente ascoltare cosa fanno gli strumenti che suonano il basso e il registro centrale, ma soprattutto ascoltare il senso interno alla frase musicale, la sua organizzazione discorsiva, e non la direzione della linea melodica. Una volta individuata questa organizzazione, l’ascolto fisico delle parti interne e soprattutto del basso ci darà le giuste conferme. Ovviamente strumentisti come pianisti, chitarristi, organisti, sono avvantaggiati perché suonano le armonie tutti i giorni. Anche gli strumenti gravi, come il contrabbasso, il fagotto, ecc. sono relativamente avvantaggiati, perché, suonando i bassi, sono più a contatto con l’armonia. Meno immediata è la cosa per chi suona strumenti acuti ed è portato dall’esperienza a concentrare l’ascolto sulle parti acute. Ma si tratta di differenze facilmente gestibili, che si risolvono nel giro di qualche lezione.

PREMESSA: I DIVERSI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE DELLE ARMONIE

Quando si studia armonia può capitare di imbattersi in modi diversi di classificare gli stessi accordi. Questa cosa è normale e non deve sorprendere, perché nel tempo si sono affermate diverse concezioni armoniche e queste in parte oggi convivono, a volte all’interno di una stessa scuola. Tali differenze hanno ragioni storiche. Come si sa, all’inizio della storia la musica era solo contrappuntistica; una concezione autonoma di armonia si è iniziata ad affermare solo con il Barocco. Nella musica barocca il basso ha un’importanza maggiore rispetto alla musica successiva e attuale. L’epoca barocca viene anche definita, non a caso, Età del Basso Continuo. Il Basso Continuo è una tecnica di composizione per la quale lo schema base della partitura è costituito da un quasi-duetto tra canto e basso, in cui il basso, anche se non è importante quanto la linea superiore, ha comunque una sua identità lineare. Il basso moderno, al contrario, ha un’identità esclusivamente verticale; esso, se produce una sua linea, lo fa in maniera comunque subordinata alla funzione di supporto statico alla costruzione armonica. Da questa differenza deriva la diversa concezione dell’armonia barocca rispetto alla moderna. Se nella musica posteriore la melodia ha già in sé le funzioni armoniche, e queste funzioni risiedono in determinati fondamentali armonici, talché da ogni fondamentale deriva un accordo, nella musica barocca, avendo come dato di partenza non una sola melodia ma il quasi-duetto tra linea superiore e basso, l’armonizzazione non consiste nello sviluppare un percorso accordale sotto la linea ma nel riempire uno spazio tra la linea e il basso.

Per comprendere questa sottile differenza dobbiamo confrontare la tecnica di armonizzazione barocca con quella moderna. L’armonia moderna, come abbiamo detto, si basa sul concetto di fondamentale: ogni accordo ha la sua fondamentale, che genera le coordinate armoniche da cui si costruiscono gli effettivi suoni dell’accordo; ogni accordo poi può essere usato in stato di fondamentale o di rivolto. Dallo stato dell’accordo dipende la nota del basso, che, in caso di rivolto, è diversa dal fondamentale. Il procedimento dell’armonizzazione moderna quindi può essere descritto nelle seguenti fasi: prima si individuano le funzioni armoniche generali corrispondenti ad ogni segmento di melodia, poi si trovano gli accordi, con i relativi fondamentali, poi, eventualmente, si decide di rivoltare qualche accordo (questa ultima operazione viene fatta per dare maggiore varietà all’armonia e spesso anche per migliorare la linearità del basso). Tutto ciò, nella mente del compositore esperto, avviene molto velocemente, sicché a volte si ha l’impressione che le armonie nascano in maniera immediata, ed in effetti è possibile in alcuni casi armonizzare melodie anche estemporaneamente, tuttavia, a livello teorico generale, la concezione armonica è basata su un’analisi che passa comunque per l’individuazione dei fondamentali.

            Il musicista barocco invece ragionava in un modo leggermente diverso: il suo processo di armonizzazione era già abbondantemente guidato dall’intervallo che si generava tra basso e canto, prova ne sia il fatto che nella maggior parte delle partiture barocche i compositori spesso nemmeno scrivevano i numeretti-guida che si usano nei manuali: la corretta armonizzazione veniva data quasi per scontata. L’armonia dell’epoca barocca quindi non veniva concepita a partire dalla fondamentale, ma a partire dal basso: non da un suono generatore che sta a monte della scrittura specifica, ma dal suono che concretamente già sta in partitura, ossia la nota del basso, la quale può coincidere o non coincidere con quello che noi chiamiamo fondamentale armonico. Il concetto di fondamentale anzi non esisteva (inizierà a fari sentire solo nel tardo Barocco e poi pienamente con il Classicismo), così come, di conseguenza, non esisteva il concetto di rivolto. Per esempio, se per noi l’accordo misoldo è un primo rivolto dell’accordo domisol, nel quale si è deciso di mettere un mi al basso al posto del do, per il musicista barocco l’accordo misoldo è un accordo di sesta costruito sul basso mi, e nulla di più.

            L’eredità della concezione barocca è anche il motivo per cui negli studi tradizionali di Armonia complementare si armonizzavano dei bassi, e non delle melodie, e a partire da questi bassi si costruivano degli accordi secondo una numerica che nulla diceva riguardo i gradi, né tantomeno riguardo le funzioni armoniche. Era un sistema barocco rivisto secondo le esigenze moderne, in cui si parlava di rivolti (per esempio l’accordo di sesta veniva definito “primo rivolto”) ma la concezione armonica era ancorata al basso e il modo in cui tale sistema veniva di fatto usato, ossia, nel caso in esempio, costruendo un intervallo di terza e un intervallo di sesta sopra un basso dato, e similmente per tutti gli altri tipi di accordi, rimandava più all’armonia barocca che all’armonia moderna.

            La teoria dei gradi, che si è sviluppata successivamente soprattutto nei paesi anglosassoni, riconduce invece tutto ai fondamentali. Essa ha il merito di aver cercato di classificare le successioni armoniche secondo l’uso che se ne fa effettivamente in musica. L’armonia con i numeri infatti non insegna a gestire la costruzione di un discorso sotto una melodia, perché parte sempre da un basso già esistente, tanto che nei corsi di Armonia complementare tradizionale diventava problematico per l’allievo inventare la linea del basso quando questa non era data e invece veniva data una melodia da armonizzare. Con il sistema dei gradi è possibile armonizzare una melodia e realizzare quei collegamenti tra gradi che sono considerati migliori. È un sistema che quindi ci dice qualcosa di più rispetto a quello che possiamo osservare fisicamente in una partitura. Prendiamo ad esempio le dominanti secondarie, ed immaginiamo di stare in Do maggiore ed incontrare un accordo di LA7 seguito da un accordo di re minore. Mentre la teoria dei numeri cifra questo accordo ad uso del continuista senza chiedersi la ragione dell’alterazione do#, la teoria dei gradi, chiamandolo V di re minore (tonica secondaria) ce ne spiega la ragione, ci fa capire perché quel do è diesis. Usare l’armonia con i gradi significa assumersi maggiore libertà di scelta, perché non c’è più un basso a fare da guida.

Però non tutte le successioni suonano ugualmente bene. Ce ne sono alcune che vengono usate di più e altre che vengono evitate o comunque usate poco. Per padroneggiare l’armonia con i gradi quindi è necessario imparare e ricordare quali sono le successioni migliori. Per questo motivo i manuali di armonia con gradi hanno, in genere all’inizio, una specie di tabellina, del tipo di questa (presa dal manuale di Piston):

Il I è seguito dal IV o dal V, a volte dal VI, meno sovente dal II o dal III.

Il II è seguito dal V, a volte dal IV o dal VI, meno sovente dal I o dal III.

Il III è seguito dal VI, a volte dal IV, meno sovente dal I, dal II o dal V.

Il IV è seguito dal V, a volte dal I o dal II, meno sovente dal III o dal VI.

Il V è seguito dal I, a volte dal IV o dal VI, meno sovente dal II o dal III.

Il VI è seguito dal II o dal V, a volte dal III o dal IV, meno sovente dal I.

Il VII è seguito dal I o dal III, a volte dal VI, meno sovente dal II, dal IV o dal V.

Ovviamente imparare e ricordare tutte queste successioni è scomodo, ma, se si vuole fare un’armonizzazione convincente con il sistema dei gradi, non c’è altro modo.

            Il metodo funzionale, che useremo qui, cerca di ovviare a questo problema. Esso fu teorizzato da un certo Hugo Riemann alla fine dell’Ottocento, fu introdotto nell’insegnamento in Germania nel secondo Novecento e poi, negli ultimi anni, si sta diffondendo sempre più a livello internazionale. Il nome stesso di Armonia funzionale fa capire che intende spiegare il motivo per cui in un certo momento viene usato un certo accordo. Esso non si limita ad indicare quali sono le successioni migliori, ma cerca di spiegarne anche il senso, ci fa capire perché una successione sortisce un certo effetto e un’altra successione sortisce un altro effetto. Con l’armonia funzionale non è necessario imparare tabelle di successioni, perché la stessa classificazione funzionale dice a cosa serve quell’accordo, e quindi nel momento in cui usiamo un accordo sappiamo già perché lo stiamo usando. Non ci dilunghiamo a parlarne qui perché lo conoscerete strada facendo.

Bisogna dire che dal punto di vista teorico, almeno per il musicista moderno, il sistema dei gradi e quello funzionale sono più interessanti. Il sistema dei gradi, se usato consapevolezza e non solo come pura classificazione, dà comunque conto delle funzioni delle armonie; il metodo funzionale tuttavia è più agile. In sostanza, comunque, i due metodi sono sovrapponibili, nel senso che, a parte qualche dettaglio di grafia, dicono sostanzialmente le stesse cose, anche se da prospettive diverse.

            L’ultimo metodo di classificazione degli accordi è il sistema delle sigle, che è a metà tra la teoria dei gradi e il metodo barocco. Esso è sostanzialmente una stenografia che indica gli accordi attraverso lettere e numeri. Dal punto di vista della concezione armonica verticale è affine alla teoria dei gradi, perché fa riferimento al suono fondamentale (l’accordo misoldo per esempio viene chiamato DO/MI o C/E), tuttavia dal punto di vista del pensiero armonico non dice nulla di più che la stessa conformazione materiale della musica, e in questo è simile alla teoria dei numeri. In altre parole, non svela qualcosa che sta oltre ciò che viene scritto o suonato, non è un metodo interessante dal punto di vista della comprensione dell’armonia, ma è piuttosto uno strumento pratico per suonare. A volte, data la sua natura di sistema eminentemente empirico, può arrivare a forzature poco accettabili dalla teoria, cosa che capita soprattutto quando ci sono enarmonie (per esempio, se siamo in Do maggiore, l’accordo di sesta aumentata lab-domib-fa#, che dovrebbe avere appunto il fa#, viene chiamato semplicisticamente Ab7, quindi con il solb, cosa che, in Do maggiore, da un punto di vista teorico non ha senso). In esso inoltre, proprio per la sua natura empirica, ci sono molte varianti, per cui uno stesso accordo si scrive in modi diversi a seconda del periodo, della nazione, della scuola, dello stile, e ciò lo rende poco adatto ad essere preso come base per uno studio sistematico dell’armonia.

            Teniamo presente quindi che le armonie si possono classificare, pensare e scrivere in modi diversi e che ogni modo ne mette in luce qualche aspetto. Il bravo musicista sa passare agevolmente da un sistema all’altro. Per esempio, se siamo in Do maggiore e vogliamo usare l’accordo sol-si-re-fa, poco importa se lo chiamiamo sol3-5-7o V7 o D7 o G7, quello che conta è saperlo usare.

1 – LE FUNZIONI PRINCIPALI

Gli ascolti per questa sezione si trovano qui

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgWDZmKklNxJTI–n?e=Crrpc4

L’armonia è costituita da funzioni armoniche, che si definiscono per un significato intrinseco prima ancora che per una conformazione accordale specifica.

Le funzioni sono tre:

Tonica (T)

Sottodominante (S)

Dominante (D)

Nel modo minore gli accordi di tonica e sottodominante sono minori, e si scrivono t e s. La dominante invece è sempre maggiore (D).

Questa è una regola generale: gli accordi maggiori si scrivono maiuscolo, gli accordi minori si scrivono minuscolo.

Il ritmo armonico, ossia la frequenza dei cambiamenti di funzione, viene stabilito dal compositore, ed è completamente libero: a volte ci può essere un accordo per battuta, altre volte la stessa armonia può prolungarsi a lungo, anche per molte battute, altre volte il ritmo può essere molto veloce, fino ad avere un accordo ogni nota. Su questo fronte l’orecchio deve essere pronto a tutto.

Spesso le funzioni corrispondono ai tre gradi principali della scala (rispettivamente I, IV e V), ma, come vedremo più avanti, non è sempre così, quindi per ora prescindiamo dagli accordi e concentriamoci solo sulla funzione dinamica delle armonie all’interno del discorso musicale.

            Ogni funzione infatti esprime un suo senso specifico nella sintassi della musica.

La tonica esprime stabilità, è il centro del discorso e il punto di arrivo di ogni percorso tonale. La si riconosce facilmente perché se interrompiamo la musica in corrispondenza di una tonica si ha l’impressione che il pezzo potrebbe finire lì, se non dal punto di vista della forma, almeno dal punto di vista della pura sintassi. A livello di senso sintattico la tonica esprime il tono di voce che usiamo quando, parlando, facciamo una semplice affermazione.

Ascoltiamo quaranta secondi da un concerto di Mozart

ascolto n. 1 – Mozart, Concerto K467, II movimento

e sentiamo come il senso di questa frase sia compiuto, chiuso, non solo e non tanto dal punto di vista del movimento melodico quanto dal punto di vista della struttura discorsiva sottostante, con quel caratteristico senso di “andata e ritorno” tipico di tante le musiche tonali, che abbiamo già sentito in tantissimi pezzi. Questo frammento infatti inizia in tonica, poi si sposta, ma alla fine torna di nuovo in tonica.

Qualcosa di simile avviene in questo frammento dal duetto Verranno a te sull’aure dalla Lucia di Lammermoor di Donizzetti, con la differenza che qui a metà del pezzo la seconda frase ricomincia in tonica. Anche questo modello armonico di frase è diffusissimo e lo abbiamo ascoltato in migliaia di pezzi. Più nel dettaglio:

le prime battute sono in tonica (“Verranno a te sull’aure i miei”),

poi succede qualcosa (“sospiri ardenti”)

poi si torna in tonica (“udrai nel mar che mormora”)

di nuovo succede qualcosa ma si conclude comunque in tonica (“l’eco dei miei lamenti”)

ascolto n. 2

La dominante esprime tensione, movimento, sospensione e necessità di risoluzione; questa risoluzione avviene il più delle volte sulla tonica. La tensione è accresciuta dal fatto che questo accordo ha quasi sempre la settima, intervallo che esprime necessità di risoluzione. Corrisponde sintatticamente al tono vocale che usiamo quando, parlando, facciamo una domanda. La dominante si riconosce facilmente perché se interrompiamo la musica in corrispondenza di essa si ha l’impressione che il discorso resti per aria e non possa concludere, come un passo in sospeso che richieda un appoggio. Se interrompiamo a metà la frase del concerto di Mozart sentiamo che il discorso non può terminare lì, deve per forza andare avanti e risolvere su qualcosa

ascolto n. 3

La stessa cosa succede se interrompiamo a metà il duetto di Donizetti

ascolto n. 4

Il senso di sospensione e di irrisolto è evidente, quindi quella cosa che avevamo individuata come diversa dalla tonica nel passaggio “Sospiri ardenti” è una D. Vediamo cosa succede nel seguito. Abbiamo detto che si ricomincia in tonica, ma poi succede di nuovo qualcosa. Proviamo a fermarci su “l’eco dei miei”

ascolto n. 5

Anche qui il senso di sospensione è evidente, quindi abbiamo una D. La risoluzione sulla T avviene quindi alla fine delle frase (“lamenti”).

ascolto n. 6

L’accompagnamento è ridotto all’osso, solo pizzicati e poco altro, e gli accordi quasi non si sentono. Il senso armonico però è chiarissimo, perché è già insito nella melodia e sarebbe chiaro anche se l’accompagnamento non ci fosse per niente. Se ascoltiamo la frase del duetto quando si ripresenta a due, e l’orchestrazione è leggermente più piena, l’effetto armonico è comunque simile:

ascolto n. 7

Questo conferma il fatto che capire l’armonia non è tanto una questione di percezione fisica (sentire i bassi e le note degli accordi) quanto una questione di capire come funziona l’organizzazione del discorso.

Possiamo quindi schematizzare l’armonia del frammento di Mozart in questo modo

T – – – /- – – – /D – – – /- – – – //D – – – /- – – – /T – – – /- – – -/

e quella del frammento di Donizetti in questo modo (scansione ternaria “in uno”)

T – – /- – – /- – – /- – – /- – – /- – – /D – – /- – – //T – – /- – – /- – – /- – – /D – – /- – – /T – – /- – –

Ascoltiamo l’inizio del “Brindisi” della Traviata. Verdi sembra collaborare al nostro corso di Ear training, perché pensa egli stesso a interrompere l’introduzione strumentale sospesa su una D, e sentite che la sensazione di irrisolto è la stessa che abbiamo avvertito negli esempi precedenti. In seguito, quando entra il cantante, il discorso viene completato con l’aggiunta della T:

ascolto n. 8

Molte musiche sono fatte solo di T e D. Queste due funzioni infatti sono sufficienti a creare un senso tonale. Nel pezzo che segue ci sono toniche e dominanti ora più o meno in evidenza, ma comunque tutto il discorso è incentrato sulla loro alternanza

ascolto n. 9 – Schubert, Danksagung an den Bach

Poi:

ascolto n. 10 – Mozart, Serenata K. 185, Minuetto, Trio II

Stessa cosa nel pezzo seguente, sia nell’introduzione pianistica che nelle parte col canto:

ascolto n. 11 -Schubert, Das Lindenbaum

Qui il gioco è più sfumato, le sonorità sono morbide e gli angoli sono smussati, ma se ascoltate il senso della musica è comunque percepibile una sorta di lento dondolio tra movimento e riposo. Ascoltate di nuovo.

Spesso l’alternanza tra queste due funzioni, associata ad una frase ripetuta in modo simmetrico, prima aperta e poi chiusa, dà alla frase un senso ancora più forte di “andata e ritorno”, caratteristico di tante musiche, soprattutto settecentesche:

ascolto n. 12 – Mozart, Sinfonia n. 39, Minuetto, Trio

La semplice alternanza di T e D è tipica anche di molta musica popolare, anzi in certe musiche popolari è la regola:

ascolto n. 13

La sottodominante è un grado intermedio tra la tonica e la dominante, è un’apertura verso un movimento ulteriore, la preparazione del momento forte DT, ma non è ancora il momento forte. La si riconosce facilmente perché se interrompiamo la musica in corrispondenza di essa abbiamo l’impressione che il pezzo resti per aria, un po’ come avviene per la dominante, ma anche che, a differenza della dominante, la tensione sia più smussata, meno immediata, e il discorso non possa concludere con la semplice aggiunta di un punto di arrivo ma abbia bisogno di un passaggio in più, ossia non si completi con un gesto solo, ma con due; il senso di sospensione è comunque meno forte rispetto alla dominante. Corrisponde al tono di voce che usiamo quando, parlando, facciamo una frase subordinata. Il discorso di Leporello all’inizio del Don Giovanni è semplice (il servo che si lamenta del suo stato: “Notte e giorno faticar), e così l’armonia, che consiste solo in T e D con l’eccezione di una S quando la parola “voglio” viene cantata su note legate

ascolto n. 14

Proviamo ad interrompere subito dopo la S:

ascolto n. 15

Subito dopo c’è la D

ascolto n. 16

e quindi tutto il frammento riportato di seguito ha questa organizzazione:

T /S – /D – /T – /- – /S – /D – /T

ascolto n. 17

Questa condotta è tipica, infatti l’uso più frequente (anche se non esclusivo) della S è dopo la T e prima della D, come a far da ponte tra la stabilità e la tensione.

Il carattere trionfale dell’inizio della Sinfonia “Jupiter” è ben espresso dalla continua alternanza di T e D. Dopo il dialogo iniziale tra tutti e archi, c’è una sezione in ritmo di marcia; la seconda battuta di questa sezione è una S; il tutto avviene molto velocemente, ma il senso funzionale è chiaro, poi, verso la fine del tutti la velocità dell’alternanza diventa un effetto festoso più che un’articolazione discorsiva; si finisce in D

ascolto n. 18

Ascoltiamo dall’inizio del passaggio in ritmo di marcia e fermiamoci subito dopo la S:

ascolto n. 19

è evidente il senso di sospensione, ma anche la differenza qualitativa tra la sospensione dominantica, che è più impellente, e quella della sottodominante, che è più aperta. Se ascoltiamo le prime sei battute della marcia abbiamo una chiara distribuzione armonica con una funzione per battuta

T – – – /S – – – /D – – – /T – – – /S – – – /D – – – /T

ascolto n. 20

Peraltro potete ascoltare che i bassi fanno sempre la stessa nota (pedale di tonica), quindi per capire le armonie non è sufficiente, o meglio non è conveniente “ascoltare le note”.

Il giro TSDT è la successione armonica più usata in musica, e compare in milioni di pezzi. Le funzioni infatti vengono concatenate secondo successioni che nel tempo si sono stabilizzate e sono diventate tipiche di generi, epoche e stili. La teoria ha dato un nome alle successioni più comuni, che è bene conoscere:

la successione DT si chiama cadenza perfetta,

la successione SDT si chiama cadenza composta,

la successione TD o SD si chiama cadenza sospesa.

Va ricordata anche la cadenza plagale ST, successione strutturalmente più debole ma usata spesso in posizione secondaria o di conferma finale (dopo la cadenza perfetta).

La S in effetti non è sempre necessariamente seguita da una D e il giro armonico TSTDT è comune soprattutto nelle musiche antiche o popolari. Nel lied La trota di Schubert, dopo alcune successioni basate su armonie di tonica e dominante, alle parole “des muntern Fischleins Bade” c’è una successione plagale, alternata a una cadenza perfetta

ascolto n. 21

Facciamo ancora qualche esempio del giro TSDT.

ascolto n. 22 -Mozart, “Deh vieni alla finestra” da Don Giovanni

(prestate attenzione fino alla parola “tesoro” perché nella seconda frase poi c’è una cadenza secondaria alla dominante, di cui parleremo oltre).

Il tema del Minuetto della Sinfonia n. 39 di Mozart (otto battute) ha la stessa successione, con un ritmo armonico di due battute per funzione:

ascolto n. 23

Ascoltiamo l’inizio del Finale della Sinfonia “Haffner” di Mozart. Dopo le battute piano, tutte giocate tra T e D, il forte inizia con delle strappate (ancora T e D) e poi con un dialogo stretto tra violini e bassi, la cui armonia è TSDT. La situazione è simile, anche se non identica, al frammento della Sinfonia “Jupiter”, solo che qui è ancora a più veloce, anzi velocissimo (il tempo è Presto alla breve)

ascolto n. 24

Isoliamo quattro battute con la successione TSDT

ascolto n. 25

Sembra un attimo, eppure sono successe tante cose; ma ci sono anche pezzi dove una stessa funzione resta ferma per decine di battute. Come dicevamo all’inizio, il ritmo armonico può essere lentissimo o anche molto veloce e bisogna stare attenti a non lasciarsi trarre in inganno.

Poco usata, almeno in epoca barocca e classica, la successione DS, che infatti inverte la direzione delle preparazioni e attrazioni più tipiche della tonalità. Se ne trovano a partire dall’Ottocento avanzato e poi essa diventa usuale soprattutto nella musica popolare. Ascoltiamo un esempio in cui Dvorak la usa nella Danza slava n. 6, all’inizio (un accordo per battuta con la successione TDST)

ascolto n. 26

Qui la successione DS in realtà è indiretta, essendo il risultato dell’accostamento di due cadenze simili sia per la forma della melodia che per la forma del basso, ossia TD, ST.

Ascoltiamo il Minuetto della Sinfonia “Haffner”. La prima frase, in forte, è di quattro battute con armonia T — /- – – /- – – /D – –; la seconda, in piano, è S – – /- – – /D – – /T – –; anche qui la cesura tra le due frasi mitiga l’accostamento tra D e S

ascolto n. 27

Il modo minore, come dicevamo, è simile al maggiore, con la differenza che la tonica e la sottodominante sono armonie minori (t, s), mentre la dominante, anche nel modo minore, è maggiore (D). In questo modo si produce la tipica fluttuazione del VII grado (e a ruota, quando necessario, del VI), che deve venire innalzato ogni volta che una sensibile sale alla tonica. Riprendiamo Das Lindenbaum e ascoltiamo un frammento più lungo: dopo la frase in maggiore che conosciamo già c’è una frase in cui la stessa musica viene trasformata per alcune battute in modo minore; le funzioni sono le stesse

ascolto n. 28

In questo pezzo, antico popolare ma qui rivisitato con gusto moderno, l’armonia è un ostinato tsD:

ascolto n. 29

ESERCIZI – SERIE 1

Gli ascolti per questa sezione si trovano qui

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgX7yJiplbvLm5KpN?e=TwgiHy

Verranno ora presentati dei frammenti, prima in versione “normale” e poi in una versione con interruzioni. Ascoltate più volte la versione normale e cercate di individuare la funzioni armoniche, poi passate alla versione con le interruzioni e scrivete le funzioni corrispondenti ad ogni interruzione (scrivete T o S o D, se il modo è minore ovviamente t o s o D; tenete sempre presente che quasi tutte le dominanti hanno la settima, noi scriviamo D per comodità, a voler essere pignoli bisognerebbe scrivere D7). Non ci sono interruzioni ad ogni cambiamento di funzione, altrimenti la musica sarebbe troppo spezzata, quindi ascolterete altre armonie oltre quelle che dovete scrivere. Non sempre le altre armonie corrispondono a funzioni semplici, ci sono dominanti secondarie ecc., cose che vedremo in seguito. Le funzioni che viene richiesto di individuare sono in ogni caso chiare e facilmente identificabili, anche se alcune possono essere molto brevi.

La distribuzione delle interruzioni è alquanto casuale. La funzione finale di ogni frammento non è sempre richiesta, perché in alcuni casi è un accordo modulante; in altri casi è citata, perché è facile (spesso si tratta di una tonica). Avete libertà di segnarla o tralasciarla. È importante però che, prima di passare ai frammenti interrotti, ascoltiate bene e più volte i frammenti interi. È qui che la mente deve individuare le coordinate del discorso armonico; solo quando vi siete ben orientati nella sintassi tonale potete passare all’ascolto con interruzioni, altrimenti l’esperienza di traduce in una frastornante serie di stimoli veloci e confusi. Dopo che avete scritto le funzioni, confrontate con le soluzioni più sotto. Se trovate qualche difficoltà, insistete comunque ed evitate ovviamente di guardare le soluzioni prima del dovuto, perché in tal modo l’allenamento sarebbe del tutto inutile.

Beethoven, Romanza per violino

Mozart, Gran Partita, Romanza

Beethoven, Sinfonia n. 6 “Pastorale”

II movimento

Händel, Aria dall’oratorio Sansone

Mozart, Concerto per clarinetto, I movimento

Beethoven, Sinfonia n. 1, II movimento

Beethoven, Sinfonia n. 5

I movimento

Il modo minore è meno stabile e spesso ha una tendenza ad abbandonare la tonalità iniziale e a dirigersi verso altre aree (soprattutto il relativo maggiore). Ascoltiamo una piccola selezione di corali di Bach in tonalità minore. Troverete le interruzioni per lo più all’inizio e alla fine del pezzo, in quanto nella parte centrale, appunto, spesso la tonalità iniziale viene temporaneamente messa da parte per essere recuperata verso la fine. Alcuni corali, pure essendo in modo minore, terminano con una tonica maggiore (T), cosa consueta all’epoca.

Jesus Christus, unser Heiland

Herr, ich habe mißgehandelt

Ach was soll ich Sünder machen

Soluzioni:

Beethoven, Romanza per violino

D D D S T

Mozart, Gran Partita, Romanza

S D D S D D T 

(qui state attenti a non confondere le interruzioni con le pause dell’originale)

Beethoven, Sinfonia n. 6 “Pastorale”

II movimento

T D S D T D S D D T

Händel, Aria dall’oratorio Sansone

D T S

Mozart, Concerto per clarinetto, I movimento

S T D S D S S D S D S S S D

Beethoven, Sinfonia n. 1, I movimento

S S D T D T S D T

Beethoven, Sinfonia n. 5

I movimento

D t D

Corali di Bach:

Jesus Christus, unser Heiland

D t s S D

(la sottodominante maggiore è determinata dal movimento ascendente, cosiddetta scala melodica)

Herr, ich habe mißgehandelt

s D t D t D

Ach was soll ich Sünder machen

D s s

INTRODUZIONE

Il solfeggio – i solfeggi

Il solfeggio, benché tutti l’abbiamo studiato più o meno allo stesso modo, in realtà non è uno solo, ci sono diversi tipi di solfeggio, a seconda delle epoche e dei luoghi in cui si è solfeggiato e si continua a solfeggiare.

La prima distinzione che si può fare è quella tra il solfeggio cantato e il solfeggio parlato. A noi interessa soltanto il primo, perché non si capisce come si possa imparare la musica parlando. L’utilità del solfeggio parlato è limitata a problematiche specifiche della lettura, in particolare ai registri che eccedono l’estensione vocale o alle chiavi fuori registro. Al di fuori di questi casi particolari il solfeggio parlato non ha senso: si diventa musicisti suonando e cantando.

Anche nel solfeggio cantato esistono comunque diverse tipologie. Quelle che interessano a noi sono in particolare due: la solmisazione o solfeggio relativo e il solfeggio assoluto. Solmisazione significa usare le sillabe del solfeggio per indicare i gradi della scala. Ad esempio, la sillaba do indica la tonica della scala maggiore, re indica il secondo grado, ecc., e parimenti la sillaba la indica sempre la tonica della scala minore, ecc. La solmisazione quindi non dice nulla dell’altezza assoluta dei suoni: do è sempre la tonica, indipendentemente dalla tonalità del pezzo e dall’altezza assoluto della nota. La solmisazione viene chiamata anche solfeggio relativo o sistema del do mobile o, nei paesi anglosassoni, Tonic sol-fa system.

Questo sistema è stato inventato da Guido d’Arezzo intorno al 1000; all’inizio era pensato soprattutto come ausilio alla memorizzazione dei canti, poi è diventato anche un sistema di scrittura e lettura. In esso l’elemento importante non sono le altezze ma gli intervalli. Do non ci dice nulla sull’altezza della nota da cantare, ma ci dice che se passiamo da quel do a un re posto un grado sopra intoneremo sicuramente un intervallo di tono, se passiamo da mi a fa intoneremo sicuramente un intervallo di semitono, se passiamo da do a mi intoneremo sicuramente una terza maggiore, se passiamo da re a fa intoneremo sicuramente una terza minore, ecc. In altre parole, quando si canta una melodia con la solmisazione, le distanze tra i gradi sono sempre espresse fedelmente dalle sillabe.

Il solfeggio assoluto invece attribuisce un nome ad un’altezza fisica. La frequenza 440 Hz si chiama LA, indipendentemente dalla sua funzione tonale (sia che si tratti di tonica in La maggiore o La minore o di terza in Fa maggiore o di quinta di Re maggiore o Re minore, ecc.).

La solmisazione, o solfeggio relativo, è sicuramente preferibile per la musica vocale, soprattutto a cappella, per la lettura vocale a prima vista e per la sicurezza nell’intonazione. Il solfeggio assoluto è necessario per poter suonare un pezzo nella sua tonalità reale all’interno del sistema di trasposizione sui dodici gradi della scala cromatica, quindi soprattutto per gli strumentisti. Il musicista completo è in grado di usare entrambi i sistemi, e spesso lo fa in modo inconsapevole.

Le distanze intervallari vanno rispettate, anche in caso di alterazioni, sia nel solfeggio assoluto che nel solfeggio relativo, e questa cosa ha creato qualche difficoltà. Nel Medioevo infatti la musica era quasi esclusivamente diatonica, le alterazioni non c’erano (o se c’erano non veniva scritte) e quindi il problema non si poneva, ma successivamente il linguaggio musica si è evoluto costantemente e si sono iniziate ad usare alterazioni, all’inizio poche, poi sempre di più. Ad un certo punto l’antica solmisazione non riuscì più a tenere il passo, ed è stata messa da parte (sul finire del Settecento). Durante l’Ottocento era completamente in disuso, se ne occupavano solo gli storici.

Il problema delle alterazioni si pone fin dal momento in cui si affronta il modo minore. Sappiamo che la scala minore era suddivisa dalla teoria tradizionale in un sistema di tre diverse scale (naturale, armonica, melodica). Possiamo anche dire – in modo più agile – che la scala minore è un’unica scala composta di nove suoni, possiede sette gradi di cui due (il VI e il VII) sono fluttuanti, nel senso che vengono alzati di un semitono quando il movimento melodico lo richiede, altrimenti sono naturali.

Sappiamo che il motivo di questa fluttuazione risiede nell’armonia. Perché si abbia una musica tonale la scala minore deve venire “forzata”; il modo minore naturale infatti non possiede alcun accordo di dominante, ma una triade minore sul quinto grado. Tuttavia, a partire dalla fine del Cinquecento, e fino ad oggi, la dominante si è affermata sempre di più come elemento essenziale della grammatica musicale. Ora la dominante è un accordo necessariamente maggiore (in La minore: mi-sol#-si), che pertanto richiede l’innalzamento di semitono del VII grado (in La minore il sol diventa sol#). Se il movimento complessivo lo richiede, anche il VI grado di riflesso viene “corretto” di un semitono (sempre in la minore, fa diventa fa#).

Ecco quindi che le alterazioni diventano parte integrante del sistema tonale e diventa difficile solfeggiare con l’antica solmisazione medievale. Se infatti il senso di un solfeggio esatto e funzionale è quello di usare sillabe che definiscono con esattezza gli intervalli, bisogna trovare un sistema che renda conto di questi spostamenti cromatici. Non possiamo dire “sol” e cantare sol#, è un falso teorico, una cosa antimusicale e un ottimo modo per indebolire il senso dell’intonazione. Questo però è proprio ciò che si insegna nei corsi di solfeggio tradizionale.

Il musicista ungherese Zoltán Kodály, verso la metà del Novecento, ha sentito l’esigenza di un sistema di solfeggio che ponesse al centro la grammatica del discorso musicale e al tempo stesso e al tempo stesso rendesse conto delle alterazione. Ha quindi riscoperto e riproposto l’antica pratica della solmisazione, non più come argomento dei manuali di storia della musica ma come metodo pratico per leggere la musica, e ha risolto il problema delle alterazione inventando un sistema di suffissi che rende conto delle alterazioni.

Il funzionamento di suffissi è semplice: il suffisso –i indica diesis, il suffisso –a indica bemolle, quindi do# si dice di, re# si dice ri, mi bemolle si dice ma, ecc. La nota sol presenta qualche problema, perché sil è troppo simile a si, e allora si è risolta cosa in questo modo: il VII grado della scala maggiore non viene più chiamato si ma viene chiamato ti, il V grado della scala maggiore viene chiamato so (eliminando la l, che a volte è d’impaccio quando si solfeggia in velocità), e in questo modo si significa sol#.

In questo modo è possibile intonare con esattezza la scala minore:

la ti do re mi fa(fi#) so(si) la

Un altro aggiustamento è necessario per la nota la che ovviamente non può essere bemollizzata con il suffisso –a, e allora si dice lo.

La tabella completa quindi è la seguente:

do = do

do# = di

reb = ra

re = re

re# =ri

mib = ma

mi = mi

fa = fa

fa# = fi

solb = sa

sol = so

sol# = si

lab = lo

la = la

la# = li

sib = ta

si = ti

In questo modo è possibile quindi solfeggiare anche musiche con alterazioni usando sillabe che rispettano fedelmente gli intervalli.

Il sistema dei suffissi consente anche di rispettare le alterazioni di chiave nel solfeggio assoluto. Il solfeggio assoluto è quello che quasi tutti noi abbiamo studiato, ossia quello in cui i nomi delle note “chiamano” l’altezza fisica del suono. In questo sistema però non c’ modo di “chiamare” le alterazioni, e questo genera confusione e incertezza quando si va a intonare. Il sistema di suffissi è utile anche in questi casi. Se per esempio, ci troviamo in sol maggiore e quindi abbiamo il fa# in chiave, non possiamo cantare un fa# e dire fa: anche in questo caso è un errore concettuale e musicale. Se vogliamo cantare in solfeggio assoluto una scala di Sol maggiore allora useremo le seguenti sillabe:

SO LA TI DO RE MI FI SO

se cantiamo in Mi bemolle maggiore:

MA FA SO LO TA DO RE MA

se cantiamo in Si minore:

TI DI RE MI FI SO(SI) LA(LI) TI

ecc.

Il limite del solfeggio relativo risiede nel fatto che è adatto a musiche non troppo complesse dal punto di vista tonale. Cantare con il solfeggio relativo una musica molto cromatica e modulante, magari con doppie alterazioni, può diventare davvero disagevole.

Il limite del solfeggio assoluto risiede nel fatto che non ci aiuta a inquadrare i suoni nel senso del discorso musicale; è, in un certo senso, un sistema più meccanico.

Entrambi questi sistemi quindi hanno i loro vantaggi e svantaggi, ma entrambi vanno conosciuti, e per trarre da essi il migliore vantaggio è bene usarli in combinazione. Per far questo bisogna entrare nell’ordine di idee che, a meno che non ci si trovi in Do maggiore o in La minore, una stessa altezza avrà due nomi diversi, uno che ne indica il grado e uno che ne indica il tasto. Per evitare questa confusione si usa scrivere in minuscolo le altezze relative e in maiuscolo le altezze assolute.

La procedura-tipo dell’apprendimento uditivo sarà quindi la seguente:

  • il suono in sé (ascoltare, memorizzare, cantare senza solfeggio, con sillabe libere)
  • il solfeggio relativo (cantare con solmisazione)
  • il solfeggio assoluto (individuare la tonalità effettiva e solfeggiare in quella tonalità)
  • suonare su uno strumento.

DUETTI

Applicheremo la procedura sopra indicata ai duetti che trovate a questi indirizzi di rete

Per ogni duetto è data la versione a due voci e la versione con la sola voce superiore.

La procedura da seguire in particolare è la seguente:

  1. ascoltare e memorizzare;
  2. cantare la voce superiore con sillabe libere (senza base);
  3. cantare la seconda voce insieme alla registrazione della prima voce, con sillabe libere;
  4. ripetere i punti 2 e 3 con il solfeggio relativo;
  5. ripetere i punti 2 e 3 con il solfeggio assoluto;
  6. ripetere i punti 2 e 3 suonando;
  7. registrare con il proprio strumento entrambe le voci separatamente e poi usare queste registrazioni come base per suonare l’altra voce.

In tutto questo lavoro non bisogna scrivere niente, nemmeno come aiuto o promemoria. Tutto va fatto usando l’orecchio.

Ovviamente nei pezzi in Do maggiore e il La minore il solfeggio relativo e il solfeggio assoluto coincidono; per questo motivo bisogna fare non più di un duetto in queste tonalità, e poi cambiare (i duetti in do maggiore e in la minore sono i primi dieci).

Chiaramente quando capitare di dover trasportare di ottava, quando il registro vocale lo richiede.

Ognuno di voi dovrà fare almeno due duetti. Dopo averli imparati bene, li suoneremo in tutte le tonalità, con le basi registrate da voi (prima voce sulla base della seconda voce e viceversa).

Ogni volta che si fa un trasporto bisogna prima fare il solfeggio assoluto nella nuova tonalità, perché quando si trasporta le dita devono sapere già dove andare, non bisogna mai cercare la nota giusta a tentativi.

Scaricare la cartella

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgxHDECqolRos2Q23?e=Wt916T

esercitarsi secondo quanto segue:

1 – Pezzo con T, D (solo per ascolto)

2 – Pezzo con interruzioni con T, D

D D T T D D T T T T D T D D T D T T T T T D D T

3 – Pezzo con t, D (solo per ascolto)

4 – Pezzo con interruzioni con t, D

D t D t D t t D t D t t t D t t t D t t

5 – Pezzo con T, S, D (solo per ascolto)

6 – Pezzo con interruzioni con T, S, D

D T S D T T S S T S D S S D D T S S T S D T D D D S S D T

7 – Pezzo con t, s, D (solo per ascolto)

8 – Pezzo con interruzioni con t, s, D

D t s t D s D D t s t D s t s D s D D s s t

9 – Pezzo con T, S, D, Tp, Sp (solo per ascolto)

10 – Pezzo con interruzioni con T, S, D, Tp, Sp

D S T D Tp S Tp S D Sp D Sp D Tp Sp D S Sp Tp D T

gli accordi paralleli nel modo minore non li facciamo perché sono un po’ più difficili

Esame in presenza

Alinovi

Bartolone

Mariani

Melchiorre

Montebello

10 luglio ore 9 (no 9,30)

Prova scritta

Individuazione di una sequenza di funzioni armoniche

Trascrizione di un terzetto

Ogni candidato deve portare una cuffia con spinotto e adattatore sia “jack” che “mini-jack”

Prova pratica (duetti):

12 luglio, orario da definire

Scaricate la cartella

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgnlqn9BCUrV2-Cz_?e=TsJDLz

(attenzione, è un sacco di roba, più di mezzo giga)

 

NOTA

Questi sono esercizi di puro allenamento percettivo, che servono a prendere confidenza con l’ascolto polifonico. Non è musica che bisogna imparare, anzi, è importante non imparare affatto questi esercizi a memoria, altrimenti non servono a niente. Per far ciò conviene mischiarli, farli in modo casuale, iniziare da punti diversi ogni volta. In altre parole, bisogna confondere la memoria, perché se li imparate poi non sono più utili come allenamento all’ascolto della seconda voce.

Non tutti gli esercizi saranno ugualmente facili o difficili per tutti. Se alcuni esercizi sono troppo facile passate oltre, se sono difficili dovente insistere senza fretta di andare oltre. Insomma queste cose le dovete gestire da soli, in base al vostro orecchio.

Se avete bisogno di ripetere dei frammenti vi consiglio di aprire i documenti audio con programmi che fanno vedere la forma d’onda (Audacity, ecc.), è più comodo.

Tutto questo lavoro va fatto esclusivamente a orecchio.

 

Esercizio n. 1a

 

Esercizio a due voci.

Ascoltare i frammenti e cantare in questo modo:

 

Cosa fa l’esercizio

Cosa fa l’allievo

1

suona il frammento a due voci

ascolta, in particolare prima voce

2

pausa

ricanta la prima voce

3

suona solo la prima voce

verifica

4

suona il frammento a due voci

ascolta, in particolare la seconda voce

5

pausa

ricanta la seconda voce

6

suona solo la seconda voce

verifica

7

suona il frammento a due voci

ascolta e riassume

Così per ogni frammento

Dato che la seconda voce è più importante, essa si trova in un registro comodo per cantare. Questo significa che spesso la prima voce è un po’ acuta. In questi casi accennate oppure cantate solo mentalmente, ma evitate di trasportare la prima voce un’ottava sotto, altrimenti si rivolta la disposizione delle voci e tutto diventa più difficile.

 

Esercizio n. 1b

È lo stesso esercizio precedente, ma da fare tutto di seguito, cantando per ogni frammento la seconda voce insieme alla prima, di seguito e a tempo.

 

Le coppie di esercizi 2a-2b, 3a-3b, 4a-4b, 5a-5b seguono le stesse modalità della coppia 1a-1b.

L’esercizio n. 4 è in suddivisione ternaria.

 

Le prime volte bisogna cantare con sillabe libere, poi con il do mobile (solfeggio relativo), almeno la voce inferiore.

 

Per facilitare la solmisazione vengono date le seguenti indicazioni.

Nel n. 1 la seconda voce usa quasi esclusivamente i primi cinque gradi della scala maggiore.

Nel n. 3 la seconda voce usa i primi cinque gradi della scala minore.

Nel n. 2 la seconda voce usa liberamente i suoni della scala minore. Ricordate di cambiare i suffissi ascendendo (fi-si) e discendendo (so-fa).

Nel n. 4 la seconda voce usa liberamente i suoni della scala maggiore e alcune alterazioni di passaggio. Chiamate con esattezza i suffissi di queste alterazioni.

Nel n. 5 la seconda voce usa liberamente i suoni della scala minore e qualche alterazione di passaggio.

 

Gli esercizi dal n. 6 al n. 12 sono a tre voci. Essi seguono tutti la stessa modalità di presentazione, che è la seguente:

  • le tre voci insieme
  • pausa (per cantare la seconda voce, se ci si riesce subito)
  • prima voce, per facilitare l’ascolto
  • terza voce, per facilitare l’ascolto
  • prima e terza voce insieme, per facilitare l’ascolto
  • di nuovo le tre voci insieme
  • pausa (ulteriore possibilità per cantare la seconda voce)
  • seconda voce (soluzione)
  • ascolto completo (verifica)

 

Le prime volte cantate con sillabe libere, poi cantate utilizzando il solfeggio relativo.

Provate a cantare subito la seconda voce, altrimenti ascoltate le voci separatamente; l’obiettivo però è arrivare a cantarla subito.

 

Seguono alcune note particolari sugli esercizi, utili per l’ascolto e, soprattutto, per la solmisazione.

 

Esercizio n. 6

La seconda voce usa solo note diatoniche in modo maggiore.

 

Esercizio n. 7

La seconda voce usa le note della scala maggiore, con sporadiche alterazioni.

 

Esercizio n. 8

La seconda voce usa i primi cinque gradi della scala maggiore.

 

Esercizio n. 9

La seconda voce usa i primi cinque gradi della scala minore.

 

Esercizio n. 10

La seconda voce usa la scala minore con sporadiche alterazioni.

 

 

Esercizio n. 11

La seconda voce usa tutte le note della scala maggiore.

 

Esercizio n. 20

In questo esercizio c’è da segnalare un errata corrige: a 12’20’’ c’è una nota sbagliata (un la al posto di un sol nella parte interna).

 

 

 

Questi sono piccoli terzetti da trascrivere. Per ogni esercizio c’è una versione al pianoforte e una all’organo. Quella all’organo è chiaramente più facile, quindi provate a fare prima quella al pianoforte e poi ascoltate quella organistica per controllare se avete fatto bene (utile in particolare per capire bene quanto durano le note lunghe).

Nel documento

https://1drv.ms/b/s!Asz4mR3Ib0tQghCy3X4GDPBR8mPj

trovate dei suggerimenti che servono per capire bene la tonalità, il metro, la scansione, e in alcuni casi per uniformare la difficoltà.

I suggerimenti sono scritti su due sistemi; quando due voci sono nello stesso rigo le note della più acuta hanno le zampette in su e le note della più grave hanno le zampette in giù; in questo modo l’appartenenza di una nota ad una determinata voce piuttosto che ad un’altra è sempre chiara. Voi però dovete scrivere su un sistema di tre righi, uno per voce, perché in questo modo la polifonia è più chiara e la stessa grafia vi porta a pensare le diverse voci come indipendenti l’una dall’altra. La voce superiore può essere scritta sempre in chiave di violino, la voce inferiore può essere scritta sempre in chiave di basso, la voce centrale può essere scritta per lo più in chiave di violino, ma in alcuni casi può essere necessario passare momentaneamente in chiave di basso per evitare di dover mettere troppi tagli addizionali; in alternativa si può usare sempre la chiave di contralto per la seconda voce.

Potete aiutarvi con uno strumento, ma con parsimonia.

Documenti audio:

1. 3v organo

1. 3v piano

2. 3v organo

2. 3v piano

3. 3v organo

3. 3v piano

4. 3v organo

4. 3v piano

5. 3v organo

5. 3v piano

6. 3v organo

6. 3v piano

7. 3v organo

7. 3v piano

8. 3v organo

8. 3v piano

9. 3v organo

9. 3v piano

10. 3v organo

10. 3v piano

11. 3v organo

11. 3v piano

12. 3v organo

12. 3v piano

13. 3v organo

13. 3v piano

14. 3v organo

14. 3v piano

15. 3v organo

15. 3v piano

16. 3v organo

16. 3v piano

17. 3v organo

17. 3v piano

18. 3v organo

18. 3v piano

19. 3v organo

19. 3v piano

20. 3v organo

20. 3v piano

21. 3v organo

21. 3v piano

22. 3v organo

22. 3v piano

23. 3v organo

23. 3v piano

24. 3v organo

24. 3v piano

25. 3v organo

25. 3v piano

26. 3v organo

26. 3v piano

27. 3v organo

27. 3v piano

3 – GLI ACCORDI PARALLELI

Gli ascolti per questa sezione si trovano qui

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgi1xHTcKMbUz4HOK?e=XbW1mR

Per rendere varia l’armonia si possono usare anche altri accordi, attraverso sostituzioni, ossia è possibile usare, al posto di un accordo, un altro accordo che rappresenta la stessa funzione. Da questo momento in poi sarà necessario indicare con T, S, D (in minore t, s, D) soltanto gli accordi principali di ogni famiglia, perché useremo simboli specifici per alcuni accordi di sostituzione costruiti su altri gradi, che ora vedremo. In ciascuna delle “famiglie” funzionali infatti trovano posto accordi diversi (ossia costruiti su gradi diversi). Ma prima di andare avanti esponiamo le corrispondenze tra le funzioni principali incontrate finora e i gradi:

la tonica (T o t) corrisponde all’accordo di I grado;

la dominante (D o d) corrisponde al V grado;

la sottodominante (S o s) corrisponde al IV grado.

La maggior parte delle funzioni che abbiamo ascoltato finora sono in effetti accordi di I, IV e V grado. Questa corrispondenza però non va presa come una regola rigida. Come vedremo subito, l’armonia funzionale dà conto di molte soluzioni che possono rendere più ricca e varia questa corrispondenza. Le sostituzioni armoniche sono la tecnica che si usa per ottenere questa varietà.

La più comune sostituzione è quella che si ottiene con gli accordi paralleli. Gli accordi paralleli sono quelli le cui fondamentali si trovano ad una distanza di terza minore rispetto all’accordo principale. In do maggiore, come sappiamo, l’accordo di I grado (domisol), ossia T, è costruito sulla fondamentale do; nella scala diatonica, la nota la si trova ad una distanza di terza minore dalla nota do; l’accordo diatonico costruito sulla nota la (ladomi, VI grado) è l’accordo parallelo della tonica. È un accordo minore, e infatti la dicitura completa ed esatta è “accordo minore parallelo della tonica maggiore”; per brevità viene chiamato più spesso “tonica parallela”; si scrive Tp. Lo stesso procedimento si può applicare alla S, ottenendo una Sp, ossia una sottodominante parallela (II grado, in do maggiore refala).

Nel modo minore la situazione si inverte: la tonica minore (I grado) viene sostituita dall’accordo di III grado (in la minore domisol), che è maggiore, e si scrive tP. Allo stesso modo la sottodominante s viene sostituita dalla sP, che è l’accordo di VI grado (falado). Frequente nel minore anche la sostituzione della dominante con la dP (in La minore solsire).

Vale quindi la regola che gli accordi principali e gli accordi paralleli sono in rapporto inverso di modo, se gli uni sono maggiori, gli altri sono minori, e viceversa. Questo è il motivo per cui sono molto usati: essi rendono più vario il colore armonico, introducendo elementi di modo minore nel modo maggiore ed elementi di modo maggiore nel modo minore.

Riconoscere un accordo parallelo è facile, in quanto esso esprime con chiarezza la funzione a cui appartiene, ma con un colore modale opposto. Per esempio, se siamo in modo maggiore e percepiamo un senso di stabilità non assoluta ma relativa, in ragione di una sonorità minore, probabilmente avremo a che fare con una Tp; se percepiamo un’apertura con un colore minore, probabilmente avremo a che fare con una Sp. Se siamo in modo minore e percepiamo un’apertura resa più chiara da un colore maggiore, probabilmente avremo a che fare con una sP, se percepiamo una stabilità resa più forte da un colore maggiore, probabilmente avremo a che fare una tP.

Le Danze slave sono piene di cadenze alla Tp, ascoltiamo questo passaggio dalla n. 6

ascolto n. 39

è molto semplice: la stessa breve frase viene affidata una volta agli archi e una volta ai legni, il tutto con ritornello; la frase degli archi cadenza alla T, la frase dei legni cadenza alla Tp.

Ascoltiamo i primi quaranta secondi di quest’altra Danza slava di Dvorak (n. 4); qui la situazione è leggermente più complicata, ma con un po’ di pazienza la riuscirete a dipanare

ascolto n. 40

Alla seconda battuta c’è una fermata su un accordo, che è una Tp, segue quindi una cadenza perfetta, poi una ripetizione variata, per un totale di otto battute che vengono ripetute in ritornello. Ascoltate diverse volte e fate attenzione alla Tp: avvertirete una sensazione ambigua, da un lato di conferma e dall’altro di fragilità, che è tipica di questa armonia. La successiva frase invece inizia in dominante e al posto della Tp ha una S che, insieme alle seguenti D e T, costituisce una cadenza composta con quarta e sesta. Anche questa frase è ritornellata. Ascoltate anche con le interruzioni:

Tp T Tp T D S T

ascolto n. 41

(Ricordate sempre che le interruzioni non corrispondono a tutti i cambiamenti di armonia, ma solo a una parte; le sequenze di sigle pertanto non mostrano la successione completa.)

Nella Serenata “Gran Partita” per 13 fiati di Mozart, all’inizio del celebre Adagio la prima    frase dell’oboe, dopo una nota lunga, plana su un’appoggiatura che, se non ci fosse l’armonia, potrebbe sembrare un arrivo su una tonica, ma invece il senso armonico viene reso più articolato da una sostituzione di Tp

ascolto n. 42

Spesso la Tp è trattata di passaggio, tipicamente come momento intermedio tra la T e la S nella cadenza composta. Questa successione determina il più comune “giro” di migliaia di canzoni, ossia I-VI-IV-V-I oppure, se al posto della S si usa la Sp, I-VI-II-V-I. Questa successione non è tipica solo della musica popolare ma esiste già da qualche secolo; in questo pezzo (Frühlingstraum di Schubert) ascoltate nelle prime battute una Tp sulla parola “Blumen”; la frase va poi avanti combinando T, S e D in semplici cadenze, che adesso dovreste essere in grado di individuare senza difficoltà

ascolto n. 43

            Un altro uso tipico della Tp è la sostituzione della T in cadenza perfetta, ossia DTp (V-VI) al posto di DT. Questa successione, chiamata dalla teoria tradizionale cadenza d’inganno, è meno definitiva della cadenza perfetta e pertanto rinvia la chiusura del pezzo o della sezione a un momento successivo, una specie di falsa cadenza in attesa della cadenza “vera”. Sinfonia “Haffner”, inizio:

ascolto n. 44

ascoltate anche con l’interruzione:

ascolto n. 45

            Wagner all’inizio del Lohengrin usa un’insolita successione TTpT, in una situazione in cui tradizionalmente si sarebbe usata una cadenza plagale; la successione usata da Wagner, rispetto alla cadenza plagale, è più statica e più coloristica (ombreggiatura maggiore-minore-maggiore sulla funzione di tonica), in linea con il carattere onirico del pezzo

ascolto n. 46

            Passando alle sottodominanti, in Malafemmena esse sono tutte Sp (ce ne sono sia nella strofa che nel ritornello, sotto le parole “a mme”, “a te”, “’nfamità”, “’ngannà”, ecc.)

ascolto n. 47

Tornando a Wagner, il tema iniziale del Tannhäuser ha un colore particolarmente scuro, soprattutto nelle prime battute, dovuto alle sostituzioni parallele (Tp alla seconda battuta e Sp alla quarta battuta), oltre che alla registro e alla strumentazione

ascolto n. 48

Va detto però che distinguere una Sp da una S è difficile, in parte per il fatto che anticamente ed in epoca classica l’accordo S spesso non era una triade ma un accordo di sesta (S6, in do maggiore falare). Questo fa sì che i suoni della S6 siano di fatto gli stessi della Sp (ossia, in do maggiore, le note re, fa, la, diversamente disposte) e che le due armonie si somiglino tra di loro. A questo proposito bisogna tener presente che inizialmente l’accordo di S6 era considerato a tutti gli effetti un accordo costruito sul basso e non un rivolto dell’accordo di II grado, in linea con quanto abbiamo detto a proposito della concezione barocca dell’armonia. Il concetto della distinzione tra fondamentali e rivolti infatti compare a Ottocento inoltrato, mentre nelle epoche anteriori quello che contava era il basso, su cui si costruiva un accordo secondo certi intervalli in base alle necessità. L’accordo falare quindi era considerato un accordo maggiore con la sesta, e non un accordo minore rivoltato, come tende invece a considerarlo il nostro orecchio moderno. Questo è il motivo per cui a volte fatichiamo a distinguere tra una S6 e una Sp3 (ossia una Sp con la terza al basso), a meno di non ascoltare distintamente la nota del basso e capire se si tratta del II o del IV grado. Molte delle sottodominanti che abbiamo ascoltato finora sono in realtà delle S6, per esempio

ascolto n. 49

ascolto n. 50

ascolto n. 51

La cadenza S6 D4-6D3-5T è la più usata in assoluto in musica classica, ascoltate la fine di questa frase che già conoscete

ascolto n. 52

e sicuramente riconoscerete l’inconfondibile sapore classico di questa successione. I finali rossiniani, per esempio, sono fatti quasi tutti con questo giro.

All’inizio del Notturno dal Sogno di una notte d’estate di Mendelssohn ci sono quattro battute di tonica e poi, con un accordo per battuta, TpSSpD.

ascolto n. 53

Riprendiamo il Quintetto con clarinetto, dove la situazione è simile: dopo la S che abbiamo già citato, la cadenza prosegue con SpDT; notate anche qui, nel passaggio da S a Sp, il basso che scende di una terza (dal IV al II grado)

ascolto n. 54

Molto chiaro è invece il passaggio agli accordi paralleli nel modo minore. Come abbiamo visto, essi sono maggiori, e infatti la tendenza del modo minore a scivolare nel suo relativo maggiore, di cui abbiamo parlato a proposito dei corali di Bach, si realizza principalmente con l’uso degli accordi paralleli. È chiaro: se siamo in la minore ed iniziamo a cadenzare con sP, dP, tP, altro non stiamo facendo che cadenzare in do maggiore, la sensibile sol# viene presto dimenticata e così la tonalità di do maggiore tende a prendere il sopravvento su quella di la minore.

L’ouverture Le Ebridi di Mendelssohn è molto chiara in proposito perché inizia con un t che dopo due battute passa direttamente a una tP. Ascoltiamo un frammento un po’ esteso per mettere a fuoco l’ambientazione tonale

ascolto n. 55

e adesso con interruzioni sulle due tP:

ascolto n. 56

Nel lied di Schubert Trockne Blumen la sezione iniziale ha quattro cadenze, di queste le prime tre sono alla tP (sotto le parole “ins Grab”, “gescheh”, “wie blaß[1]”), mentre l’ultima è alla D (sotto le parole “so naß”)

ascolto n. 57

Significativa è la Danza slava n. 7 di Dvorak, che è in modo minore, ma nella quale solo le prime quattro battute sono in minore, mentre tutto il resto del pezzo insiste su armonie maggiori, e solo alle ultime battute il pezzo si rivela essere effettivamente in minore

ascolto n. 58

Questo pezzo è il caso estremo di una tendenza generale del sistema tonale.

Il giro I-VI-IV-V-I è usato anche nel modo minore. Qui il VI grado è meglio interpretabile come sP che come tonica, ma queste distinzioni sono un po’ accademiche, di fatto qui l’accordo di VI grado è un momento intermedio nel passaggio dalla t alla s, similmente a come accade nel giro maggiore. Ancora dai lied di Schubert, Ständchen, nella breve introduzione pianistica (invece quando entra la voce l’armonia passa direttamente dalla sP alla D, per potersi trovare in t alla quarta battuta della frase)

ascolto n. 59

C’è poi un’altra possibilità, ossia quella di usare l’accordo parallelo che si trova ad una distanza di terza maggiore delle fondamentali. Questi accordi sono chiamati controparalleli che in tedesco si dice Gegenklang. Dato che l’armonia funzionale nasce in Germania, dappertutto si usa di indicare questi accori con la lettera G (o g). Sono meno usati degli accordi paralleli, ma va menzionato l’accordo sul III grado della scala maggiore Tg, che spesso segue la T prima di passare alla Tp o a una delle forme della sottodominante. Nel lied di Schubert Im Frühling il secondo accordo è Tg e tutta la successione della prima battuta, poi spesso ripetuta durante il pezzo è T-Tg-S-T

ascolto n. 60

            Nel modo minore il contraccordo di tonica tG è l’accordo di sesto grado. Fisicamente parlando, esso corrisponde esattamente alla sP, ma ne è differente la funzione. Esso viene usato soprattutto nella cadenza d’inganno V-VI, dove evidentemente rappresenta una tonica e non una sottodominante. L’introduzione pianistica di questo lied, che abbiamo già ascoltato come esempio di S6 nel mondo minore, ha un accordo per battuta secondo la successione che qui ripetiamo: tDtGS6D4-6D7t–; prestate ora attenzione al terzo accordo; lo stesso giro viene ripetuto sotto la prima frase della voce, poi l’armonia cambia

ascolto n. 61 – Schumann, Hör Ich das Liedchen klingen

ESERCIZI – SERIE 2

Gli esercizi per questa sezione si trovano qui

https://1drv.ms/u/s!AlMLHSZEP2xEgkVCDGm_JGTeISbE?e=wFNO1g

Ascoltiamo una serie di esempi dalle Stagioni di Vivaldi. In questi pezzi le sezioni tematiche sono estremamente semplici dal punto di vista armonico (per lo più funzioni principali, con lunghe sezioni alla tonica). Ci sono complessivamente pochi accordi paralleli, ma intanto cercate di individuarli. Per il resto considerate questi ascolti un consolidamento dell’attività precedente.

A dispetto della semplicità armonica delle sezioni tematiche, nelle transizioni centrali l’armonia ha spesso tensioni cromatiche, ragion per cui ora ci concentriamo sulle sezioni iniziali e finali. Valgono le stesse indicazioni già date in precedenza: ascoltare bene il pezzo per intero, individuare le armonie, quindi ascoltare i pezzi con le interruzioni, scrivere e infine confrontare con le soluzioni.

La primavera, I movimento   

II movimento

III movimento

L’estate, I movimento (inizio)

II movimento

III movimento (inizio)

L’autunno, I movimento (inizio)

III movimento (inizio)

Soluzioni:

La primavera, I movimento   

D T T T T D D T D Tp Tp Tp T D T

II movimento

t D t D t t s s D

III movimento

T D D T Tp T T D D T D

L’estate, I movimento (inizio)

D t D s D t D

II movimento

D t tP sP dP tP t D t

III movimento (inizio)

D s D t

L’autunno, I movimento (inizio)

S D S D

III movimento (inizio)

D T S


[1] Il carattere tedesco ß corrisponde a una doppia s.